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THE WOLF OF WAR STREET. Altro che risiko bancario: perché della guerra con Iran e a Gaza alla Borsa e all’economia di Israele non frega niente (e anzi ci godono?)

  • di Beniamino Carini Beniamino Carini

  • Foto: Ansa

23 giugno 2025

THE WOLF OF WAR STREET. Altro che risiko bancario: perché della guerra con Iran e a Gaza alla Borsa e all’economia di Israele non frega niente (e anzi ci godono?)
Mentre Tel Aviv si rifugia nei bunker, la Borsa festeggia. In un paradosso che sconfina nell’assurdo, il mercato israeliano vola tra i raid su Teheran e la guerra a Gaza. Perché lo fa? E cosa ci dice questo ottimismo finanziario sulle nuove gerarchie del Medio Oriente? Davvero la guerra è diventata un'opportunità economica? I numeri sorprendono, ma il conto finale potrebbe non essere ancora arrivato

Foto: Ansa

di Beniamino Carini Beniamino Carini

Di fronte a una pioggia di missili iraniani su Tel Aviv e Haifa, con l’aeroporto principale chiuso e migliaia di lavoratori rintanati nei rifugi antiaerei, ci si aspetterebbe il panico. Un crollo della Borsa. Il tracollo del cambio. E invece, la realtà è talmente paradossale da rasentare il grottesco: la Borsa israeliana brinda. Gli investitori sorridono. Il Ta-125 — l’indice guida del mercato azionario di Tel Aviv — ha inanellato una serie di rialzi che sfidano ogni logica apparente. Come scrive il Wall Street Journal, Israele “sta sovraperformando rispetto al mondo” anche sotto i bombardamenti.

Che sta succedendo?

La risposta, in parte, è culturale. In Israele la guerra non è un’eccezione, è la norma. “Dopo anni di conflitti periodici, gli investitori locali hanno imparato che raramente una guerra fa deragliare l’economia per molto tempo”, spiega il WSJ. In un certo senso, Tel Aviv ha sviluppato un riflesso condizionato inverso: guerra = occasione. I cali sono opportunità di acquisto. I crolli, rimbalzi annunciati.

Lunedì 23 giugno, al sesto giorno della guerra aperta con l’Iran, la Borsa israeliana ha aperto in lieve calo. Ma niente che somigli nemmeno lontanamente a un'inversione di tendenza. È più una pausa di riflessione che un dietrofront.

Gli esiti di un bombardamento iraniano sulla periferia sud di Tel Aviv (ansa)
Gli esiti di un bombardamento iraniano sulla periferia sud di Tel Aviv Ansa

Un rally razionale nell’irrazionalità

Il Ta-125 è salito di oltre l’8% da quando Israele ha colpito i siti nucleari iraniani il 12 giugno. Lo stesso giorno, gli Stati Uniti hanno affondato tre strutture strategiche della Repubblica Islamica. Una mossa che, lungi dal destabilizzare, ha rafforzato “la percezione di fiducia nella posizione e nella strategia di Israele”, sottolinea il WSJ. Non solo azioni: anche lo shekel si è rafforzato contro euro e dollaro, e i titoli di Stato non mostrano segni di stress.

“Gli investitori stanno scommettendo che i raid israeliani contro l’Iran infliggeranno un colpo decisivo, o quantomeno paralizzante, all’asse regionale guidato da Teheran e alle sue milizie satelliti come Hezbollah”, scrive il giornale. Detto altrimenti: chi muove i capitali crede che Israele stia vincendo la guerra dentro la guerra — quella per il posizionamento strategico a lungo termine.

I numeri non mentono (ma vanno letti con attenzione)

Dal 7 ottobre 2023, vigilia dell’attacco di Hamas che ha riacceso la miccia a Gaza, al 12 giugno 2025, data della risposta israeliana all’Iran, il Ta-125 ha reso complessivamente (dividendi inclusi) il 46%. Meglio dell’S&P 500, che si è fermato al 40%, secondo dati di FactSet.

Eppure, il contesto interno israeliano non è roseo. Disoccupazione ufficiale sotto il 3%, vero, ma parzialmente distorta dal calo di manodopera straniera e dal blocco dei permessi di lavoro per i palestinesi. Il deficit è aumentato, certo, ma l’economia, nel complesso, tiene. Rafael Gozlan, capo economista della Ibi Investment House di Tel Aviv, lo sintetizza con una calma disarmante: “L’economia tiene il colpo”.

Il confronto tra i principali indici di Israele (Ta-125) e Stati Uniti dopo il 7 ottobre
Il confronto tra i principali indici di Israele (Ta-125) e Stati Uniti dopo il 7 ottobre

Un premio al rischio che si assottiglia

Per gli investitori globali, ciò che conta più dei missili è il “rischio percepito”. Fino a poco tempo fa, Israele affrontava minacce su più fronti: Hamas, Hezbollah, la Siria come corridoio militare iraniano. Ma, come sottolinea il WSJ, oggi “Hamas è indebolito, Hezbollah è stato respinto, il regime di Assad è stato sostituito da un avversario dell’Iran, e l’infrastruttura militare e nucleare iraniana è stata gravemente danneggiata da attacchi aerei e operazioni d’intelligence”.

L’eliminazione a sorpresa del leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha segnato un punto di svolta. Gozlan osserva che l’ottimismo degli investitori è aumentato bruscamente dopo quell’operazione e di nuovo con l’attacco all’Iran. Tradotto nel linguaggio dei mercati: il “premio al rischio” di Israele — cioè il sovrapprezzo richiesto per investire in un paese ad alta tensione geopolitica — si è ridotto. E se si riduce il rischio, si aprono le porte agli investimenti stranieri.

Ma il futuro resta una nebbia armata

Non tutto, però, è oro che luccica tra le sabbie mediorientali. Il capo di stato maggiore dell’esercito israeliano, Eyal Zamir, ha ammonito venerdì che “ci aspettano giorni difficili” e che sarà necessaria una “campagna prolungata”. Inoltre, se il regime iraniano dovesse sopravvivere, nulla impedirebbe una ricostruzione lenta e sotterranea del programma nucleare o una rinascita delle reti di milizie.

E sullo sfondo, sempre irrisolto, resta il nodo palestinese. Non solo come ferita interna, ma come grimaldello geopolitico che mina la legittimità internazionale di Tel Aviv.

Il verdetto dei mercati è chiaro, ma non definitivo

“Gli esperti continueranno a dibattere i meriti e le conseguenze della guerra tra Israele e Iran”, conclude il Wall Street Journal. “Ma per ora, i mercati israeliani stanno emettendo un verdetto chiaro: la postura di sicurezza di Israele è sul punto di un miglioramento duraturo”.

In parole povere: Tel Aviv bombarda, la Borsa sale. E mentre il mondo guarda con sgomento, gli investitori — che hanno sempre un certo fiuto per l’odore del sangue mescolato al profitto — brindano a quello che sembra un nuovo equilibrio. Provvisorio, come tutto in Medio Oriente. Ma per ora, sorprendentemente redditizio.

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