I missili che negli ultimi giorni hanno coperto il tragitto Israele-Iran (e viceversa) si sono estesi a gran parte del Medio Oriente. E, soprattutto, sono entrati in campo degli Stati Uniti. Prima per bombardare poi per annunciare la pace. Cosa significa? Da un lato l'affare si è ingrossato, e potrebbe ancora ulteriormente peggiorare generando un effetto domino dal sapore di guerra mondiale; dall'altro appare evidente come Trump si sia reso conto di essersi spinto troppo oltre, troppo in avanti, anche per le capacità di chi ha a disposizione l'esercito più forte del pianeta. Andiamo con ordine e uniamo un paio di punti. Il primo: gli ayatollah non hanno mai mollato un caz*o e hanno tenuto testa a Netanyahu. Il secondo: i temibili bombardieri B-2 statunitensi hanno sganciato le loro bomber sui siti nucleari iraniani. Il terzo: Teheran ha risposto attaccando le basi Usa dislocate nella regione, e quindi sparando missili contro Qatar, Siria, Bahrein d Kuwait. Pochissimi danni ma la reazione resta e non può certo essere ignorata, in primis dai diretti interessati. Il quarto punto: Russia e Cina osservano interessate. Il quinto: Trump, dopo aver fiutato l'impossibilità di praticare un regime change in Iran, ha fatto retromarcia abbandonando i sogni di gloria di Netanyahu.

Perché Trump ha mollato la presa? Semplice: la coperta militare degli Stati Uniti è un po' corta. Sia chiaro: le forze armate statunitensi restano le più potenti al mondo, ma stanno affrontando seri problemi di capacità industriale, logistica e sostenibilità nel caso in cui dovesse esplodere un conflitto multi-fronte. Detto altrimenti, qualora Washington dovesse mantenere operazioni contemporanee ad alta intensità contro più avversari insieme - come Iran, Cina, Russia e Corea del Nord – potrebbero andare in sofferenza. Prendiamo i missili: le forniture di missili (come Javelin, Stinger, Himars, Patriot, Tomahawk) sono sotto pressione. Il conflitto in Ucraina ha accelerato il consumo di missili Nato, e la produzione industriale Usa fatica a tenere il passo. Il motivo? Per ricostruire le scorte di Javelin, per esempio, parliamo parla di anni, non mesi. E ancora: dopo decenni di focus su guerre asimmetriche (Iraq, Afghanistan), la base industriale militare Usa non è più ottimizzata per una guerra prolungata tra grandi potenze. Costruire un cacciatorpediniere Aegis o un sottomarino può richiedere oltre 5 anni: tempi biblici se paragonati a quelli cinesi. Loesercito americano fatica poi a reclutare nuovi soldati, specialmente per ruoli tecnici (cyber, intelligence, piloti). Va bene la tecnologia avanzata, ok poter contare sull'arsenale nucleare, ma gli Stati Uniti oggi non possono combattere guerre convenzionali su larga scala contro potenze regionali in 3-4 teatri allo stesso tempo, senza una mobilitazione industriale totale (come nella Seconda Guerra Mondiale), un reclutamento di massa e una ridistribuzione forzata delle truppe.

Trump ha fatto un paio di calcoli e ha capito che l'Iran sarebbe stato un altro fronte caldo in aggiunta alla sempre viva guerra in Ucraina. In più, in Asia, tengono banco altri due dossier: Taiwan e la penisola coreana. Al momento sono entrambi dormienti ma chissà che una scintilla in Medio Oriente non possa arrivare fino a queste latitudini e incendiare contesti altamente infiammabili. C'è poi un altro tassello da considerare. Russia e Cina hanno condannato gli attacchi che Israele e gli Usa hanno effettuato contro il loro partner iraniano. Né Mosca né Pechino hanno però inviato armi o altro tipo di supporto a Teheran. Per quale motivo? Non è da escludere che Vladimir Putin e Xi Jinping abbiano fatto un esperimento: dimostrare di poter “sacrificare” l'Iran per concentrarsi su Ucraina e Taiwan. Se così è stato ha funzionato. Non è è forse un caso che negli ultimi giorni le forze del Cremlino abbiano ripreso a martellare contro Kiev. E che l'esercito cinese stia continuamente prendendo le misure alla “provincia ribelle” con manovre militari sempre più invasive e preoccupanti...