Andrea Beretta è un pentito. È di queste ore la notizia della decisione dell’ex capo ultrà della curva Nord dell’Inter di collaborare con la giustizia. “Berro” è in carcere dal 4 settembre, quando è stato fermato per aver ucciso con ventuno coltellate Antonio Bellocco. Uno degli arresti avvenuti nell’ambito dell’inchiesta “Doppia Curva” della procura di Milano. I capi di accusa a carico dell’ex leader del tifo nerazzurro sono molteplici: lesioni, percosse, resistenza a pubblico ufficiale, rissa, estorsione, intestazione fittizia; minacce volte alla vendita, a prezzo maggiorato, dei biglietti per la curva; elusione delle disposizioni di prevenzione in materia patrimoniale; e, ovviamente, omicidio, seppur con la possibile attenuante della legittima difesa, e detenzione illegale di arma da fuoco. Beretta era detenuto prima a Opera, poi a San Vittore. In queste settimane qualcuno ha messo in giro la voce che avesse ricevuto minacce (“Impiccati”) o che per ben tre volte dei calabresi, durante l'ora d'aria, lo avessero aggredito. Cazzate. Ma adesso che Berro è diventato un collaboratore è stato previsto un altro trasferimento, stavolta in un istituto penitenziario lontano da Milano, nel centro Italia. In realtà la decisione di pentirsi l'ha comunicata ben due settimane fa, e già da una settimana il suo avvocato Mirko Perlino ha cominciato a ricevere le prime chiamate: i movimenti in carcere avevano fatto sorgere qualche domanda. Tutto vero, Perlino ha rimesso subito l'incarico. Non è opportuno difendere un pentito se segui altre persone coinvolte nell’indagine, anche per altri procedimenti. Infatti, qualcuno degli arrestati (pare anche lo stesso Marco Ferdico, ex braccio destro di Beretta, poi diventato intimo di Antonio Bellocco, ucciso proprio da Beretta) ha già chiesto a Perlino di tornare a essere il proprio legale di fiducia. Beretta invece si è affidato a un avvocato noto tra i collaboratori di giustizia, una donna del foro del Lazio. Ora cosa dirà? Sicuramente parlerà dell'omicidio di Vittorio Boiocchi, lo “Zio”.
Beretta si considerava l’erede di Boiocchi come capo della Nord. Il primo, grazie alla gestione del merchandising di “We are Milano”, il negozio di Pioltello, aveva dato più di 85mila euro in un anno al compagno di curva. Boiocchi però non era soddisfatto del modo in cui venivano divisi i profitti ed era convinto che Beretta tenesse per sé troppi soldi. Inoltre, il vecchio ultrà era un ostacolo per l’ascesa della nuova generazione di leader: Beretta, Antonio Bellocco e Marco Ferdico. Il 22 ottobre 2022, poco prima di Inter-Sampdoria, lo Zio viene freddato sotto casa sua. L’omicidio è ancora irrisolto, ma la confessione di Berro potrebbe finalmente far luce sull’accaduto. Dopo la morte di Boiocchi, Ferdico, ormai al vertice della Nord, introdusse il rampollo della famiglia calabrese dei Pesce-Bellocco negli ambienti del tifo organizzato interista. Un primo passo propedeutico alla presa di tutta la curva. Questo, ovviamente, sarebbe stato possibile solo facendo fuori lo stesso Beretta. Durante gli interrogatori in carcere, sembra che quest’ultimo abbia sostenuto di non sapere che dietro Bellocco ci fosse la sua famiglia e di non avere idea che la ‘ndrangheta avesse puntato San Siro. Ha anche detto, pare, che se lo avesse saputo non avrebbe permesso l’entrata di Totò, né tantomeno gli avrebbe lasciato amministrare la vendita di biglietti, i parcheggi e i business paralleli che facevano girare i soldi dentro e fuori dallo stadio. Ora, però, sorgono alcune domande: cosa ottiene Beretta con il suo pentimento? E quali sono i motivi che lo hanno portato a questa decisione?
Beretta è solo: non ha la protezione di famiglie potenti e ormai ha nemici ovunque. In curva e fuori. Come dicevamo all’inizio, già nel carcere di Opera era stato minacciato e, pare, aggredito. Anche nell’eventualità di una sua messa in libertà, il rischio rimane la possibile vendetta della criminalità organizzata. Ci sono poi i rimorsi di un uomo che ha ucciso, minacciato, pestato altre persone. E Beretta ha più volte dichiarato la sua devozione a Padre Pio: “Ho le mani sporche di sangue”, sembra aver detto durante la detenzione. Anche la vita della sua famiglia, però, è stata stravolta: i figli e l’ex moglie, infatti, sono ora sotto la tutela dello Stato, proprio per evitare possibili ritorsioni della mafia calabrese. Poi ci sono i potenziali vantaggi in termini di sconto di pena. Considerando le accuse, ognuna da verificarsi nella fattispecie, tra cui l’omicidio con aggravante mafiosa e altri reati emersi nel corso delle indagini, si può ipotizzare una pena tra i 14 e i 18 anni di reclusione. A questi, qualora Beretta decidesse di patteggiare, potrebbero esserne tolti fino a un terzo. La pena, quindi, sarebbe ridotta a circa 13 anni, nel caso in cui i giudici decidessero per il massimo dello sconto. L’ultrà ha però deciso di collaborare con la giustizia, il che gli garantirebbe ulteriori benefici dal punto di vista penale: dopo un periodo pari a un quarto degli anni di carcerazione inflitti, il condannato può avere accesso a dei permessi “premio”, a un lavoro all’esterno o anche la disposizione del regime di semilibertà. Se teniamo conto di tutte queste variabili, dopo 3 o 4 anni l’ex ultrà potrebbe uscire. Per Beretta queste cose contano, specie con la famiglia nel mirino della ‘ndrangheta.
Nel frattempo, gli ultrà del Secondo Anello Verde rimasti liberi hanno reso chiara la loro posizione con uno striscione esposto fuori da San Siro: “La tua infamità non appartiene alla nostra mentalità”. La decisione di Berro di diventare un collaboratore di giustizia non è piaciuta ai suoi ex compagni di curva. Troppo poche le settimane trascorse in carcere prima di mollare e pentirsi? Sul messaggio dei tifosi si è espresso anche Klaus Davi: “Con lo striscione la curva si schiera ufficialmente con Rosarno (quindi con Francesco Pesce, “Ciccio u Testuni”) smontando tutte le curiose tesi investigativa che sono circolate. E lo fa palesemente. Per non parlare del termine ‘infamità’. A volte la polizia giudiziaria sbaglia approccio: pensare per compartimenti stagni una struttura come la ‘ndrangheta induce in clamorosi errori”. Un nuovo legale, l’accesso al programma di protezione e i dubbi: negli ultimi due mesi la vita di Andrea Beretta è cambiata. Complice un omicidio, da capire se verrà considerato legittima difesa. E una vita criminale che ormai aveva preso il posto di quella del tifoso.