"Forse non è stata una buona idea". Ritrovarsi da soli al concerto di Dente, al secolo Giuseppe Peveri, fa partorire pensieri di questo tipo. Non che non ci fosse pubblico, anzi il grande cortile esterno del Castello Sforzesco di Milano era stracolmo. Solo, per la maggior parte di coppiette innamoratissime. Ehi, che ti aspettavi? Infatti. Il cantautore di Fidenza ha riproposto il suo secondo disco, "L'Amore non è bello" (2009), in una serata con tanti ospiti, tra cui il collega Alberto Bianco e il poeta Guido Catalano. Davanti a loro, tutte persone, in questo caso perlopiù uomini, che tornavano vittoriosi dalla coda alla cassa e poi da quella al bar con due cocktail. In media, più precisamente, un birrozzo e un gin tonic. Fidanzati schiavi, fidanzate in estasi mistica. È a dir poco coraggioso portare live le canzoni di un album così romantico (e sopraffino) a Milano dove, alla fine dei conti, nessuno sta insieme perché si ama. Semplicemente, non c'è cristiano che, da solo, possa permettersi il folle canone d'affitto mensile. Quindi, l'unica e smezzare. Magari trovandosi un diversivo fuori città, verso Carate Brianza, in modo da non sentirsi troppo ingabbiati dalla vita. Quindici anni fa, quando "L'Amore non è bello" deflagrò nella scena indie italiana, la scena indie italiana ancora non esisteva, non davvero, non come sarebbe esplosa poi. Esistevano concerti sul palco piccolo del Magnolia di Segrate, al termine dei quali ci si beveva qualcosa con l'artista di turno. Una realtà forse oggi inimmaginabile, visto che contano solo i numeroni, gli stream e tutto ciò che non ha a che fare mai col vis a vis, col 3D. Manco per sbaglio. I ventenni del 2009, infatti, sono stati molto fortunati. Probabilmente l'ultima generazione - finora - ad aver vissuto quell'età senza pensieri che non fossero turbamenti sentimentali rovinosi. Ieri sera, 3 luglio 2024, si sono ritrovati tutti, ma molti di più, al Castello Sforzesco. Qualcuno con marmocchi al seguito, altri dopo aver perso i capelli, ognuno con le parole de "L'Amore non è bello" incise a memoria sul cuore e sulle labbra. Perché ancora oggi ci piacciono le canzoni coi finali tristi.
"La presunta santità di Irene" apre il live, mentre siamo (pluralis maiestatis di conforto) ancora di fronte al barista a elemosinare, con vergogna, una cannuccia per il rum e coca. Quindici anni fa te la davano subito, senza guardarti come se fossi una sporca assassina di delfini. Quindici anni fa non avevamo ancora vissuto tutti quegli tsunami di (amori) di plastica. Ci avviciniamo al palco, dribblando una coppietta in cui lei chiede a lui di ballare una bachata sulle note della canzone. Perché? Nel dubbio, il ragazzo esegue come fosse la cosa più naturale del mondo. Questo qui l'amante a Carate Brianza ce l'ha sicuro. "L'Amore non è bello", Dente ha cercato di avvertirci già nel 2009. Forse non gli abbiamo creduto, sognando la vita sentimentale che sarebbe cominciata davvero anche per noi da lì a breve. Avremmo dovuto ascoltarlo meglio, non mettere la testa nella bocca del leone, non fare la cazzata più grande che ci sia: fidarsi di qualcuno. Eppure, eccoci qua. In mezzo alle coppiette che limonano, limonando da par nostro l'ennesima sigaretta. Vorticosamente.
"Quando fai la spesa cosa comperi? Di che colore hai colorato hai colorato i mobili? Vorrei non sapere più nemmeno dove abiti". Su questo immortale verso di "Buon Appetito", parte il salmo responsoriale da parte del pubblico tutto. A manifesta evidenza che ognuno, in quel momento accompagnato oppure no, abbia almeno un fantasma del passato, più o meno recente, a cui indirizzare quelle parole. Con buona pace dello sciagurato o della sciagurata dolce metà lì presente. Dopo i 30 anni è un casino, ogni canzone, specie di questo disco, ti ricorda un passato che, per qualche tempo, è stato possibile. Ma che ora non esiste più. Come una villa gigantesca fatta di sole porte chiuse, murate col cemento. E abitata da un Minotauro affamatissimo che, da un momento all'altro, potrebbe spuntare per i corridoi. "Ho messo le mani in tasca e ho sputato sulla tavola. Buon appetito, amore mio". È solo questo che rimane di noi? Un intrico di passivo-aggressività che ci raccontiamo con sarcasmo ed eleganza per darcela a bere meglio? Probabilmente, sì. Andiamo a richiedere, con vergogna, un'altra cannuccia. Perché dei delfini non ci importa nulla, a questo punto. Beh, pure prima, comunque.
"A me piace lei e lei piace a me", l'amore non corrisposto in due frasi brevissime. Una canzone piena di periodi ipotetici, di frasi iperboliche e dolci da arricciare il naso che raccontano tutto ciò che lui, Dente, sarebbe disposto a fare pur di conquistare la donna delle sue brame e, soprattutto, farla stare bene per il resto della vita. È anche colpa di Peveri se, a 20 anni, abbiamo maturato l'idea che gli uomini potessero provare sentimenti per più di quindici minuti. Si assuma questa grossa responsabilità pratica di averci illuso così, alla vigliacca. Infatti, sul palco parla poco, con "Voce Piccolina". Lo sa che ci sta fregando, di nuovo. Anche se è stato, alle volte, bello crederci. E sentire di stare davvero "Saldati", "come a primavera sugli alberi le foglie, Fafaraffa, fafafà". Per quei quindici minuti.
Non vogliamo, però, restituire l'impressione di aver trascorso una serata triste. Anzi. Quel velo di malinconica nostalgia non farà parte delle cose concrete, utili, fondamentali alla vita come i business plan sui fogli Excel. Non è una roba tangibile né fatturabile, non ci si campa mica. Specie a Milano, dove è impossibile permettersi un affitto da soli, appunto. Ma resta confortante rituffarsi nei tempi in cui, magari, tutto era ancora possibile, non esistevano tetre responsabilità, non bisognava per forza essere adulti ogni minuto. O sostenerne la maschera. Un concerto di Dente garantisce due ore facili, da smascherati. In qualità di fidanzati schiavi, single che vanno avanti lo stesso, amanti di Carate Brianza che, mentre nell'aria gira "Baby Building" intasano la chat Whatsapp dell'omuncolo di turno con sequele di non visualizzati "Dove sei?". Perché è mano nella mano con la moglie a ballare una bachata senza senso.
L'Amore non è bello, l'amore è deludente assai. Un concerto di Dente, invece, non lo è mai. Non lo è oggi, come non lo era nel 2009. Perché parla della cosa più effimera che esista, di tutti quei sentimenti che ci hanno preso in giro un tempo e ancora adesso. Con sarcasmo ed eleganza, con una "Voce piccolina" da ultimo degli eroi romantici. Perché Dente, a suo modo, è l'ultimo degli eroi romantici. Poco importa se l'indie italiano nel 2024 sia o meno trend, mainstream o evergreen. Il problema è che, troppo spesso, si è banalizzato in posa. Quando basterebbero invece, solo, belle canzoni. E Giuseppe Peveri le ha. Come le avrà "per sempre che fondamentalmente è uguale a mai". Per fortuna o meno, non si tratta di parole che siamo o saremo in grado di "cancellare dal vocabolario". Ed è un bene. Sai che allegria, invece, la vita di un foglio Excel. Chiude il richiestissimo bis con "Beato Me". Mentre ancora canticchiamo di quanto siano belle "le macchine senza le multe", sulla strada del ritorno, inforchiamo la corsia dei tram. E abbiamo anche le doppie punte. Dopotutto, che l'amore non sia bello è uno dei nodi più semplici. No?