Il 4 settembre 2024 Andrea Beretta uccideva con più di venti coltellate Antonio Bellocco fuori dalla palestra Testudo di Cernusco sul Naviglio. Poche settimane dopo, il 30 settembre, i capi ultrà delle due curve di San Siro finivano agli arresti. È passato un anno da quel giorno, nel mezzo ci sono state le collaborazioni di Beretta, i colloqui con i magistrati di Marco e Gianfranco Ferdico, l’arresto di Daniel D’Alessandro Bellebuono, quest’ultimo considerato l’esecutore materiale, insieme a Pietro Andrea Simoncini, dell’omicidio di Vittorio Boiocchi. Sono storie stratificate, che si incrociano. Nell’inchiesta Doppia Curva, infatti, ci sono anche le ragioni di quell’omicidio: soldi e potere. Ferdico e Beretta dopo quel fatto si sono presi tutto. A completare la trinità è poi arrivato Bellocco. Di lui ha parlato per la prima volta il suo migliore amico, Dario. Lo ha fatto nel giorno della sentenza in primo grado che ha condannato Beretta e Luca Lucci a dieci anni di prigione: “Voleva cambiare e fare le cose regolari, liberarsi da questo stigma che c’è sul suo nome e non avere più niente a che fare con quel mondo. Voleva che la sua famiglia si traferisse, sua moglie e i due figli. Voleva farli salire in pianta stabile a Milano e farli stare il più lontano possibile dalle vicissitudini familiari”. Lo ha ripetuto anche la sua famiglia, che il direttore di MOW ha incontrato in Calabria il 4 settembre 2025, alla messa che celebrava la ricorrenza della scomparsa di Totò. Presto pubblicheremo l’intervista e il reportage da San Ferdinando. Di chi comandava la curva Sud del Milan, invece, si è parlato per motivi diversi dai parcheggi e dai servizi di security offerti durante i concerti. I gruppi dell’Inter sembrano collegati in maniera più stretta ai business di San Siro, ma ciò non significa che anche i vertici del Milan non fossero potenti, che non avessero un’influenza profonda su tutta la città, anche oltre l’area dello stadio. Luca Lucci è una figura emblematica in questo senso e proprio di lui continueremo a parlare. È passato un anno dal 30 settembre, certe cose sono cambiate, altre sono rimaste le stesse. Un anno vissuto tra il campo e i tribunali.

Perché Andrea Beretta girava armato? Perché all’incontro con Antonio Bellocco aveva portato una pistola? L’ultras aveva paura. Qualcuno gli aveva detto che Totò voleva farlo fuori, che la calce era già stata comprata e che la fossa era già pronta. Dovevano avvelenarlo con un caffè e poi farlo sparire. Sembra che a mettere questa pulce nell’orecchio di Beretta sia stato Bellebuono, che doveva ricambiare un favore ad Andrea dopo che quest’ultimo l’aveva difeso in una rissa. Ma torniamo lì a Cernusco. È mattina, poco prima delle undici. Le telecamere inquadrano Bellocco che arriva, entra in palestra e saluta i presenti. Lui e Andrea sembrano tranquilli, escono insieme e salgono sulla Smart bianca. Beretta è alto quasi due metri, esperto di arti marziali. Chiudersi in auto con lui è pericoloso. Prima che il capo ultrà lo uccida a coltellate Bellocco riesce a togliergli di mano la pistola e a sparare un proiettile che colpisce nel fianco l’omicida. Lo scoppio rimbomba, arrivano sul posto le forze dell’ordine e i soccorritori. Bellocco è già deceduto, Beretta viene portato in ospedale. Tra i primi che si vedono sulla scena c’è anche Marco Ferdico. Proprio Ferdico, poco dopo l’accaduto, pubblica diverse storie su Instagram in cui esprime tutto il suo dolore per l’amico scomparso. Un sincero addio o magari un messaggio per qualcun altro, la certificazione della sua fedeltà. Il 30 settembre scattano gli arresti.

I diciannove arresti sono il risultato della lunga indagine coordinata dai pm Sara Ombra e Paolo Storari. L’accusa più pesante è l’associazione a delinquere, ma sono stati contestati anche i reati di estorsione, minacce, lesioni, intestazione fittizia. Milan, Inter e Serie A hanno chiesto - e ottenuto – di essere parte civile a processo. I due uomini chiave sono Andrea Beretta da una parte, Luca Lucci dall’altra. Su di loro grava il maggior peso criminale in questa vicenda. Beretta dopo l’arresto si mostra sicuro, arrogante, dice che se uscisse di prigione risolverebbe tutto in pochi giorni. Ha le spalle coperte? Come fa a parlare in questo modo dopo aver ucciso il rampollo di una famiglia mafiosa? Questa sicurezza si esaurisce presto, perché Beretta si pente. “Era l’unico modo che aveva per restare vivo”, ci hanno detto alcune persone vicine a quegli ambienti. Probabilmente lo ha fatto per mettere in sicurezza anche la sua famiglia. Nelle conversazioni con i pm Andrea racconta dell’economia di curva, di come venivano stabiliti i prezzi maggiorati dei biglietti, delle trasferte, dei rapporti di forza all’interno della Nord, degli “operativi”, di quelli che partecipano agli scontri e degli altri che invece contribuiscono all’amministrazione degli affari. Un corpo articolato, fatto di poche teste e molte braccia. I parcheggi, dice Beretta, erano stati roba di Boiocchi. Non si fanno i soldi con i parcheggi, ma con quelli si costruiscono relazioni, rapporti con la gente che conta. Una legittimazione dei vertici ultrà più che una vera e propria fonte di guadagno. Gran parte degli introiti derivano dal merchandising, che lo stesso Beretta gestisce, e dalla rivendita dei biglietti. Per la cavalcata verso la finale di Champions del 2023, racconta ancora l’ultrà, lui, Ferdico e Bellocco si sarebbero messi in tasca 90mila euro a testa. Tanti soldi. Nelle carte dell’indagine c’è anche una telefonata che Ferdico fa a Simone Inzaghi affinché questo interceda con la società per i biglietti. Ricordiamo che né l’ex allenatore dell’Inter né altri membri della società sono stati indagati. Ad alcuni, però, sono state inflitte sanzioni dalla giustizia sportiva. Ad essere colpito da queste anche Hakan Calhanoglu, considerato tra i tesserati più vicini ai capi ultrà imputati, su tutti Ferdico. I rapporti tra calciatori, dirigenti e ultras non sono illegali, ma devono essere mediati dallo slo. Una zona grigia.

In questo mondo di mezzo agiva anche Luca Lucci, il Toro della Sud, capo indiscusso della curva rossonera. Un nome, il suo, che pesa dentro e fuori da San Siro, nel mondo del tifo organizzato e in quello criminale. Su di lui pendono le accuse di tentato omicidio e di traffico internazionale di stupefacenti. Sarebbe lui l’uomo che ha incaricato Daniele Cataldo di sparare a Enzo Anghinelli, anche lui ultrà del Milan; e sarebbe ancora Lucci un personaggio chiave dello spaccio di hashish in tutta Italia. La droga pare venisse importata da Marocco e Spagna. Antonio Rosario Trimboli, suo compagno di curva, lo descrive come “una macchina da guerra” per quanto riguarda la capacità di far girare stupefacenti. Un altro emerso in quell’indagine, Costantino Grifa, parla di lui come “il numero uno in Italia” relativamente al commercio di hashish. Lucci era capace di tessere relazioni con i trafficanti esteri, muovere camion in tutto il Paese, gestire un giro di affari che dal settembre 2020 e il marzo del 2021 avrebbe fruttato oltre 2,7 milioni di euro. Anche Rosario Calabria, uomo ritenuto vicino a famiglie ‘ndranghetista, faceva riferimento al Toro per il commercio di droga. Perché anche dietro alla curva del Milan delle figure ambigue si stavano muovendo. In primis Giuseppe Calabrò, detto “U Dutturicchiu”, presunto mediatore di una faida interna alla Sud che aveva visto protagonisti Lucci e Domenico Vottari, leader dei Black devil, gruppo nelle cui file militava anche Anghinelli.

La curva, i business come la barberia Italian Ink e l’organizzazione di eventi live. Mondi in cui servono relazioni, contatti, persone giuste su cui fare affidamento. Lucci era amico di Fedez, all’ex marito di Chiara Ferragni aveva offerto Christian Rosiello come bodyguard. Un rapporto di lavoro che è diventato noto a tutti dopo la rissa al The Club e il successivo pestaggio di Cristiano Iovino, personal trainer e influencer, “l’uomo del caffè” con Ilary Blasi. A Fedez serviva qualcuno di “pirotecnico” per sentirsi al sicuro. E in curva Sud ha trovato le persone giuste. Il procedimento relativo all’aggressione a Iovino è stato archiviato, ma l’amicizia tra Lucci e Fedez si è manifestata anche in altri contesti. L’ultrà aveva intenzione di far aprire una delle sedi di Italian Ink a Milano proprio al rapper e alla sua ex moglie. I due, poi, vengono intercettati mentre parlano di una possibile acquisizione dell’Old Fashion, storico locale milanese, e dell’introduzione a San Siro della bevanda Boem. Parte integrante di questo groviglio che tiene insieme cantanti e ultras era senz’altro Islam Hagag. Abbiamo raccontato di come professionisti attivi nel settore dell’organizzazione di eventi si fossero rivolti proprio ad Hagag per fissare delle date di Emis Killa e Fedez. I casi sono numerosi. Per il concerto di Fedez a Deliceto Hagag aveva anche stilato un tariffario. Le domande sono quelle che abbiamo posto più volte: a nome di chi agiva Islam Hagag? Perché era lui il riferimento dei promoter che volevano collaborare con i rapper? E Vivo Concerti, che si occupa proprio dei concerti di Killa e Fedez, sapeva con chi stava lavorando? Da Vivo di Clemente Zard (estraneo all’inchiesta e mai indagato) non è arrivata nessuna smentita. “No comment”, almeno per ora.

Passano le settimane, arriva aprile, i vecchi leader della curva Nord sono in carcere. Beretta sta già parlando. Da lui ci si aspettavano rivelazioni sul funzionamento della tifoseria e le movimentazioni di denaro che avvenivano all’ombra di bandiere e striscioni, ma soprattutto dei chiarimenti sulla vicenda Boiocchi. Chi ha ucciso lo Zio? E perché? Ecco, ora anche di quell’omicidio abbiamo molte informazioni in più. Il mandante era Beretta, gli organizzatori Mauro Nepi, Gianfranco e Marco Ferdico, gli esecutori materiali Pietro Andrea Simoncini e Daniel D’Alessandro. Un’azione costata 50mila euro. Secondo la procuratrice Alessandra Dolci l’assassinio di Boiocchi era stato compiuto per “eliminare quello che era stato fino a quel momento il leader della curva Nord dell'Inter, per prendere il suo posto e dividere i profitti”. Tra Vittorio e Andrea erano nati dei dissidi proprio per la spartizione dei guadagni. Pare che Boiocchi si tenesse qualcosa per sé, alle spalle del compagno. Sempre ad aprile venne arrestato in Bulgaria anche D’Alessandro. Stava scappando, ma da chi? Dalle forze dell’ordine o da qualcun altro? Dato che, da ciò che emerso, fu lui a raccontare a Beretta del piano organizzato dagli altri vertici ultrà per ucciderlo, e quindi a fomentare la sua paranoia, di fatto ha contribuito - seppur indirettamente - alla morte di Bellocco. È stato invece Ferdico a chiamare a Milano Pietro Simoncini, il padre di sua moglie Aurora. Marco era sceso in Calabria, a Rosarno, per giocare nella squadra locale. È li che conosce la madre dei suoi figli, ed è lì che entra in contatto con la famiglia Monardo, considerata vicina ai Bellocco. Nei suoi colloqui con i pm, comunque, Ferdico ha sempre affermato che dietro alla curva Nord non c’era la ‘ndrangheta. Hanno fatto tutto loro, gli ultras. Ma allora Beretta a chi si riferiva quando aveva parlato dei pretendenti alla Nord dopo l’uccisione di Boiocchi? E perché i leader della curva avevano scelto Bellocco per impedire ad altre figure criminali di farsi avanti? E ancora: perché Totò aveva mostrato “l’album di famiglia” a Mimmo Bosa, uno dei più ambiziosi membri della tifoseria interista? Per gli imputati nel processo per l’omicidio Boiocchi è stato disposto il rito immediato, come da richiesta della difesa. Sperano tutti in uno sconto di pena.

La scorsa stagione è finita con le mancate vendite dei biglietti per la finale di Champions agli ultras nerazzurri più fedeli. Prima di Monaco ci fu una protesta davanti alla sede dell’Inter. Ora è cominciata la nuova stagione ma lo scontro tra curve e società è ancora irrisolto, con le blacklist e gli stop a striscioni e bandiere ancora in vigore. La Nord ha scelto di scioperare nelle partite in casa, la Sud pure. I milanisti, però, hanno cambiato idea: ora la curva rossonera canta di nuovo e a breve avrà di nuovo alcuni dei suoi simboli a San Siro. Per la tifoseria interista, invece, la situazione è ancora in bilico. Dallo stadio ai tribunali, l’ultima pagina di questa storia di ultras è ancora bianca.
