Nel cuore della notte, mentre gran parte del mondo si illudeva che le minacce dell’Iran fossero ancora vuoti proclami, mentre gli Stati Uniti venivano visti come incapaci di reagire: è avvenuto ciò che nessun altro aveva osato fare da decenni. Un’azione chirurgica, mirata, priva di proclami e carica di verità. Gli attacchi americani ai siti nucleari iraniani – confermati e rivendicati nelle prime ore di oggi – non sono soltanto un atto militare. Sono un atto di verità. Sono un atto di pace. Per troppi anni l’Occidente ha vissuto sotto la minaccia silenziosa ma costante dello spettro nucleare iraniano, brandito come arma ideologica e deterrente geopolitico da un regime che ha fatto del terrorismo la sua politica estera e del fanatismo la sua ragione d’essere. Mentre l’Europa tergiversava e le amministrazioni passate americane – da Clinton a Obama – preferivano evitare lo scontro, Donald J. Trump ha avuto il coraggio di rompere l’ambiguità, di disinnescare la minaccia non con le promesse, ma con l’azione. Con il coraggio della responsabilità. In un tempo in cui la parola “pace” viene inflazionata fino alla perdita di significato, Trump restituisce a quel concetto il suo peso storico: la pace si costruisce solo quando si è disposti a proteggerla. E proteggerla oggi, nel Medio Oriente, significa impedire che un regime come quello iraniano possa anche solo avvicinarsi al possesso di un’arma nucleare. I siti colpiti non sono simboli: erano impianti reali, operativi, mascherati da civili, nascosti sotto montagne e dentro centri urbani, protetti da scudi mediatici e retoriche pacifiste che hanno confuso anche i più in buona fede. Eppure la verità è semplice: il mondo non può permettersi un Iran nucleare. Né ora, né mai.

Che sia stato Trump a intervenire dove altri non hanno avuto neanche il coraggio di guardare, è un fatto che la storia registrerà con chiarezza. Nessuna amministrazione democratica aveva mai sfiorato il tema con la concretezza necessaria. Obama, premio Nobel per la pace in anticipo sui fatti, ha scelto la via dell’accordo illusorio, regalando tempo e legittimità a Teheran. Hillary Clinton, da segretario di Stato, ha mantenuto l’equilibrio della paura senza mai realmente affrontarlo. Joe Biden, durante la sua presidenza ha allentato le sanzioni, riaperto i canali diplomatici e sbloccato fondi per l’Iran, permettendo al regime di rialzare la testa sul piano militare e regionale.Trump no. E il mondo inizia ad accorgersene: il Pakistan – storico antagonista nucleare dell’India – ha chiesto che Trump venga candidato al Premio Nobel per la pace, dopo aver mediato accordi inattesi tra Nuova Delhi e Islamabad. Perché la pace, quando arriva dalla forza della deterrenza e del rispetto, ha un altro sapore. Non è retorica. È realtà. Ma viviamo, tuttavia, un’epoca in cui la superficialità ha preso il posto della comprensione, in cui il dibattito geopolitico si è ridotto a tifoserie digitali. È successo con la guerra in Ucraina, dove molti hanno parlato di imperialismo occidentale, altri invece sostengono che a invadere è stata la Russia. È accaduto con Israele e Hamas, dove chi difende la civiltà viene spesso equiparato ai carnefici. Ora accade con l’Iran. C’è chi addirittura invoca il "diritto" dell’Iran ad avere un’arma nucleare. Analfabeti funzionali cheignorano totalmente il fatto che Teheran finanzia commandi assassini, destabilizza governi, sostiene Hezbollah, Hamas e gli Houthi. Arresta i dissidenti, perseguita le donne, tortura e condanna a morte i gay reprimendo ogni libertà. L’Iran è lo Stato sponsor del terrorismo mondiale. Eppure, lo si inserisce nel consesso delle nazioni civili, ignorandone la sua realtà brutale. Una follia. L’operazione invia un segnale inequivocabile a Mosca e Pechino: quando a Washington c’è fermezza, l’Occidente non si inginocchia. E non si tratta di mostrare i muscoli, ma di volontà. La pace si ottiene con la fermezza, non con la paura. E le due grandi potenze lo hanno compreso: nessuno ha proferito parola, nessuno ha osato alzare il tono. Perché oggi, più che mai, si è vista la superiorità tecnologica e strategica dell’arsenale americano, un patrimonio che resta, per Russia e Cina, ancora un miraggio lontano. Le immagini dell’operazione, anche se frammentarie ma già eloquenti, mostrano un livello di precisione, di coordinamento e di invisibilità che solo una potenza come gli Stati Uniti, consapevole della propria forza e del proprio ruolo nel mondo libero, è in grado di esprimere.Trump non ha dichiarato guerra a nessuno. Chi interpreta quanto accaduto come un elogio della guerra semplicemente non ha compreso la natura profonda del gesto. Questo è un elogio del coraggio, raro e necessario che a volte serve per impedire l’apocalisse. La guerra si evita solo se si mostra di saperla affrontare, quando necessario. E oggi, il mondo è un posto più sicuro. Lo è per i bambini israeliani, per le donne iraniane, per i giovani libanesi, per i dissidenti iracheni, per i cristiani siriani. Lo è per noi.Chi non capisce il senso profondo di questa operazione è libero di gridare. Ma la storia non si scrive con gli slogan. Si scrive con le scelte. E quella di oggi è stata una scelta di responsabilità, di forza e di futuro. La pace è una conquista, non accade per caso. E stanotte, nel silenzio del mondo, ha trovato la forza di avanzare.
