Io so ma non ho le prove. Io so perché tutti, nell'ambiente, hanno un'idea di come sia andata. Tutti, nell'ambiente, hanno gli stessi nomi in testa. Ma pochi, pochissimi, parlano. E quei pochi che parlano parlano poco. Il 29 ottobre saranno due anni dalla morte di Vittorio Boiocchi, allora capo della curva interista. Un omicidio che non ha un colpevole. Un omicidio che oggi assume un'importanza notevole per capire l'origine di quello che poi è emerso nelle indagini della Procura di Milano: le connessioni tra la ‘ndrangheta e i vertici ultras di Milan e Inter. Certo, sarebbe stato tutto più facile se nell'inchiesta non ci fosse stato un buco di un anno mezzo, ma questo lo spiegherò tra poco. E poi, appunto, chi deve sapere sa. Ed è per questo che nell'articolo che sto scrivendo non faccio i nomi né dei mandanti né di chi ha sparato ma racconto il contesto in cui questo omicidio è maturato e chi erano le persone coinvolte. Poi ognuno trarrà le sue conclusioni. Anche perché i tempi sono maturi, così dicono fonti investigative. Prima, però, partiamo da quel giorno del 2022.
29 OTTOBRE DI DUE ANNI FA:
Torno sul luogo del delitto un venerdì pomeriggio. Boiocchi abitava con la moglie Giovanna a Figino, periferia ovest di Milano. Un luogo scenografico per un agguato. Quasi perfetto. La via è fratelli Zanzottera: i portici, qualche negozio, due bar, la chiesa di San Materno, fin troppo maestosa per il piccolo slargo su cui affaccia. Poi la fermata dell'autobus e intorno palazzi popolari. Quello di Boiocchi è al numero 12. Il 29 ottobre 2022 c'è Inter-Sampdoria a San Siro. Vittorio non può entrare allo stadio e un altro diffidato, Francesco De Nigris detto Chiccone, lo porta a casa in scooter. Lo lascia davanti al cancello, si salutano, poi Chicco riparte, gira a sinistra e con una manata di gas è già lontano. Sono da poco passate le 19:30. Chicco non vede né sente arrivare una Kawasaki Ninja nera. La vede e sente Jayari Jalloul, un tunisino vicino alla fermata dell'80. Jayari riferisce che la moto si ferma all'altezza dei portici. Il passeggero scende, fa un passo, torna indietro verso la moto, forse per controllare che l'arma sia ok, poi si gira e va diretto verso Vittorio Boiocchi, 69 anni, che stava per aprire il cancello del palazzo. Vittorio vede il suo assassino. Ha un'andatura particolare. Dettaglio fondamentale. Vittorio pare riconoscerlo. Gli va incontro, grida: “Non farlo, non sparare”. Partono cinque colpi, due lo uccidono. I killer hanno sempre indossato il casco, erano vestiti di scuro, i giubbotti avevano delle strisce blu sulle braccia. A chiamare i soccorsi è Mohamed Marnissi, che abita al primo piano di via Zanzottera 9. Agli investigatori dirà: “Ho sentito tre spari, mi sono affacciato, ho visto un uomo sull'asfalto”. La moglie di Vittorio, Giovanna Pisu, è su al secondo piano con una delle sue piccole nipoti. Prega la bambina di stare ferma in casa e scende a vedere. Sa già cosa è successo. È un miracolo che gli uomini come Vittorio arrivino alla vecchiaia sani e salvi. E si sa, i miracoli accadono poche volte. Gli agenti della Polizia scientifica arrivano alle 20. Trovano: gli infermieri e i medici del 118 che cercano di rianimare Boiocchi; cinque bossoli calibro 9x19 mm Luger di produzione della Repubblica Ceca marca TPZ; tre ogive FMJ calibro 9. Le due che mancano sono nel corpo di Vittorio, che morirà all'ospedale San Carlo.
OTTOBRE 2024
Ora sulla transenna di via fratelli Zanzottera ci sono dei girasoli, un adesivo, due sciarpe sbiadite dell'Inter, una è dei Boys San, gruppo storico della tifoseria fondato nel 1969 proprio da Boiocchi. C'è una targa con scritto “sarai sempre nel cuore di chi ti ama” e ci sono delle foto: Vittorio è calvo, pizzetto o barba incolta. In una di queste c'è una frase di Marracash, tratta dalla canzone Love: qualcuno in cielo, qualcuno in meno. Sorrido, perché uno dei sospettati dell'omicidio è sempre stato Nazzareno Calajò, boss del quartiere Barona, criminale di caratura enorme ora in carcere per traffico internazionale di stupefacenti, a cui proprio Marra ha dedicato strofe, canzoni, saluti ai suoi concerti. Criminali di strada, droga, ultras, agganci con la malavita del sud, rapper: la Milano di oggi, la Milano di allora. Sotto al citofono ci sono ancora due fori provocati dai proiettili, quelli che miravano alle gambe. Entro nel cortile del palazzo, la signora Giovanna è cortese, ma non vuole rilasciare dichiarazioni ufficiali. Mi ripete le cose che sono trapelate in questi giorni: sono due anni che so chi è stato, le darò un'esclusiva quando lo scriveranno i giornali. Mentre parlo con lei dal citofono della scala B uno scoiattolo attraversa il piazzale dei box. Sono qui per questo, le dico. E lei risponde: “Allora mi aiuti, lo faccia”. Quando torno in strada mi avvicino al murales dedicato a Boiocchi: lo stencil del suo volto sul muro incrostato. Accanto, le targhe degli abitanti di Figino morti per il piombo nazifascista. È una via di lapidi, questa. I proprietari del bar proprio sotto le finestre di casa Boiocchi, ironia della sorte, sono milanisti. Il barista mi serve un'acqua tonica e racconta: “Quella sera avevamo chiuso da poco. Boiocchi era cordialissimo. Sai quanti sbarbati venivano qui a trovarlo? Tanti. Era gentile con tutti”.
LA BIOGRAFIA CRIMINALE DELLO ZIO
Eppure il suo profilo criminale descrive una storia diversa: Vittorio Boiocchi da ragazzo era molto legato a Guglielmo Fidanzati, morto nel 2014 e figlio di don Tanino, boss di Cosa nostra. Tra il 1996 e il 1997 viene coinvolto in un’associazione a delinquere finalizzata all’importazione di ingenti quantitativi di droga, cocaina dalla Colombia, eroina dalla Turchia. Con lui altri due Fidanzati, Giuseppe e Stefano. Era già dentro, Vittorio: resterà in carcere altri 20 anni. In tutto si fa 26 anni e tre mesi a causa di dieci condanne per vari reati, tra cui sequestro di persona e detenzione illegale di armi. Quando esce nel 2018 torna in curva e si riprende tutto quello che era suo. “Gliel'hanno data per rispetto”, si sente in un'intercettazione. Prende un Daspo quasi subito, dopo gli scontri con i napoletani dove muore Dede, Daniele Belardinelli. Il tifo non gli basta e continua a tenere legami con la mala: durante un controllo di polizia al bar Calipso di via Correggio, luglio 2020, è con Antonio Canito e Vincenzo Facchineri. Il primo un pezzo di tutto rispetto, il secondo un pezzo grosso: Facchineri è fratello di Luigi, boss della ‘ndrina Facchineri, entrambi figli di Michele, detto “Il Papa”. Vincenzo è un pluripregiudicato con precedenti penali per estorsione, usura, omicidio volontario, strage, ricettazione, fabbricazione e commercio di armi. Non passa nemmeno un anno che Boiocchi, poi, viene trovato in possesso di una pettorina della guardia di finanza, un teaser, una pistola non immatricolata con munizioni, un coltello e delle manette. Secondo gli agenti della Squadra mobile che lo arrestano l’attrezzatura serviva per un’estorsione. Insomma, Boiocchi si era scelto la vita del criminale e il criminale continuava a fare. Con le figlie era un padre attento, dolce, ancora oggi Valentina, Liliana e Roberta su Instagram lo ricordano e lo rimpiangono. Chi lo conosceva fuori casa invece la prima cosa che ti dice è: “Boiocchi litigava con tutti”. Della serie: l'assassino poteva arrivare da diversi ambienti. All'inizio circolò, immancabile, anche la voce del delitto passionale. Una puttanata.
UN DIFETTO E LE COINCIDENZE
Per trovare i mandanti e gli assassini di Boiocchi non bisogna fare voli pindarici. Anzi, è bene rimanere a terra. Ancora meglio, in strada. E qui bisogna segnalare un difetto di partenza e una serie di coincidenze. Il difetto è risaputo: l'omicidio si sarebbe potuto evitare. Colpa di un vuoto nelle indagini. Fino all'arrivo del Covid nel baretto di San Siro, ritrovo degli ultras della Nord, il pm Leonardo Lesti e il GIP Guido Salvini avevano piazzato una cimice, grazie alla quale erano stati capaci di mappare le gerarchie e le dinamiche tra i vari gruppi della curva. Dopo la pandemia e per un anno e mezzo l’indagine però si ferma. C’è una corposa annotazione della Digos che il 20 ottobre 2020 segnala al pm la necessità di emettere misure cautelari nei confronti di Boiocchi, Beretta, 25 esponenti della curva Nord per associazione per delinquere relativa alla gestione illecita dello Stadio, reato che è già emerso chiaramente, ma il pm Lesti non presenta nessuna richiesta al giudice per le indagini preliminari e la cimice non viene più attivata né svolta alcun attività di indagine. Il contesto in cui è maturato il delitto Boiocchi, insomma, è un buco nero. Le intercettazioni sono riprese solo dopo quel 29 ottobre 2022. E qui arrivano le coincidenze: proprio in quei giorni fa la sua comparsa il “nano malefico”, così viene chiamato: Antonio “Totò” Bellocco da Rosarno, che comincia a fare viaggi dalla Calabria a Milano con i suoi sodali, Giuseppe Idà, Vincenzo Monaco e Salvatore Nucera detto “Sarvu”. Proprio in quei giorni Andrea Beretta, il numero due della curva, ha dei comportamenti strani. Dalla sera dell'omicidio Boiocchi è irreperibile, infila il suo cellulare nel microonde per paura di essere intercettato o perquisito, fa un viaggio a Pietrelcina con la sua compagna di allora Ilaria Senatore. Il motivo? Beretta è devoto di Padre Pio da tempo, ce l'ha pure tatuato. Va a chiedere scusa? Va a redimersi per aver tradito il suo ex capo? Era un viaggio già programmato? Le coincidenze non finiscono qui.
BERETTA E BELLOCCO SI PRENDONO TUTTO
Sempre nelle settimane successive Andrea Beretta e Bellocco cominciano a stringere accordi. Ufficialmente, dirà Beretta al pm Paolo Storari, perché volevo proteggere la curva da altre infiltrazioni. Il loro primo incontro documentato dalla Digos è datato 16 novembre 2022. Beretta, diffidato, indica Marco Ferdico come suo uomo nella Nord. Ferdico e suo padre diventeranno fedelissimi di Bellocco. Ferdico e Beretta troveranno un finto lavoro, un finto stipendio e un appartamento a Bellocco, che si trasferirà nel milanese a gennaio 2023. Beretta e Bellocco dettano legge. Nelle intercettazioni hanno toni da boss (“Bastiamo noi due per prenderci tutto” è la sostanza dei loro discorsi): decidono come spartirsi gli affari, i guadagni dei parcheggi, del merchandising, dei biglietti. Dalle indagini emergono una serie di aspetti: Beretta e Boiocchi avevano avuto dei dissidi perché Boiocchi aveva preso tutta la gestione dei biglietti lasciando a Beretta solo il merchandising; Pino Caminiti, che girava 4mila euro al mese derivati dai parcheggi a Boiocchi e Beretta, abbandona il primo e parteggia per il secondo. Attenzione: Caminiti è un altro personaggio che merita una parentesi. Ha 54 anni, è legato a un altro capo della ‘ndrangheta, Giuseppe Calabrò detto “U Dutturicchiu”, ed è colui che per conto dell'imprenditore Gherardo Zaccagni gestiva i parcheggi di San Siro. Per lui Zaccagni spende il paragone con il mafioso stalliere di Silvio Berlusconi, Vittorio Mangano. Pino Caminiti per l'Antimafia è un assassino, perché da un'intercettazione del 2020 salta fuori la soluzione di un altro omicidio rimasto irrisolto, quello di Fausto Borgioli alias Fabrizio, narcotrafficante ucciso nel 1992 con tre colpi di pistola nel quartiere Bande Nere. Borgioli morirà mezz'ora dopo all'ospedale San Carlo. Già, come Boiocchi. Caminiti e Boiocchi si odiano. Caminiti, anni prima, ci aveva litigato per una questione di soldi legata ai parcheggi. Infine, emerge che nei mesi successivi alla morte di Boiocchi, Beretta e Ferdico, forti di essere coperti dal nome e dalla statura criminale di Bellocco, decidono di ritirare gli striscioni e riunirsi sotto un unico brand, Curva Nord, per centralizzare guadagni e ricavi. Gli ultimi ad accettare questa imposizione sono una fazione storica: gli Irriducibili.
GLI IRRIDUCIBILI E L'ESTREMA DESTRA
Il loro capo è Giacomo Pedrazzoli. Le altre teste sono Steve Del Miglio e Davide Cancelli. Nelle informative della Digos si documentano incontri tra loro, Beretta e Bellocco a casa di Domenico Bosa, detto “Mimmo Hammer”. Alla fine pure gli Irriducibili mollano e tra di loro si lamentano degli “spocchiosi calabrotti”. Ma anche loro, tramite Bosa, cercano agganci con altre famiglie. Che però preferiscono tenersi fuori. Gli Irriducibili sono di destra, frequentano la curva, i circoli di Lealtà e Azione e Casa Pound. Non amano soprattutto due categorie di persone: le guardie e i giornalisti. Anche solo recuperare un loro numero di telefono è un problema. Decido quindi di andarne a trovare uno sul luogo di lavoro. Mi presento. L'irriducibile mi chiede di aprire il bomber, poi di alzare la felpa. Vuole sincerarsi che non abbia né un registratore né una microcamera. Usciamo dal negozio e mi dice: “Dammi il cellulare”. Sorrido e ubbidisco. Conosco le regole del gioco. Tuttavia non dice niente: “Ci sono famiglie di mezzo, per rispetto loro non parlo”. Proprio per loro dovremmo chiarire questa vicenda, ribatto. Per le figlie. Per le nipoti. Niente da fare. Un altro che non parla è Francesco De Nigris, l'ultimo che ha visto Boiocchi vivo. Anche lui è fuori dalla curva, durante i festeggiamenti dello scudetto, lo scorso maggio, ha tirato un fumogeno su un balcone del centro. I capi si sono incazzati e lo hanno buttato fuori dalla festa. Da lì non è più tornato in gruppo.
LA FONTE DI BRERA
Poi però le mie insistenze sono premiate. E qualcuno accetta di incontrarmi. Proviene sempre dalla destra milanese, mi dà appuntamento in un bar di Brera. Cammina nervoso puntando chi intorno a noi parla al cellulare, anche lui ha paura di essere ripreso. Mi conferma: l'estrema destra è una chiave nell'omicidio Boiocchi. “Guarda i legami tra vecchi militanti che magari sono pure boss milanesi e ‘ndrine calabresi. Poi ragionaci”. Torna in mente Nazzareno Calajò. Chi lo conosce dice che la sua arroganza incute timore. Alle udienze di quegli anni, spesso, si presentava in sedia a rotelle. Adesso ha chiesto il suicidio assistito perché, a detta sua, ha perso l'uso di una gamba. Anni fa si era espresso così: “Se avessi l'opportunità di far fuori Boiocchi e riuscire a non risultare lo farei”. Calajò ha un soprannome: “Nazza Nazi”. Destra, criminalità, siamo sempre lì. Nazzareno, va detto, in quei mesi, era agli arresti domiciliari. Nell'ultimo processo è stato condannato a 17 anni e ora è in carcere. La fonte continua, e mi dà una dritta: “Risulta che altre famiglie volessero entrare nel business curva, soprattutto una, della Brianza”. Solo che la geografia delle famiglie calabresi in Lombardia è un labirinto: ci sono i Barbaro Papalia, già in contatto con la curva Sud del Milan. Ci sono i Pompeo e i Flachi che rispondono ai De Stefano. Ci sono i Mancuso e i Morabito. “E l'uomo che parla un po' con tutti è Mimmo Bosa”. Bosa è ai domiciliari ora ed era ai domiciliari due anni fa. Questo però non gli impediva di ricevere i capi della curva a casa sua, di intessere accordi tra famiglie calabresi sfruttando le sue abilità diplomatiche e il suo carisma. Con Bellocco però non c'è stato niente da fare. Totò con Beretta si vantò di avergli fatto vedere “l’album di famiglia” per metterlo subito a posto. Il ruolo di Bosa, in seguito, è tornato decisivo subito dopo l'omicidio dello stesso Bellocco.
L'ULTIMA INCHIESTA
Il resto infatti è storia. Beretta ammazza Bellocco il 4 settembre 2024. Quattro giorni prima Beretta aveva saputo che Bellocco era ormai pronto a ucciderlo. A Bellocco non tornavano i conti sul merchandising e voleva aprire un negozio a Milano a cui Beretta si era opposto perché avrebbe fatto concorrenza al suo di Pioltello. Beretta si confida con gli amici più fidati, uno di loro lo esorta a raggiungerlo nell'isola delle Baleari, Ibiza, e non fare cazzate. Beretta lo tranquillizza ma poi quando si ritrova nella Smart con Bellocco lo uccide con 21 coltellate. Le indagini accelerano. Scattano le retate. Si parla anche di contatti con giocatori. Nell'inchiesta non si parla di scommesse, non si parla di droga, ma l'impressione è che sia solo questione di tempo. Nell'ordinanza più completa, di 1.500 pagine, ci sono foto dove i protagonisti si scambiano buste e soldi.
NON CONVIENE A NESSUNO
Ora, ogni tanto, spunta una voce: “Sono arrivati dalla Calabria per uccidere Beretta in carcere, sono saliti dalla Puglia per sistemare l'infame che lo ha avvisato”. Voci, appunto. La vendetta tanto attesa non c'è ancora stata. Uno perché la ‘ndrangheta sa prendersi il suo tempo. Due perché Bosa era tornato in azione per cercare di calmare gli animi e capire come risolvere la situazione, sfruttando il fatto che Bellocco agiva senza grandi coperture alle spalle. Questo dettaglio è stato confermato da un'altra intercettazione, del 20 ottobre 2023 tra Caminiti e Giuseppe Calabrò: “In lista ci sono altre famiglie”. Tre perché a Milano ora non bisogna fare casino. Ordini dall'alto. Non conviene a nessuno: non alla politica (ci sono le elezioni e le Olimpiadi), non alla ‘ndrangheta, nemmeno agli ultras, ché questo caos ha aumentato l'attenzione anche verso le curve di altre città.
LA MEZZA FRASE
Nel frattempo tra poco sono passati due anni da quel 29 ottobre. Gli investigatori sono convinti: per risolvere questo omicidio seguire le tracce che si possono recuperare nel presente è fondamentale. E ieri come oggi la matrice calabrese pesa. E pesano le coincidenze. Come abbiamo visto non era difficile, per chi voleva prendersi gli affari della curva, trovare qualcuno disposto a far fuori Boiocchi. Nelle ultime carte prodotte dalla Procura è stata resa nota una mezza frase, sempre della famiglia Calajò: “È andato a rompere i coglioni dove ci sono le cose e lo hanno ammazzato. Ha preso la curva come niente quando è uscito dal carcere. Poi è andato a nuocere, diciamo così...”. Nessuna vecchia storia. Per risolvere l'omicidio non bisogna fare molta strada. “È andato a rompere i coglioni dove ci sono le cose”. “È andato a nuocere…”. L'uomo che va incontro a Boiocchi ha un segno particolare. Tanto che in Procura un agente scuote la testa e dice: "È assurdo che non riusciamo a incastrarlo". Boiocchi al suo killer grida: “Non lo fare, non lo fare”. Come a dire: possiamo ancora trovare un accordo. Vecchie conoscenze. Antichi agganci. Milano-Calabria. L'accordo di sicuro, dopo la sua morte, lo faranno altri.