In attesa della “sua” piazza convocata contro una manovra finanziaria fortemente controversa il Partito Democratico elenca le sue critiche alla prima Legge di Bilancio dell’era Meloni. E se la legge di bilancio è un rituale ora più che mai fine a sé stesso, altrettanto lo si può dire del peana di critiche delle opposizioni. Avevamo già scritto su MOW di come la manovra servisse al governo Meloni per piazzare bandierine politiche su pensioni e flat tax delle partite Iva. Lo stesso si può dire del Pd che si accoda al Movimento Cinque Stelle nel diventare difensore numero uno del reddito di cittadinanza che nel 2018 definiva “truffa e fuffa” e per la cui conservazione si dichiara oggi pronto a fare le barricate.
Il Pd ha definito in un comunicato la manovra “improvvisata e iniqua: inadeguata rispetto al rischio recessione e all’impennata dell’inflazione”; contesta il fatto che i 21 miliardi contro il caro-energia bastino solo per tre o quattro mesi; contesta l’aumento di benzina e gasolio per la riduzione degli sconti sulle accise da dicembre; critica l’assenza di proposte sul salario minimo. L’ex Ministro del Lavoro Andrea Orlando è invece entrato in gamba tesa, sostenendo che la manovra è “lucidamente reazionaria” e “di classe”. “La donna merita maggiori tutele se è madre ed in funzione del numero dei figli”, sostiene Orlando in relazione alla proposta del Ministro della Famiglia Eugenia Roccella di estendere da cinque a sei mesi il congedo di maternità retribuito. “Il lavoratore dipendente deve pagare più tasse degli altri lavoratori”, aggiunge riferendosi all’estensione della tassazione agevolata sulle partite Iva. Infine, per Orlando, “lo stato mostra indulgenza con chi evade, ma non con chi è povero. Se è povero la colpa è sua”, ha dichiarato tranchant il politico spezino.
Quanto sono dritte al punto queste critiche? Sicuramente molto pretestuose appaiono quelle di Orlando sul congedo di maternità, misura di welfare sociale letta in ottica moralistica, e le dichiarazioni sulla scarsezza di risorse contro il caro-energia: queste ultime coprono i mesi dell’inverno e dell’inizio della primavera in un contesto in cui degli scenari futuri non c’è certezza. E inoltre il fatto che i governi Conte II e Draghi, di cui il Pd era uno dei perni, abbiano più volte operato interventi d’emergenza anche fuori manovra lascia pensare che sia possibile vederli replicati.
Al contempo, il resto delle critiche Pd alla manovra aiuta a capire il tentativo della formazione-guida del campo progressista di provare a esplorare un campo che gli ha, elettoralmente, in larga parte voltato le spalle. La divisione tra partite Iva, che sarebbero favorite dalla manovra, e lavoratori dipendenti, colpiti eccessivamente per il Pd, mira a radicare nuovamente il centrosinistra nella sua ex roccaforte elettorale nella seconda categoria. Le dichiarazioni di Orlando sulla lotta alla povertà trascurata dal governo Meloni sono il mea culpa dall’opposizione per le mosse non compiute durante l’era Draghi. In prospettiva, la critica sulla manovra è il campo in cui il Pd vuole ricostruire un dialogo col Movimento Cinque Stelle assurto a più combattiva forza di opposizione e intento a erodere gradualmente i consensi degli ex alleati.
La Meloni è presa pienamente in castagna forse su un solo tema: quello delle accise il cui taglio non sarà pienamente rinnovato. Lia Quartapelle, responsabile Europa, affari internazionali e cooperazione allo sviluppo, in un tweet ha scritto: “Giorgia Meloni all’opposizione ammoniva: le accise sulla benzina vanno abolite. Con la sua prima legge di bilancio, rimette le accise sulla benzina che Draghi aveva tolto. Quando si dice la coerenza prima di tutto”. Per il resto la manovra è, per il Pd, lo spot politico per provare a riconquistare un’identità e delle categorie sociali di riferimento. Un tagliando politico, prima ancora che una sfida decisiva in campo programmatico. Con un inconveniente non da poco: le uscite dei membri del Pd e del Nazareno contro la manovra del governo Meloni seppelliscono definitivamente il mito dell’agenda Draghi.
Anzi, a parlare è un Pd che insegue sul suo stesso terreno Giuseppe Conte e il Movimento Cinque Stelle, dando di fatto fiato alle trombe della propaganda pentastellata che ha sottratto ai dem molti argomenti: dalla difesa dei ceti medi all’ambiente, passando per la difesa dei dipendenti pubblici e dei poveri. E ora potrà cavalcarli contro il governo sapendo che il Pd sta giocando di rimessa per legittimarli dall’esterno. Da centro del campo progressista a portaborracce di Conte il passo è breve: ma il Pd sembra aver scelto consapevolmente tale strada politica.