C’è qualcosa di terribile nella cieca stupidità dei commenti che leggo sui social dopo il verdetto Depp-Heard. Diciamolo, tutto questo squallido affaire non è altro che il banco di prova, la prova generale per quello che tra qualche anno vedremo, in diretta con maratona Mentana, tra Damiano David e Giorgia Soleri: David vs Soleri, dove lui chiederà 50 milioni di risarcimento a lei per averlo sputtanato a Casa Chi affermando che lui, Damiano, ha sofferto di gravidanza isterica prima della nascita del loro primo figlio no-binary. E lei chiederà a lui di ridarle tutta la sua dignità di donna libera che le è stata tolta quando, nell’estate del ‘ 23, Damiano in preda a un raptus, l’ha depilata integralmente il tutto perché a Giorgia era stata diagnosticata una nuova malattia ginecologica (annunciata in diretta nazionale come il discorso di fine anno del Presidente della Repubblica) che le aveva scatenato una ittiosi talmente grave da rendere la peluria del corpo dura quando le squame di uno squalo provocando, purtroppo, nel compagno ferite che ricordavano quelle di una tortura medievale (o di Iggy Pop all’epoca degli Stooges).
Tornando al noioso processo Depp- Heard le dichiarazioni di Amber fatte nel 2018, nell’editoriale sul Washington Post, risultano fatte con malizia e dovrà pagare all’attore dieci milioni di dollari e altri cinque di danni punitivi (?) che, molto probabilmente, si ridurranno a meno di 1/5. D’altro canto la star della saga Pirati dei Caraibi dovrà risarcire l’ex moglie, per lo stesso identico motivo, della cifra di due milioni di dollari. Come scrissi nel precedente articolo, qualche settimana fa, credo che questo sia uno dei casi più noiosi della storia dei processi mediatici e, al contempo, è interessante per le riflessioni (o pseudo tali) che spinge più o meno tutti noi a fare al di là dei commenti da bar dello sport. Mentre abbiamo raggiunto la parità lessicale, noi donne e qualsiasi frangia oppressa storicamente dalla società, stiamo perdendo velocemente terreno su campi ben più importanti in cui lottare, come il diritto all’aborto e piccolezze simili che spingono inquietantemente all’indietro le lancette dell’orologio.
Credo che uno dei problemi del femminismo di questo ventennio, diversamente dalla ondata di femminismo solipsistico degli anni ’90 in cui sono cresciuta, è che ogni battaglia per i diritti civili sia diventato terreno fertile su cui investire economicamente e costruire una carriera basata appropriandosi dei problemi altrui. Basta, l’appropriazione culturale fa troppo Novecento. Non mi metto a fare nomi e cognomi perché non solo la lista sarebbe lunga quanto quella di Schindler ma questa gente non merita ancora più visibilità e, molto probabilmente, mi arriverebbe una denuncia per diffamazione. D’altronde, se non ricordo male, Amber Heard non citava Depp in quel famigerato scritto incriminato dove lei si definiva ‘una figura pubblica che rappresenta la violenza domestica’; se queste sono le vacillanti premesse per essere accusati di diffamazione i social potrebbero rappresentare benissimo la Dresda personale di ognuno di noi, nessuno escluso.
Tutto il processo è sbagliato, fin da come i media hanno presentato le parti in causa (e perché qui non si parla di, odio scriverlo, narrazione tossica?) : lei con una perenne fight face e lui triste, chiuso in se stesso, povero angelo tormentato da demoni personali.
La mia opinione non conta, ovviamente, se non nella misura in cui mi viene qui, da altri, richiesto di scrivere qualcosa o di tirare le somme. Quando si tratta di rapporti tossici non dico che non ci sia un colpevole o una vittima, ma sono situazioni cosi vischiose dove ciò che è giusto e sbagliato convivono in una zona liminale dove solo un giudice con prove alla mano (prove concrete) dovrebbe esporsi ed essere totalmente slegato dal contesto politico e sociale, ma diciamolo che è praticamente impossibile e il caso O.J. Simpson fu un triste precedente nella storia culturale. Tre anni fa uscì per Prime Video un documentario su Lorena Bobbitt e il caso che sconvolse (a ragione) il mondo. Non indugio sui dettagli ma vedendolo continuavo a chiedermi come lei, dopo l’evirazione ai danni del marito, dopo le accuse di stupro e di altre violenze terribili, mantenesse dopo anni di distanza dal processo una comunicazione di stampo civile, se non affettuosa, con lui. Se non si è mai stati in una storia tossica non si potrà mai capire un comportamento che, dall’esterno, pare completamente privo di senso, di amor proprio e dignità. Invece. Non mi sorprenderebbe pure una reunion tra la Heard e Depp, o una futura collaborazione, d’altronde Hollywood adora le storie di redenzione e riscatto e Johnny con quell’allure da maledetto e da incompreso si è parato il culo buona parte della sua vita. Ha salvato fuori dal Viper Room Courtney Love da una overdose (parole di lei per aiutarlo nel processo), ma al contempo il 31 ottobre del 1993 proprio fuori dal Viper moriva River Phoenix, e sempre di overdose. Sapete a me ha sempre stupito l’hype attorno a Depp, soprattutto considerando i volti che facevano parte della Nuova Hollywood con lui - e da prima - come River sopracitato. Continuo a non capirlo, come non capisco perché la giuria non si è espressa, piuttosto, contro l’insopportabile fan-base (come ogni fan-base) dell’attore, che meriterebbe 200 ergastoli e senza possibilità di appello. In questo caso ha vinto l’ottusità bovina del partito del ‘non si scinde l’artista dall’uomo’ (ma se al posto di Johnny Depp ci fosse stato che ne so, Bill Burr o Jesse Plemons?), in compenso, però, hanno perso tutti gli altri: ha perso Johnny Depp, ha perso Amber Heard, e abbiamo perso noi cinefili che saremo costretti, presto o tardi, a subire l’annuncio di un nuovo orribile capitolo de I Pirati dei Caraibi, confidando che se non ci uccideranno le medie stagionali completamente sballate lo farà il vaiolo delle scimmie.
Soprattutto hanno perso le donne - io da oggi mi identifico in un pomello della porta prendendo esempio da Rachel Dolezal - e quel #Metoo partito dal basso sorretto da donne afroamericane poi inglobato (?) da donne ricche, bianche e famose, ha perso totalmente la sua spinta dimostrando che forse un hashtag è solo un hashtag, e certe strategie di comunicazione e i social non funzionano sempre in termine di progresso sociale, ma trovano la loro massima espressione nel protrarre la violenza su altri livelli di gioco.
Il problema è che nella scelta dei volti mediatici del movimento abbiamo sempre ‘puntato’ sui cavalli sbagliati: da Amber Heard ad Asia Argento, non proprio l’immagine della Donna Reed o della donna mite o elegante che viene apprezzato anche dalle frange più Simp e woke dell’intellighenzia di oggi. Donne complesse, che si contraddicono, che sbagliano, accusano e pagano. Non ho simpatia per Amber Heard sotto nessun punto di vista, probabilmente mi è semplicemente indifferente che è ancora peggio che suscitare antipatia, ma mi chiedo se una come Amber Heard, che per dirla con le amiche femministe da Instagram è bianca e privilegiata non solo non ha vinto, ma è diventato oggetto di derisione nel migliore dei casi, odio e auguri di morte nei peggiori, che possibilità abbiamo noialtre stronze?
Johnny Depp dichiara che ‘la giuria’ gli ha ridato la vita, e per quanto fosse imbarazzante e degno di uno sketch dei Monty Python l’avvocato della Heard ha ragione sul grado di ‘coinvolgimento’ dell’attore, rimasto a Londra con Jeff Beck, ma d’altronde perché smuoversi? Oggi non si sono palesati neanche i fan fuori dal tribunale perché un verdetto più cantato è difficile da immaginare.
Questo dimostra totalmente l’inconsistenza del #Metoo e di qualunque battaglia (ma spero di essere smentita, davvero) parta dalle maglie ambigue e fin troppo larghe della banda larga. Ogni lotta e ogni hashtag non sono altro che territori da conquistare e depredare incuranti degli autoctoni che vi abitano, in questo caso di persone che sono vittime di stupri, molestie e violenze di qualsiasi grado e genere. Come dicevo sopra sono inquietanti le reazioni sui social e si allineano e sovrappongono perfettamente ai commenti degli incel che godono, per interposta persona, della disfatta della bella Amber (il loro 9 irraggiungibile, la ragazze perfetta che li ha sempre pisciati). Davvero, non c’è alcuna differenza, ed è sintomatico di una società che regredisce dietro una maschera di politicamente corretto che ha il sapore di un meme di cattivo gusto.
Il verdetto Depp- Heard è stato annunciato fin dal loro divorzio per non dire, addirittura, dal loro matrimonio. Lui era il bello e tormentato di Jim Jarmusch e Tim Burton, volto venerato e rigurgito dei 90s, lei la belloccia arrampicatrice (almeno ci avessi dato qualche prova attoriale buona per difenderti Amber).
Nel 2019 uscì un bel film di Roman Polanski (un altro condannato senza appello) che si chiama J’accuse, e tratta dell’affaire Dreyfus. Polanski, magistralmente, dimostra che bisogna essere dalla parte di Dreyfus, di tutti i Dreyfus del mondo per quanto possano risultare sgradevoli, per quanto sia impossibile creare un legame di empatia con loro. Non sto dicendo che Amber Heard sia innocente, eppure non possiamo affermare - del tutto - il contrario; la verità è morta nelle private stanze della coppia e della loro memoria, e lì non abbiamo accesso.
Dobbiamo sostenere le vittime indipendentemente dalle simpatie, indipendentemente dal fatto che non siano, come nel caso di Johnny Depp, figure ammantate per noi nati tra i ’70 e i ’90, di un romanticismo legato alla nostra gioventù.
Potrei raccontare una manciata di aneddoti che mi riguardano - e non interessano a nessuno -, e le vostre amiche, madri e sorelle potrebbero aggiungerne altre di manciate, e sono sicura che tutte avrebbero a che fare, in misura minore o maggiore, in qualche punto oscuro della propria esistenza, di violenza domestica, di abusi fisici e psicologici (e questi ultimi hanno sempre ripercussioni sul proprio corpo). E voi non ci credereste, come nessuno ha creduto ad Amber Heard.
Chissà come mai nella realtà, quella vissuta de visu, la reazione è sempre di ilarità di fronte certi racconti, in contrapposizione all’atteggiamento serioso, pedante, guardingo (ehi ci guarda il grande fratello non possiamo sbagliare), comprensivo e oscenamente ipocrita assunto sui social. In fondo è questo il terribile e schizofrenico orizzonte in cui abbiamo voluto vivere. Io no, io sono un pomello.