Piove. Piove sui teloni dei bar di periferia gestiti da prestanome della ‘ndrangheta. Piove sui marciapiedi delle banche che finanziano le famiglie calabresi. E piove davanti alla chiesa San Materno in Figino, dove viene celebrata la messa per i due anni dalla morte di Vittorio Boiocchi. Milano sembra più lenta quando piove. Dentro la chiesa una trentina di persone. La moglie di Vittorio, Gianna, è in seconda fila vicino alla figlia Roberta e ad altri familiari. Un'altra figlia, Liliana, è in fondo. C'è anche un altro giornalista. Lo riconosco perché ha un marsupio, lì dentro c'è una telecamera. Si è seduto accanto agli unici due ultras presenti, venuti a ricordare il fondatore dei Boys San, l'ultimo capo ultrà prima della consegna della curva Nord dell'Inter ad Antonio Bellocco, Andrea Beretta e Marco Ferdico.
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Vittorio ora è un nome scandito dalla voce del parroco, che ricorda gli altri fedeli scomparsi che abitavano qui nel quartiere. Gianna, le figlie, i parenti e gli ultras escono prima della comunione. Il prete legge il Nuovo Testamento, Vangelo di Matteo, versetto 5: “Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli. Beati i miti perché erediteranno la terra. Beati i puri di cuore, beati coloro che amano i fratelli”. Vittorio era tutto fuorché mite (qui abbiamo scritto la sua biografia criminale), ma chi lo conosceva sostiene che a suo modo era puro e amava i suoi fratelli. Qualcuno però l'ha tradito. Attraverso la strada, passo davanti a dove due anni fa, proprio oggi 29 ottobre, è stato ucciso. C'è il suo altare, fatto di sciarpe sbiadite, foto, girasoli sulla transenna. Sotto al citofono di via fratelli Zanzottera 12 ci sono ancora due fori di proiettili: chi ha sparato, pur essendo molto vicino a lui, l'ha mancato puntando alle gambe. Per gli investigatori un segno che non era un killer professionista. Adesso il faldone sul suo caso è in mano a Paolo Storari, il pm sotto scorta della Procura di Milano, che dalle curve vuole arrivare giù, in Calabria, e a quelli che contano, quelli che giocano con i soldi veri e che influenzano multinazionali, politica, imprenditoria. Le curve sono una lente di ingrandimento verso un mondo dentro il quale è meglio non guardare. Per vari motivi. E l'omicidio Boiocchi è una porta di accesso: questo Storari lo sa. Per questo il riserbo è massimo. Lato ultras il ritornello che tutti ripetono è: “Niente interviste, non è il momento; da Boiocchi a Beretta, Ferdico e gli altri ora in carcere tutti hanno fatto cazzate e tutti stanno pagando, ci sono famiglie di mezzo, bisogna avere rispetto”. Qualcuno di loro è stato contattato da varie trasmissioni e per un'intervista a Le Iene o in altri programmi hanno rifiutato chi 15mila euro chi 5mila. In un bar della Bovisa uno di loro, a denti stretti, bevendo un bianchino mi fa: “Ci lamentiamo che quelli lì lucravano alle nostre spalle su biglietti e merchandising e noi li andiamo a sputtanare sempre per soldi? Non è da ultras”. Mentalità. Valori. In tutta questa vicenda a pagare i danni più forti sono loro, i veri ultras, i tifosi che a loro spese si fanno le trasferte, che dormono negli aeroporti e nelle stazioni pur di cantare 90 minuti e incitare la propria squadra. “Ma nessuno lo dice, a noi ci criminalizzano e basta e voi giornalai cercate solo di gettare merda e non parlate per esempio dei biglietti, che le società impongono a prezzi sempre più alti, sempre più inavvicinabili per le famiglie e le classi meno agiate”. Vero. Proprio per questo bisognerebbe parlare, replico, chiarire le differenze.
Uno dei vecchi amici di Boiocchi non si fida di incontrarmi da solo e mi dà appuntamento nello studio del suo avvocato, zona Città Studi. Mi chiede se ho sentito dire che Andrea Beretta, nel carcere di Opera, ha subito tre aggressioni da parte di calabresi durante l'ora d'aria. La prima uno contro uno, la seconda due contro uno, la terza ancora uno contro uno. In tutte e tre i casi ad avere la peggio sarebbero stati i calabresi, perché Beretta manco se hai un coltello lo fermi. Quest'ultima cosa è giusta, tutto il resto non mi risulta. Sono voci. Che girano per tenere alta la tensione, per far capire che i Bellocco si vogliono vendicare, per propagare la leggenda del picchiatore Beretta. Ma sempre voci restano. Vero è che Beretta in carcere, ora è a San Vittore, si allena: pugilato e palestra. E manda fuori un messaggio: “Salutatemi tutti”. Dove tutti sta per “tutti quelli che non mi hanno abbandonato”: sono pochi ma ci sono. Un investigatore, dopo aver letto l'ultima puntata della mia inchiesta sulle curve e la ‘ndrangheta, dedicata proprio all'omicidio Boiocchi, mi ha scritto: “Credo che l'assassino materiale sia citato nel suo pezzo”. Lo faccio presente all'ultrà amico di Vittorio. Che sorride. Ed espone le sue idee. Gesticola: “Beretta se è stato capace di uccidere Bellocco con 21 coltellate per non cedere parte dei suoi guadagni ai calabresi o perché si era opposto a un negozio simile al suo di Pioltello che Bellocco voleva aprire a Milano, credo che per lo stesso motivo possa essere stato capace di organizzare l'omicidio di Boiocchi”. L'accusa è pesante, ma è solo un'ipotesi. Lo dice anche lui: “I killer non erano proprio di razza, hanno sbagliato dei colpi ravvicinati. E Beretta non ha una estrazione criminale”. Poi butta lì una suggestione interessante: “Uscito dal carcere dopo più di 20 anni, Boiocchi viene trovato con la pettorina della guardia di finanza falsa, ti ricordi? Mi disse che per quella indagine avevano piazzato due telecamere davanti casa sua. Ecco, e se i suoi assassini fossero stati filmati?”. Se è vero, solo Storari lo sa.
Continua l'ultras: “Beretta e Boiocchi avevano proprio litigato. Intorno alla rivendita dei biglietti dello stadio giravano tanti soldi. Ma Boiocchi divideva i guadagni tra i vari gruppi mentre subito dopo il suo omicidio Beretta veniva alle riunioni del direttivo armato e forte delle spalle coperte da Bellocco impone l'unificazione sotto il simbolo curva Nord”. Ma perché addirittura ammazzarlo, chiedo, non era sufficiente picchiarlo e farlo fuori dal gruppo di comando? “Impossibile. Vittorio era un criminale vecchia scuola, uno che se lo picchiavi si sarebbe vendicato e non avrebbe avuto problemi anche a commettere un delitto”. Gli dico che sono stato alla messa in suo ricordo. Si illumina: “Come stanno le sue figlie?”. Vittorio le adorava e le figlie adoravano e adorano tuttora il padre. Boiocchi è entrato in carcere definitivamente che le due gemelline, Roberta e Valentina, erano piccolissime. L'hanno sempre visto andandolo a trovare, anche se lontano da casa. “Una volta mi raccontò che la direttrice del carcere di Spoleto ordinò una perquisizione nella sua cella e quando rientrò trovò tutta la sua roba buttata a terra. Quando vide le foto delle figlie trattate senza rispetto fu il momento più duro della sua detenzione”. Grazie al suo carisma e a sua moglie è riuscito a tenere unita la sua famiglia nonostante i 26 anni di carcere. Poi, finito quel periodo, non è riuscito a godersi per troppo tempo una vita da padre e da nonno. Ora, perlomeno, la curva, la sua curva, sembra tornata indietro: riecco i gruppi, presto si rivedranno gli striscioni. Al contrario del passato, ci sono i giovani adesso a gestire tutto. Della vecchia guardia sono rimasti in pochi. Anche Ivan Luraschi si è fatto da parte. Pure lui aveva litigato con Boiocchi, che lo aveva estromesso dalla curva per un fraintendimento legato a un evento di beneficenza. Luraschi era un fedelissimo di Beretta, colui che per conto suo doveva addestrare un esercito di 70 ultrà per gli scontri e che si era preso le curve dell'hockey di Milano e del basket. In questa fase di transizione era rientrato nel direttivo, è stato l'unico a rilasciare un'intervista a Inter news. Poi, come è rientrato ne è uscito: troppi disaccordi con i nuovi. Punti di vista diversi.
Vittorio negli ultimi tempi si era messo accanto due giovani, Agostino Tomasone e Gerardo Di Sibio, del 1981 il primo e del 1984 il secondo. Mi dice ancora il suo vecchio amico: “Vittorio ha vissuto troppo tempo in carcere, quando è uscito aveva bisogno di gente giovane intorno perché non sapeva manco usare la carta di credito o fare un bonifico”. Chissà, forse questo ricambio generazionale in curva gli sarebbe piaciuto. Uno dei giovani a cui aveva dato fiducia però è stato pure Andrea Beretta. Lo aveva colpito per il suo carattere deciso e la sua prestanza. Poi è finita come è finita. E nessuno, dopo due anni, può ancora dire con certezza chi l'ha ucciso. E perché. Ma il contesto in cui il suo omicidio è nato sembra piuttosto chiaro e di conseguenza per capire chi ha agito e per quali motivi non bisogna andare troppo lontano con la fantasia. Intanto però la soluzione di questa storia non è ancora arrivata.