Se uno dovesse cercare tra gli scrittori una persona allo stesso tempo terrorizzata e realista, lucida tanto nel criticare la sinistra americana quanto nel condannare in ogni sua forma il trumpismo, allora dovremmo subito guardare dov’è seduto David Leavitt. Il decoro, la sua satira contro i liberal della classe medioalta traumatizzati dalla prima vittoria di Donald Trump, non tanto per un pericolo per la società (pericolo comunque reale) quanto per la loro sopraggiunta irrilevanza politica nel panorama americano, iniziava così: “Vi andrebbe di chiedere a Siri come assassinare Trump?” In America ci sono andati vicini con l’attentato fallito qualche mese fa. Trump è tornato in corsa per le presidenziali nel 2024 prima contro Biden e poi contro la più giovane Kamala Harris (che Leavitt sostiene). E ha stravinto. L’immagine che meglio racconta la fine di questa corsa è quella dei sostenitori di Harris che se ne vanno a testa bassa e in silenzio dalla Howard University, dove si erano ritrovati per festeggiare una vittoria annunciata. C’è una parte d’America che era stanca dell’ipercorrettismo politico su cui i Dem hanno basato gran parte della loro propaganda antirepubblicana. Una fissazione che ha alimentato i peggiori sentimenti di un americano colto e benestante, che in un modo o nell’altro hanno anche soffocato chi, tra i sostenitori di Kamala Harris, sperava semplicemente in una presidente donna nera che potesse difendere l’aborto, la sanità o i diritti omosessuali. Quei cattivi sentimenti che hanno contagiato grossomodo la classe studentesca americana (quella fascia cioè di giovani che si informano sui social e saranno i futuri Eva Lindquist, la protagonista del romanzo di Leavitt) e di cui si lamenta anche Bret Easton Ellis in Bianco. Così l’ipervittimismo dei ricchi liberal (di Hollywood, in una parola) ha fatto vincere Trump.
Però non esistono solo le Taylor Swift, esistono anche i fatti. E i fatti sono questi: Trump non è solo il presidente più anziano mai eletto e il primo presidente con una condanna penale, ma anche il primo vero presidente antiamericano d’America. La frase non è solo mia. Quando decise di candidarsi la prima volta, Joe Biden disse che Trump non era davvero un presidente americano. In effetti aveva ragione ed era stato forse troppo generoso nei confronti del tycoon. Il Trump politico con l’America non c’entra niente. Come racconta il due volte Pulitzer (per il Watergate e per i reportage sull’11 settembre) Bob Woodward, Putin ha sempre manipolato Trump, una mente semplice e ben disposta verso gli elogi e le sviolinate. Putin ha anche ricevuto da Trump la più importante dichiarazione di sostegno da parte di un presidente americano quando quest’ultimo lo difese dalle accuse lanciate dall’Fbi sulla presunta interferenza della Russia nelle elezioni americane del 2016. Come un candidato presidente americano potesse non prendere le parti di un’agenzia governativa resta un mistero anche per gli stessi repubblicani (che al tempo rimasero sbalorditi). In effetti Trump non ha avuto mai un buon rapporto neanche con la Cia. Per i servizi di intelligence, infatti, la collaborazione con l’allora presidente – come riportato nello studio della stessa agenzia firmato da John L. Helgerson – funzionò con molti sforzi e pochissima collaborazione.
Oltre ai problemi con le leggi dell’uomo, Trump ha anche avuto qualche problema con le leggi di natura. È convinto che il cambiamento climatico sia, parole sue, una “truffa” e continua a negarlo. Allo stesso modo, secondo un report del 2021 del Lancet, una delle più importanti riviste scientifiche al mondo, l’era Trump è stata un disastro per la sanità e la salute pubblica in America. Non fa piacere ricordare che negli ultimi mesi il neopresidente avrebbe anche promesso a Robert Kennedy Jr di occuparsi, per suo conto, proprio della salute dei cittadini americani; uno, per intenderci, che crede che i vaccini causino l’autismo. Chi esulta per la vittoria di Trump crede che i Repubblicani siano gli unici a difendere la libertà di espressione. È semplicemente falso. Mentre con una mano denunciavano politicamente corretto e ideologia woke, con l’altra hanno censurato in un solo anno (dal 2023 al 2024) oltre diecimila libri nelle scuole pubbliche americane. Trump è anche un presidente antirepubblicano (oltre che, sempre per un profiler della Cia, pericoloso). Quando perse contro Biden, infatti, avrebbe voluto semplicemente sfasciare il partito e farsene un altro da zero. Perché ci ripensò? Non per fedeltà ai valori conservatori o dei repubblicani, ma semplicemente perché era il partito a pagare le spese legali per i suoi processi. Non c’è nulla di americano in tutto questo, se non la capacità di vincere e vincere ancora, forse il tratto tanto insondabile quanto specifico del “carattere americano”. Ma chi lo difende per questo motivo dovrebbe ammettere, allora, che più americano di Trump, che mai ha perso tranne una volta nel 2020, c’è stato Biden, l’unico in grado di sconfiggere il tycoon. Ma non sono convinto che i sostenitori dell’americanità di Trump siano disposti a elogiare “Sleepy Joe”.