Chi ha ucciso Sharon Verzeni, la ragazza massacrata a colpi di coltello poco più di una settimana fa a Terno d’Isola mentre passeggiava? L’omicidio resta ancora un giallo. Mentre gli inquirenti sembrano non escludere alcuna pista, per risolverlo dobbiamo tornare dove tutto è cominciato: sul luogo del delitto. E dobbiamo farlo partendo da un assunto. Le coincidenze sulla scena di un crimine non esistono. E neppure in quella che ha visto soccombere una giovane donna che aveva ancora una vita davanti. Vi spiego subito perché. Difficile credere che il killer di Sharon sia stato talmente fortunato da non incrociare neppure un occhio elettronico. Peraltro, in una località piena zeppa di telecamere di video sorveglianza. Pubbliche e private. Piuttosto, è verosimile che chi ha ucciso Sharon le abbia teso una trappola mortale. E gliel’abbia tesa con il chiaro intento di farla franca. Quattro coltellate. Tre alla schiena ed una al petto. Forse le prime quando la ragazza era voltata di spalle. Avvantaggiato, quindi, da un’evidente condizione di minorata difesa. L’assassino, dunque, inevitabilmente era a conoscenza delle abitudini di Sharon e aveva una certa familiarità con il lugo del delitto. Nello specifico, sapeva che quest’ultima era solita camminare in orario notturno e che avrebbe potuto agire libero da occhi indiscreti esattamente nel punto in cui l’ha aggredita. Non dimentichiamoci che la scena di un crimine non solo è il punto di partenza di ogni indagine. Ma è anche la prima forma di comunicazione tra l’assassino e gli investigatori. Da una simile angolazione, faccio fatica a credere che Sharon sia stata la vittima occasionale di un balordo di turno. Perché, se così fosse, a quest’ora sarebbe già stato assicurato alla giustizia considerando il modus operandi disorganizzato che questi soggetti sono soliti mettere in campo. Al contrario, il killer è ancora in fuga. Dunque, per districare la matassa, bisogna ripartire dalla vita di Sharon. Dal punto di vista vittimologico, il ramo della criminologia che studia la vittima di un delitto per risalire al suo assassino, Sharon è qualificabile come “a basso rischio”. Ciò perché conduceva una vita ordinaria, senza scheletri nell’armadio e con uno stile di vita che fino alla sera in cui è stata uccisa non la esponeva in alcun modo ad una fine di questo tipo. Sharon aveva un diploma da estetista, ma lavorava in un bar pasticceria. Aveva una vita specchiata, una relazione stabile con il compagno Sergio da tre anni, convivevano ed erano ormai prossimi alle nozze. Che cosa può essere accaduto a questa giovane ragazza? Quel che è certo è che il compagno ha un alibi di ferro.
Solitamente accompagnava quest’ultima nelle sue camminate serali, quella sera, però, aveva deciso di rimanere a letto. Il suo alibi è confermato dalle telecamere dei vicini. Sergio, quella notte, non è uscito di casa. Possibile che l’assassino abbia monitorato la sua preda e aspettato di trovarla in solitaria? La dinamica omicidiaria sembrerebbe avvalorare questa ipotesi. Tuttavia, non si può prescindere dall’investigazione scientifica. Dopo i Ris, sono giunti sul posto anche il Ros, il Raggruppamento Operativo Speciale dell’arma dei Carabinieri. Sotto la lente degli investigatori sono finiti non solo i vestiti della giovane, ma anche una serie di coltelli, una branda ed un garage a pochi passi dal luogo in cui si è consumato il crimine. Certo, se venisse identificata l’arma del delitto tra i reperti sequestrati, le indagini sarebbero sicuramente in discesa. In attesa, però, di tali riscontri, i vestiti indossati da Sharon la sera in cui è stata uccisa potrebbero già dare alcune risposte importanti. Questo ce lo suggerisce sempre il principio di Locard. Difatti, sulla scorta del “ground zero” tra i principi che governano l’analisi della scena del crimine, quando una superfice “A” viene a contatto con una superficie “B” avviene uno scambio reciproco di tracce tra le due superfici. Applicando questa massima non è difficile comprendere come durante l'attacco, il killer, potrebbe aver toccato Sharon o i suoi vestiti ed aver traferito così cellule della pelle, del sudore o altri materiali biologici. Quindi del suo materiale genetico. Se poi si fosse ferito durante l'aggressione, il suo profilo potrebbe essersi trasferito indirettamente. Per esempio, se l'assassino aveva tracce di sudore o altri fluidi biologici sulle mani o sull’arma, è possibile che li abbia trasferiti sui vestiti di Sharon. Logicamente se il killer ha rilasciato la sua firma genetica ed è un pregiudicato non sarà difficile scovarlo. Non lo sarà perché esiste nel nostro Paese una banca dati del dna di tutti i soggetti che hanno precedenti penali. Basterebbe inserire quel dna nell’apposita banca dati. Da questa mattina c’è di più. Nella serata di ieri sera a Terno d’Isola è stata rinvenuto dal giornalista investigativo Alessandro Politi un fagotto sporco, forse di sangue. Quest’ultimo, mostrato in esclusiva questa mattina su Rai1 nel corso della trasmissione Uno Mattina Estate, sembrerebbe essere una maglia. Forse quella indossata dal killer? E, ammesso che si tratti di imbrattamento, il sangue è della vittima? Bisognerà attendere le indagini. Se così fosse, però, quel reperto potrebbe dare un ausilio significativo, e probabilmente decisivo, alle indagini. Ogni assassino lascia qualcosa di sé sulla scena del crimine e porta via qualcosa di sé dalla scena. Quando una persona viene accoltellata, il movimento della lama all'interno del corpo e l'estrazione della stessa possono causare la proiezione di sangue. Il killer di Terno d’Isola ha colpito ripetutamente. Pertanto, il sangue può essere schizzato dalla lama durante i colpi successivi al primo, imbrattandone così i vestiti. Le indagini si fanno sempre più serrate. Diverse le piste sul tavolo, ma bisogna insistere dal mio punto di vista nella sua vita. Qualcuno aveva deciso che Sharon doveva morire e ha programmato come e quando farlo.