Siamo vicini alla svolta nel delitto di Sharon Verzeni? Quel che è certo è che l’esclusiva firmata da Maurizio Licordari, inviato della trasmissione Estate in Diretta, potrebbe aprire nuovi scenari. Stando a quanto riferito dal giornalista di Rai Uno, che avrebbe raccolto un’indiscrezione investigativa, le telecamere avrebbero immortalato un uomo in bici in zona di via Castegnate. Esattamente il luogo in cui si è consumato l’omicidio, ed esattamente nel momento in cui Sharon è stata attinta dalle coltellate. L’uomo misterioso percorrerebbe la via in sella alla sua bici pedalando contromano. È un testimone cruciale o l’assassino? Sicuramente è qualcuno in grado di riferire notizie dirimenti. Per quanto mi riguarda, propenderei per l’ipotesi di un testimone. Se così fosse, farebbe bene a raccontare ciò che sa. Riflettendo su questa indiscrezione è infatti più probabile che si tratti di un teste. Ed il perché non è difficile da comprendere. Considerata la dinamica è verosimile che il killer abbia sporcato i suoi vestiti con il sangue della vittima, data la brutalità delle coltellate inferte. In maniera semplicistica, quando una persona viene accoltellata il movimento della lama all’interno del corpo e l’estrazione della stessa possono causare la proiezione di sangue. Pertanto, non è così inverosimile che, avendo l’assassino colpito ripetutamente Sharon, il sangue di quest’ultima possa essere schizzato dalla lama durante i colpi successivi al primo. Imbrattando proprio i suoi vestiti. Dunque, un uomo in bici avrebbe dato maggiormente nell’occhio rispetto a un uomo a piedi che magari è riuscito a camuffarsi tra le persone accorse sul posto. Rifletteteci.
C’è però un’altra notizia che tiene banco nelle ultime ore. I Ris avrebbero infatti prelevato campioni di Dna. Decine le persone convocate dai Carabinieri. Suggestiva, certamente, la ripetizione della mappatura dei Dna partendo da Terno d’Isola. Ancor più suggestivo che il luogo disti solamente due km da Chignolo d’Isola, che è stato per tre mesi la tomba di Yara Gambirasio. Un metodo che, quattordici anni fa, ha incastrato proprio l’assassino della ginnasta di Brembate e che, forse, potrebbe dare un ausilio alle indagini. Ma per un semplice motivo. Gli investigatori, come ormai avviene quasi per prassi consolidata, hanno campionato le persone che a vario titolo sono intervenuti sulla scena del crimine, soccorritori e testimoni, e a quelle che abitano nella zona. Un’attività certamente dirimente per selezionare le informazioni genetiche utili da quelle contestualizzabili in diversa maniera proprio sulla scena del crimine. Data la dinamica omicidiaria, come già anticipato, è possibile tranquillamente affermare che Sharon è stata vittima di una trappola mortale. Una trappola organizzata da chi quella sera aveva un solo obiettivo: ucciderla. Dunque, così come ha studiato con precisione il luogo dove aggredirla, è ipotizzabile che abbia anche utilizzato dei dispositivi di protezione. Verosimile che lui si sia sporcato gli abiti che indossava, più difficile che abbia lasciato tracce di sé sulla vittima. Salvo ipotizzare che siano cadute gocce di sudore o di saliva. Difatti, anche se è vero che ogni contatto lascia una traccia, è altrettanto vero che questo è un delitto premeditato in ogni sua forma. Niente è stato affidato al caso. Come niente, purtroppo, ha lasciato scampo alla giovane Sharon Verzeni.
Accantonando per un attimo l’indagine genetica e l’uomo in bici, che potrebbe essere a mio modo di vedere più un teste oculare che l’assassino, ripartiamo dalla vittima. Sharon Verzeni aveva una vita specchiata, abitudinaria. Non aveva ombre né scheletri nell’armadio. Condivideva la vita con il compagno che dopo anni di relazione sarebbe diventato marito. Chi e perché avrebbe dovuto ucciderla? Il suo profilo vittimologico la rende a bassissimo rischio. Niente poteva far presagire una fine di quel tipo. Se non contemplando l’ipotesi dell’orario in cui è uscita di casa per camminare. Tarda sera. Un’abitudine che aveva preso, vero, ma che era solita coltivare con il compagno Sergio Ruocco. Anche da questo punto di vista è davvero difficile credere che il suo assassino sia stato così fortunato non solo da sfuggire (forse) agli occhi della notte, ma anche da sorprenderla da sola. Circostanze, queste, che dal mio punto di vista tenderebbero ad escludere la pista del balordo di turno che l’ha aggredita per caso. Un’ipotesi poco credibile anche perché il killer sembrerebbe in grado di saper gestire con destrezza anche la fase successiva al delitto. Dato che, al momento, resta ancora ignoto e tiene sotto scacco chi indaga. E lo fa a ritmi serrati. Vi garantisco che un assassino improvvisato non è in grado di farlo. Quella sera qualcuno è uscito di casa per uccidere Sharon. Le ha teso una trappola lasciandole la disponibilità del telefono con il quale ha chiamato i soccorsi. Quel telefono di cui è stata estratta copia forense per risalire agli ultimi contatti della vittima. Lo smartphone di Sharon è rimasto sulla scena perché il killer è sicuro che non ci siano tracce che portino a lui o è un errore che ha commesso quando ha iniziato la fuga? Proprio perché la vita di Sharon era una vita ordinaria, lo ribadisco, la verità è da ricercare nelle sue strette vicinanze. Per chi indaga tutte le piste restano in piedi. La soluzione più semplice è sempre quella da preferire.