La veterofemminista Marina Terragni – nota blogger, poi scrittrice, poi opinionista, eccetera – ha denunciato con un articolo su Repubblica una questione che nella sfera trans-lgbtq-terf (e via dicendo) diventa sempre più stringente, quasi un allarme. In pratica, l’identità femminile naturale, quella che lotta contro il patriarcato e fatica a vedere affermati integralmente i propri diritti, viene minacciata e sopravanzata dalla questione transgender, ovvero dall’affermarsi delle donne-trans, che “erano” uomini, ma in realtà lo sono rimaste nella sostanza, in quanto non hanno rinunciato al pene. Qual è la natura del problema? È che adesso molte attiviste che lottano per i diritti delle donne vengono accusate di essere “trans-escludenti”, e così anche le attiviste trans che contrastano la somministrazione precoce di ormoni a bambini e bambine “gender non conforming” (ma chi lo decide, poi, se sono conforming o no, essendo così piccoli?), e sono contrarie alla cosiddetta “autocertificazione di genere”.
Sta di fatto che il professor Robert Wintermute, attivista gay ed esperto di diritti umani al King’s College di Londra, che sedici anni fa partecipò alla stesura dei princìpi che sono alla base delle politiche trans degli ultimi anni, oggi fa autocritica e dice di non aver considerato che “donne trans ancora in possesso dei loro genitali maschili intatti avrebbero cercato di accedere a spazi per sole donne: nessuno allora aveva in mente una cosa del genere”. Perché pensavano ingenuamente che ogni donna trans si sarebbe sottoposta alla chirurgia, mica immaginavano che invece si sarebbero diffusi gli ircocervi con il “vantaggio competitivo”. E questo col tempo ha creato situazioni difficili, a volte disastrose: vediamo quali.
Innanzitutto, il riconoscimento in alcuni Paesi del self-id (autocertificazione di genere) fa sì che trans con il membro abbiano il diritto di entrare nelle case-rifugio antiviolenza riservate alle donne. E qui la situazione si fa critica: nessuna donna musulmana, dopo esser state picchiata e abusata, accetterebbe di condividere gli spazi intimi con persone dotate di verga, come afferma la collaboratrice del New York Times Bina Shah: quasi preferirebbero morire sotto le botte del marito violento. Poi, ancor più grave: i detenuti che si definiscono donne, ma conservano la mazza dell’uomo, ottengono accoglienza nei reparti femminili delle carceri. E qui possono succedere davvero i casini: lettere di detenute canadesi e americane denunciano situazioni critiche: “Il mio nome è Danielle F., sono detenuta nel CIW (California Institution for Women). Ho paura di questa cosa. Sono una vittima di violenza domestica e stupro. Che succederà se uno di questi sex offender che hanno il pene ci violenta?”. “Il mio nome è Heather Knauff, WF 7697. (…) Ci sono già uomini che sono diventati donne che sono tornate a essere uomini per sfruttare questo sistema debole che abbandona la popolazione delle donne già svantaggiate a soffrire ancora di più”.
E, in effetti, i casi di molestie e violenze sessuali non sono rari. L’uomo che si sente donna, assume un’identità sessuale che sente confacente, magari senza sottoporsi a terapia ormonale, è facile che quando finisce in mezzo alle donne senta risvegliarsi la verga: così i problemi tornano al punto di partenza. “Nel frattempo vengono distribuiti preservativi gratuiti e una guida su come ottenere un aborto in prigione”, si legge nell’articolo. A questo punto si è arrivati? Dunque, rendiamoci conto del problema. Tanta furia sui diritti transgender, sul lgbtq, sulla transfobia e la trans-esclusione, tanta propaganda pseudo-progressista e aggressiva che ci martella, e poi dal mondo più avanzato saltano fuori i problemi veri. Parliamoci chiaro: conservare il pene è un fatto, così come è un fatto avere l’apparato riproduttivo femminile. “La categoria delle donne deve aprirsi per fare spazio ad altri soggetti” dichiara “The Queen of Gender” Judith Butler sul Guardian. Caro mondo anglosassone, che sei sempre avanti a fare l’apripista: adesso sono ca**i (appunto). Veditela tu con i membrodotati che si appropriano dei diritti delle donne, approfittando delle quote lavorative, delle politiche di inclusione, dei vantaggi economici eccetera. Niente male, avete fatto un bel casino dal punto di vista delle donne.