Storie di vita, scoperte giornalistiche e sparizioni nel nulla: una storia che si ripete a distanza di moltissimi anni per tacitare giornalisti scomodi. È il mese di settembre “colpevole” di troppe ombre, è il mese di tre scomparse eclatanti: Mauro De Mauro, Graziella De Palo e Italo Toni giornalisti fatti sparire nel nulla accomunati dalla voglia di raccontare la verità. Accomunati dal desiderio di portare la luce lì dove risiede il buio dei traffici. Verità emerse a tratti durante le indagini ostacolate dai troppi depistaggi che non hanno permesso di trovare giustizia. E la memoria chiede giustizia.
Partiamo da Mauro De Mauro, fatto sparire nel nulla la sera del 16 settembre 1970. La sua è una storia di depistaggi e di un mistero lungo 55 anni. Mauro De Mauro era nato a Foggia il 6 settembre 1921. Figlio di un chimico e di un’insegnante di matematica. Mauro fu sostenitore del Partito Nazionale Fascista. Infatti allo scoppio della Seconda guerra mondiale partì come volontario. Dopo l’8 settembre 1943 decise di aderire alla Repubblica Sociale Italiana. Dopo la fine della guerra, si trasferì a Palermo con la sua famiglia e qui iniziò il suo mestiere di giornalista presso i giornali: “Il tempo di Sicilia”, “Il Mattino di Sicilia” e “L’Ora”. A ricordarlo a Palermo, nel giorno dell’agguato, è stata la figlia Franca, insieme a istituzioni e colleghi del giornalista. La figlia di De Mauro ha usato parole che rimbombano in questo tempo di guerre e omicidi parlando della libertà di stampa: “mai così in pericolo come oggi, minacciata dalle iniziative del presidente Trump e dalla strage di giornalisti a Gaza”. Il giornalista de “L’Ora” fu sequestrato il 16 settembre 1970 a pochi passi dalla sua abitazione, in viale delle Magnolie, a Palermo. Quella sera del 16 settembre di 55 anni fa lo aspettarono invano la figlia Franca e il suo fidanzato Salvo Mirto: furono loro a sentire la voce che gridava “amunì” (andiamo), lo sbattere di sportelli e poi l’auto sgommare in direzione di viale delle Alpi. Quindi le indagini di polizia e carabinieri che portarono a piste a volte credibili, altre fantasiose. Si sono svolti tre processi: uno nel 1983, l’altro nel 1992 e infine nel 2001. Ma ci sono stati i depistaggi. La storia del giornalista è stata ostacolata sino a quando a chiarire qualcosa sul delitto sono intervenute le rivelazioni dei pentiti: Buscetta, Mutolo, Francesco Marino Mannoia, Francesco Di Carlo. Stando a quanto svelarono i pentiti, il capo dei capi, Totò Riina, insieme a Bernardo Provenzano, avrebbe fatto parte del commando che si occupò del sequestro di De Mauro quella sera in via delle Magnolie, trasferendolo immediatamente a Villagrazia nel baglio di Stefano Bontade, boss di Palermo Est.

Qui si interromperà la vita del giornalista: Mauro fu infatti interrogato dal fedelissimo del capomafia, Emanuele D’Agostino, che lo avrebbe strangolato dopo e sepolto in un agrumeto. Il corpo del giornalista non fu mai più trovato. Un “muro di gomma”, così come lo ha definito la figlia Franca, perché le loro rivelazioni non sono servite ad abbatterlo questo “muro di gomma”. Infatti l’ultimo processo in Cassazione (siamo nel 2015) si è concluso con l’assoluzione di Totò Riina dall’accusa di essere il mandante del sequestro del giornalista. Ma cosa avrebbe scoperto Mauro, sempre in prima linea, firma importante del giornale pomeridiano palermitano nel decennio Sessanta-Settanta? “Ho in mano uno scoop che mi darà il premio Pulitzer”. Così il giornalista aveva detto a sua figlia pochi giorni prima di sparire nel nulla. Mauro De Mauro avrebbe scoperto, collaborando alla sceneggiatura del film Il caso Mattei di Francesco Rosi, chi aveva ordinato l’attentato a Mattei, presidente dell’Eni. Torniamo indietro ad ottobre del 1962, quando cioè in un attentato morì il presidente dell’Eni, Enrico Mattei. Di quell’attentato si conosce oggi la dinamica e cioè che fu nascosto nella cabina di pilotaggio dell’esplosivo con l’aiuto della mafia. Ma non si conoscono ancora oggi i mandanti ed ecco che subentra il lavoro di Mauro De Mauro che pare conoscesse i nomi dei mandanti del delitto Mattei. Mauro stava collaborando col regista Rosi proprio nella realizzazione di un film sul caso Mattei quando, il 16 settembre degli uomini lo aspettarono sotto casa, in via delle Magnolie a Palermo, per rapirlo. Da allora sono passati 55 anni e di lui sono sparite le tracce. Dell’omicidio del giornalista si parla di “un delitto senza impronta”, dove la mafia avrebbe avuto un ruolo determinante.

1980, settembre. A Beirut, in Libano, mentre stavano facendo un’inchiesta, spariscono nel nulla due giornalisti italiani: Graziella De Palo e Italo Toni. Era il 2 settembre del 1980. La vicenda che riguarda i due giornalisti scomparsi è stata coperta dal segreto di Stato. Poi, solo nel 2014, c’è stata una parziale desecretazione degli atti. Una vicenda costellata da storie di depistaggi e segreti inconfessabili. Del caso di Graziella De Palo si occupa oggi l’ex giudice Carlo Palermo, che è stato contattato nel 2016 dalla famiglia De Palo. L’avvocato Palermo si occupa anche del caso Ilaria Alpi, la giornalista del Tg3 assassinata in Somalia nel 1994 insieme all’operatore Miran Hrovatin.
Delle vere esecuzioni che si celano dietro le inchieste scomode che gli inviati stavano seguendo. Si sa che Graziella e Italo si stavano occupando di un traffico d’armi e delle relazioni tra Sismi e Organizzazione per la liberazione della Palestina. Italo Toni, classe 1930, di Sassoferrato, era un giornalista esperto di Medio Oriente. Lui aveva collaborato con diverse testate italiane e internazionali. Fu autore di uno scoop, pubblicato sul settimanale francese “Paris Match”. Italo, in particolare, scoprì l’esistenza di campi di addestramento della guerriglia palestinese in Giordania. Graziella, classe 1956, nata a Roma, aveva solo 23 anni quando si recò in Libano. Stava indagando sui traffici d’armi per il quotidiano “Paese Sera” e per “L’astrolabio”. Oggi – a distanza di 55 anni– si cerca ancora la verità. Neppure i loro corpi sono stati trovati. I due giornalisti sono stati ricordati con l’intitolazione di un parco a Sassoferrato e due viali a Roma, dentro il parco archeologico di Villa Gordiani, nel Municipio VI. Poi il nulla.
Graziella e Italo si trovavano a Beirut da dieci giorni. La loro partenza era avvenuta un mese prima della loro scomparsa. I due giornalisti erano stati ospitati dal fronte popolare per la liberazione della Palestina. Si trattava di una formazione di estrazione marxista guidata da George Habbash, che aveva promesso ai due inviati che li avrebbe portati al sud, sulle colline del castello di Beaufort, linea dello scontro con l’esercito israeliano. Il 2 settembre del 1980 i due giornalisti confermarono le loro stanze in albergo. Quindi avvisarono l’ambasciata italiana, e poi partirono con alcuni membri del Fplp. Da allora dei due inviati non si sa più nulla. Ci sarebbero sulla loro sparizione a Beirut collegamenti con la P2 e i servizi segreti. Allora il segreto di Stato fu opposto al magistrato inquirente dal colonnello Stefano Giannone, uomo del Sismi a Beirut negli anni Ottanta. Era proprio sull’uomo che la giornalista romana stava indagando.

La guerra civile libanese che i due inviati, in contemporanea alle loro inchieste, stavano seguendo era scoppiata il 13 aprile del 1975. La causa della guerra civile? Il massacro di un gruppo di persone, a colpi di mitra, che stava assistendo alla consacrazione di una chiesa all’interno del quartiere AinRemmaneh. Massacro ad opera dei combattenti palestinesi: quattro morti e sette feriti. Da qui una risposta violenta: 27 persone, crivellate da colpi, furono uccise mentre viaggiavano su un autobus carico di feddayn armati. Gli uomini stavano rientrando dopo una parata. Dai massacri si scatenò la guerra civile in Libano: da una parte i cristiani, sostenuti da Israele, dall’altra i musulmani, appoggiati dalla Siria e poi dall’Iran. Le prime tracce del “Lodo Moro” si scoprirono già nel 1979. Non è da escludere che i due reporter ne fossero già a conoscenza. In base al Lodo, cioè un patto, si stabilì che a partire dal 1970 l’Olp avrebbe potuto fare attività paramilitari sotto copertura in Italia, e in cambio nel nostro Paese non si sarebbero dovuti verificare attentati terroristici.
E per chiudere questo articolo della memoria senza giustizia, una frase che risuona nella mente di chi scrive: “Almeno io una tomba su cui piangere mia figlia ce l’avevo, potevo portarle dei fiori, ma la mamma di Graziella neppure questa”, sono le parole di Luciana Alpi, madre di Ilaria, inviata del Tg3.
