Alla fine si ritorna sempre lì, in Vaticano. La verità sulla scomparsa di Emanuela Orlandi probabilmente non è così lontana dal luogo che l’ha vista crescere. Alla fine di tutto, davvero la sua unica “colpa” è quella di essere una cittadina vaticana? Perché ogni cosa riporta sempre lì, alla Santa Sede. Dal quel giugno 1983 abbiamo visto alternarsi tre pontefici: a legarli il silenzio. Qualcosa si muove, ma mai abbastanza. Come le parole di Papa Francesco su monsignor Georg Gaenswein, segretario particolare di Benedetto XVI, che ha pubblicato subito dopo la morte di Ratzinger il suo libro di memorie: “Una mancanza di nobiltà e di umanità”. In questo libro padre Georg smentisce l’esistenza di un fascicolo sul caso Orlandi, commissionato proprio da lui a seguito dell’incontro con Pietro Orlandi, fratello di Emanuela. Nonostante le parole del monsignore, a confermare la presenza di questo fascicolo tra le mura vaticane Paolo Gabriele, ex maggiordomo di Ratzinger, che rivelò alla famiglia di Emanuela di aver visto il fascicolo sulla scrivania di Gaenswein, dicendosi rammaricato di non averlo potuto fotocopiare.
Dove si trova ora questo dossier? Forse potrebbe trovarsi ancora nelle mani di Gaentswein, che al momento non è stato ascoltato ne in Vaticano ne in Procura a proposito delle nuove inchieste aperte per far luce sulla scomparsa di Emanuela. Padre Georg è custode anche di altri segreti, che prese parte alla decisione su cosa inserire nella cassa che nel 2013 Ratzinger consegnò al suo successore. Cassa che, tra gli altri, conteneva anche un documento di notevole importanza conosciuto come “Rapporto Herranz”. stilato da una commissione, durante il Vatileaks, incaricata di far luce su tutte le ombre della chiesa. Su questo si è pronunciato anche Pietro Orlandi: “II "Rapporto Herranz" dato da Papa Benedetto XVI a Papa Francesco fu consegnato a Cosea, e contiene informazioni sulla vicenda di Emanuela. Francesca Chaouqui è a conoscenza del contenuto di quel rapporto, è ora che parli visto che ancora non è stata convocata da quando, un anno fa, ho fatto il suo nome a Diddi per l'inchiesta vaticana affinché fosse ascoltata”. Un semplice rapporto o un concentrato di verità scomode che se diffuse segnerebbero per sempre un prima e dopo per la Santa Sede? E, come sempre, la storia di Emanuela non fa che stringersi ancora di più con le mura vaticane…