L’America si stringe attorno a Donald Trump, e lo fa con una forza che sorprende anche gli osservatori più scettici. Persino figure notoriamente ostili alla sua presidenza – come John Bolton, ex consigliere per la sicurezza nazionale e per anni uno dei critici più accaniti delle sue posizioni – oggi ammettono con realismo che Trump è stato l’unico ad avere il coraggio e la lucidità necessaria per intervenire in un momento di estrema pericolosità globale. La recente operazione Midnight Hammer, condotta contro i siti nucleari iraniani con una precisione chirurgica senza precedenti, rappresenta non solo una svolta strategica, ma anche una clamorosa rivincita politica per un presidente spesso deriso e osteggiato. Trump ha avuto ragione. Ed è proprio questa verità che molti non riescono a mandare giù! In particolare i suoi avversari politici: perché il suo successo, innegabile e concreto, si traduce in un fallimento totale per chi, in questi anni, ha puntato tutto sull’immobilismo e sull’ambiguità diplomatica.

Il cessate il fuoco annunciato tra Iran e Israele, frutto di una mediazione americana silenziosa ma efficace, con il supporto di Doha e dopo una telefonata tra Trump e Netanyahu, è un risultato storico. Rappresenta una svolta autentica in una crisi che, fino a pochi giorni fa, sembrava destinata a degenerare in un conflitto regionale devastante. Dopo giorni di bombardamenti mirati, risposte missilistiche e tensioni internazionali, il risultato è un accordo fragile ma reale, che apre uno spiraglio verso la stabilizzazione. E non è stata l’Europa, con i suoi appelli sterili, né le Nazioni Unite, con le loro risoluzioni inefficaci, a creare le condizioni per questo traguardo. È stata, piuttosto, quella combinazione, tipicamente trumpiana, di fermezza militare e apertura negoziale che non nasce dalla debolezza, ma dalla consapevolezza della propria posizione. Una miscela esplosiva e vincente che solo Donald Trump sa gestire. La strategia del “peace through strength”, la pace attraverso la forza, che non è uno slogan, ma una dottrina concreta che funziona e produce risultati tangibili. Il fatto che l’Iran abbia avvisato gli americani prima di lanciare i suoi missili verso la base di Al Udeid, evitando vittime e danni significativi, è un segnale chiaro. Il regime ha voluto rispondere, per salvare la faccia, ma senza provocare l’irreparabile. Segno che la deterrenza ha funzionato. Le critiche isteriche di questi giorni, mosse da chi da anni accusa Trump di ogni nefandezza possibile, si sono levate subito dopo l’operazione Midnight Hammer, denunciata come una provocazione bellica, un atto irresponsabile, persino anticostituzionale. Ma adesso, quelle accuse lasciano spazio ai risultati. In Europa – e in particolare in Italia, dove gran parte del sistema mediatico è orientato a sinistra – la retorica anti- Trump, carica di ideologia, ha prevalso su ogni analisi lucida. Pur di denigrare il presidente, figure spesso patetiche, in nome dell’antimperialismo e di un’idea distorta di pacifismo, sono arrivate persino a giustificare, direttamente o indirettamente, regimi teocratici e violenti, apertamente ostili all’Occidente. In alcuni ambienti radicalizzati della sinistra europea e del mondo arabo-islamico, questa posizione ha finito per alimentare sentimenti antiamericani e antisraeliani, fino a sfociare in toni che rasentano l’antisemitismo. Un fenomeno tanto reale quanto aberrante. Chi in queste ore continua a minimizzare il pericolo rappresentato da Teheran, si rende complice, anche in modo inconsapevole, di una narrazione pericolosa: quella che legittima chi invoca la distruzione di Israele. E la mancanza di esperienza diretta di cosa significhi vivere realmente esposti ad una costante minaccia esistenziale, genera giudizi tanto superficiali quanto allarmanti. L’intesa sul “ceasefire” annunciato dal Presidente Trump prevede l’immediata sospensione degli attacchi da parte iraniana e il graduale disimpegno delle forze israeliane entro le prossime 12 ore. I mercati hanno reagito in modo del tutto positivo all’annuncio. Il prezzo del petrolio è calato del 4%, le borse del Golfo sono risalite. Segnali che il mondo economico percepisce questa potenziale tregua come un passo reale verso la de-escalation. Poco prima dell’entrata in vigore del cessate il fuoco, sono stati segnalati colpi di mortaio al confine nord di Israele e movimenti sospetti nei cieli della Galilea. Tre israeliani hanno perso la vita. L’ennesima conferma della scarsa affidabilità del regime iraniano. Trump ha definito l’accordo “una vittoria per la pace, ottenuta grazie alla forza”. E dietro queste parole si cela una verità cruciale: la potenza militare americana, se usata con intelligenza, resta uno strumento decisivo per garantire equilibrio e sicurezza nel mondo. In un contesto globale in cui le democrazie arrancano e i regimi autoritari avanzano, Trump ha dimostrato che l’Occidente ha ancora gli strumenti per difendersi. La pace, dopotutto, non si ottiene con dichiarazioni vuote, ma con la credibilità di chi è disposto ad agire. L’azione fredda, mirata e determinata di Trump potrebbe aver evitato al Medio Oriente una nuova catastrofe. Chi oggi lo nega è vittima del proprio pregiudizio. O, forse, teme semplicemente che Trump abbia avuto ragione. Ancora una volta. Trump era perfettamente consapevole che l’operazione Midnight Hammer avrebbe scatenato una valanga di critiche. E così è stato. Gli stessi editorialisti, analisti e figure politiche che da anni lo accusano di ogni possibile nefandezza hanno subito gridato allo scandalo, denunciando l’attacco come una provocazione bellica, un atto irresponsabile, persino un gesto anticostituzionale. In particolare, in Europa – e in Italia, dove gran parte del sistema mediatico è orientato a sinistra – la reazione è stata pervasa da una retorica anti-Trump carica di ideologia, che in nome dell’antimperialismo e di un’idea distorta di pacifismo ha finito per giustificare, direttamente o indirettamente, regimi teocratici e violenti apertamente ostili all’Occidente. In alcuni casi, questa posizione, diffusa in certi ambienti radicalizzati della sinistra europea e del mondo arabo-islamico, ha persino alimentato sentimenti antiamericani e antisraeliani, sfociando in toni che rasentano l’antisemitismo. Un fenomeno tanto reale quanto aberrante. Chi in queste ore ha attaccato la decisione americana di neutralizzare la minaccia nucleare iraniana o continua a minimizzare il pericolo rappresentato da Teheran, si rende complice – anche in modo inconsapevole – di una narrazione pericolosa: quella che legittima chi invoca la distruzione di Israele. E la mancanza di esperienza diretta di cosa significhi vivere realmente esposti ad una costante minaccia esistenziale, genera giudizi tanto superficiali quanto allarmanti. Il cessate il fuoco, mediato da Washington e Doha, è stato annunciato dopo una telefonata tra Trump e Netanyahu e contatti indiretti con Teheran: prevede la sospensione immediata degli attacchi da parte iraniana, e il ritiro progressivo delle forze israeliane nel giro di 12 ore. Tuttavia, sebbene il fronte sembri essersi temporaneamente raffreddato, alcune fonti israeliane hanno segnalato che colpi di mortaio provenienti da milizie sciite hanno colpito il confine settentrionale, mentre nei cieli della Galilea si sono registrati movimenti sospetti. Intanto i mercati hanno reagito immediatamente: il prezzo del petrolio è crollato del 4%, mentre le borse del Golfo hanno registrato un rimbalzo positivo. Il presidente Trump ha definito l’accordo come “una vittoria per la pace attraverso la forza” e ha ringraziato Teheran per una risposta “debole e contenuta”. Tuttavia, l’Onu e la comunità internazionale esprimono cautela, chiedendo l’avvio immediato di colloqui formali per evitare una ripresa del conflitto. L’attacco americano, il più imponente contro obiettivi nucleari dai tempi dell’Iraq, segna una svolta storica nella strategia statunitense verso l’Iran e potrebbe aver compromesso in modo irreversibile le sue ambizioni atomiche, anche se non è da escludere che Teheran ricorra a nuovi strumenti asimmetrici o cyberattacchi nelle prossime settimane. Resta ora da capire se questo fragile equilibrio, frutto di forza militare e diplomazia d’urgenza, riuscirà a reggere nei prossimi giorni o se il Medio Oriente tornerà presto sull’orlo dell’abisso.
