Il delitto di Sharon Verzeni ha inevitabilmente evocato l'ombra del serial killer. Dietro l’omicidio della trentatreenne c’è la mano del killer di Daniela Roveri, la manager uccisa nell’androne di casa come qualcuno ha suggerito? Improbabile. Al contrario, la verità verosimilmente è che non c'è alcun mostro che si aggira nell'oscurità. La faccenda è meno complessa. Anche se per adesso non sembra. Andiamo per gradi. La pista del serial killer, tanto suggestiva quanto infondata in questo caso, va scartata. Il delitto di Sharon è una storia diversa, che richiede un'analisi lucida e priva di pregiudizi. L'idea che dietro ai delitti di Sharon Verzeni e Daniela Roversi possa celarsi un serial killer è affascinante e suggestiva, ma niente di più. Vi spiego subito perché. I serial killer tendono a seguire uno schema coerente nel modo in cui uccidono. Nel caso di Sharon e Daniela, nonostante entrambe siano state freddate a colpi di coltello, le circostanze degli omicidi sono diverse. Daniela è stata aggredita in un androne di un condominio, mentre Sharon è stata trovata in strada, a distanza di sette anni. Questa variazione nel modus operandi è un chiaro indicatore di come gli omicidi non siano stati commessi dalla stessa persona, dato che i serial killer di solito perfezionano il loro modus operandi piuttosto che cambiarlo drasticamente. C’è anche la distanza temporale a mettere in discussione il fatto che dietro possa esserci la stessa mano sanguinaria. Difatti, nonostante esistano serial killer che si ibernano per periodi relativamente lunghi, la regola vuole che gli stessi uccidano con maggiore frequenza, soprattutto dopo il primo omicidio. In soldoni, quindi, il settennato di inattività del presunto mostro seriale della bergamasca rende verosimile l’ipotesi che i due crimini siano stati commessi da persone diverse. In ultimo, è noto come i serial killer lascino una firma. Un elemento, un dettaglio che li distingue da tutti gli altri e che ricorre in ogni atto sanguinario del quale si macchiano. Tra Sharon e Daniela non esiste alcuna firma. Per questo chi ha ucciso la Verzeni deve essere cercato altrove. Deve essere rintracciato nelle maglie delle sue relazioni e dei suoi rapporti più prossimi.
Dalle indagini emergono ulteriori dettagli. Uno è dal mio modo di vedere particolarmente rilevante dal punto investigativo. Si è detto che la giovane usciva a camminare dietro consiglio della dietologa. Ebbene, secondo quanto emerso quelle di Sharon non erano uscite sistematiche. Tanto è vero che le tre sere antecedenti a quelle in cui si è consumato l’omicidio non lo aveva fatto. Il compito di un profiler è quello di restringere la rosa dei sospettati, depennare i meno probabili e concentrarsi su obiettivi realistici. Chi ha ucciso Sharon sapeva che quella sera sarebbe uscita e lo avrebbe fatto da sola. Rompendo l’abitudine acquisita, che era quella di passeggiare con Sergio Ruocco, il suo futuro marito. Tornando alla questione della profilazione, è altamente probabile che qualcuno a lei molto vicino sapesse i suoi movimenti di quella sera. Non abbiamo a che fare con un soggetto che ha agito in modo estemporaneo. Ma abbiamo a che fare con chi ha pianificato il delitto. E questo è un fattore investigativo importante, sicuramente non di poco conto. Sono sessanta tra quelli pubblici e privati gli impianti di video sorveglianza della zona. Eppure, il killer sembra essere sfuggito a tutti gli occhi elettronici. Nessuna coincidenza. Come non lo è il fatto che l’assassino sapeva che Sharon quella sera sarebbe andata a camminare.
Anche la dinamica omicidiaria racconta molto su questo delitto che tiene tutti con il fiato sospeso, non solo la comunità bergamasca. Il suo aggressore l’ha sorpresa con tre coltellate alle spalle e una al petto. Le prime però sono state quelle alla schiena. Il killer lo ha fatto in modo da provocare il massimo danno con il minimo rischio per sé stesso. Lei non è riuscita a difendersi non solo perché probabilmente ascoltava la musica con le cuffiette, ma perché l’aggressione è avvenuta mentre versava in condizione di massima vulnerabilità. Attinta dalla lama di quel coltello da cucina quando era voltata di schiena da qualcuno che ne ha tradito la fiducia nel modo più violento possibile. Ieri sono tornati in caserma per essere sentiti come persone informate sui fatti il fratello e la sorella della vittima, Christopher e Melody Verzeni, ed il cognato, Stefano Campana. Il fratello minore e la sorella maggiore di Sharon, accompagnati dal marito di quest’ultima, sono stati sentiti dai carabinieri del Nucleo investigativo di Bergamo per cinque ore. Ore nelle quali è stato approfondito il rapporto tra la sorella di Christopher e Melody ed il compagno. Cosa stanno cercando gli investigatori?
Secondo la vittimologia, di quel ramo della criminologia che studia le caratteristiche biologiche, psicologiche e morali della vittima di un crimine per risalire al suo assassino, Sharon era una vittima a basso rischio. Viveva cioè in una condizione che di base non accresceva in alcun modo la possibilità di essere uccisa. Non c’erano ombre nelle sue frequentazioni né nella sua vita privata. E proprio per questo non bisogna andare troppo lontano per cercare il suo assassino. Bisogna inserirsi nelle piaghe della sua vita specchiata. Quella sera è stata uccisa da qualcuno che si era organizzato per farlo. Qualcuno che cammina indisturbato, o quasi, ancora a Terno d’Isola. Certamente non un serial killer e neppure Ignoto 1. Quest’ultimo è già stato assicurato alla giustizia quattordici anni fa.