C’è davvero di mezzo la ‘ndrangheta nell’indagine sulle curve di San Siro? Klaus Davi ci ha detto la sua: “C’è ma è solo marginale”. Le modalità di azione di Andrea Beretta e l’omicidio di Antonio Bellocco sembrano legate, per il giornalista ed esperto di ‘ndrangheta, a una dimensione delinquenziale diversa. Tutto, comunque, torna alla Calabria. È così per le origini di Bellocco, ma non solo: “Secondo me la mafiosità va interpretata, in questo caso è identitaria”. Tra le varie risposte di Davi, colpisce quella che individua una funzione particolare nella volontà (forse già attuata) della ‘ndrangheta di prendersi il Meazza: “La famiglia Pesce-Bellocco usa San Siro per la campagna elettorale della ‘ndrangheta, come un meccanismo per creare consenso. Le ‘ndrine, come dico sempre, sono sezioni di partito”. C’era poi un preciso scopo, secondo il giornalista, per la presenza del procuratore nazionale antimafia, Giovanni Melillo: “Il calcio a Milano è un nervo importante”. E la procura, oltre alle intercettazioni che riguardano Simone Inzaghi, potrebbe ancora avere qualche informazione decisiva che non ha reso pubblica. Mentre per Davi il futuro criminale di Andrea Beretta è segnato.
Klaus Davi, davvero è solo a causa dell’omicidio Bellocco che la procura di Milano ha deciso di rendere pubblica un’indagine che dura da sei anni?
Sicuramente quel delitto ha accelerato i tempi di un'indagine molto articolata e densa, che comunque risale al 2018. Devo dire che, al di là dell'aspetto meramente criminale, è senza dubbio un bel saggio di antropologia su questo mondo delle curve, su certi meccanismi di controllo delle squadre di calcio. Poi è ovvio che dato l'enorme scalpore che ha fatto l'omicidio Bellocco a Milano ci sia stata un'accelerazione.
Inzaghi e Ferdico sono stati intercettati, però si parlava solo di poche centinaia di biglietti: forse la procura ha ancora qualcosa di forte che non ha rivelato?
Assolutamente sì, ci sono tanti omissis. Sicuramente la procura può avere in mano molte più cose su questa indagine, qualcosa che potrebbe andare al di là di quelle conversazioni con Inzaghi.
Nel linguaggio di Ferdico e degli altri intercettati vedi un metodo mafioso, una volontà di ricatto mafiosa, oppure sono criminali “dilettanti” che si sono trovati in un giro troppo grosso?
Secondo me la mafiosità va interpretata, in questo caso è identitaria. La Calabria ricorre come un valore a cui fare riferimento, poi se ci sia dietro una metodologia mafiosa o solo delinquenziale non sono in grado di dirlo, ma viene confermato quanto ho sempre detto, cioè il valore apicale e identitario della Calabria.
L’indagine non è incentrata sulla droga, che però ovviamente si vende nelle curve: come mai questa assenza?
Come dicevo, i tempi sono stati accelerati, mentre la ricerca delle prove può essere complicata e lunga. Il rischio è quello di portare il caso al gip e quello ti cassa l'indagine per assenza di prove. Possiamo ipotizzare che abbiano trovato qualcosa, però adesso c’è la legge Cartabia, che è una specie di tagliola in questo senso. Credo abbiano portato sul tavolo del gip solo quello che poteva reggere in un processo. Non avendo rilevato certezze sulla droga probabilmente non se la sono sentita di affrontare anche quella questione.
Alla conferenza era presente il procuratore nazionale antimafia, eppure la ‘ndrangheta è stata citata solo marginalmente.
Diciamo che il procuratore nazionale antimafia Melillo, che è una persona saggia, ha voluto dare sostegno a quell’indagine. Perché? Perché attaccare il calcio è impopolare. Quindi il suo ruolo era più, se così possiamo dire, politico. Attaccare Milan e Inter a Milano è difficile, per questo hanno voluto mettere il sigillo dell’antimafia sulla vicenda. Sono certo che con Melillo l’antimafia svolgerà questo tipo di indagini su tutto il territorio, non solo in città. In questo caso è stato a tutela della procura, un incoraggiamento ma anche una protezione, nel senso che il calcio è un nervo importante per Milano. Poi sicuramente qualcosa bolle in pentole per altre indagini coordinate.
Pensi che l’omicidio Bellocco fosse stato messo in conto dai vertici mafiosi in Calabria?
Gli omicidi sono parte costitutiva dell'esistenza di un ‘ndranghetista, la morte una presenza costante. Sicuramente la famiglia non pensava che in una provincia, tra virgolette, come Milano potesse accadere qualcosa di simile. Non in quel contesto almeno. Bisogna però anche capire cosa diceva Antonio alla famiglia, cosa sapevano davvero in Calabria. Noi non lo sappiamo perché le perquisizioni le hanno fatte a Milano, non a Rosarno e San Ferdinando. Quindi lato Bellocco, lato famiglia, lato apicale non sappiamo nulla, perché non ci sono state perquisizioni.
Non è strano che una reazione forte nei confronti di Beretta o di persone vicine a lui non ci sia ancora stata?
Tra i suoi accoliti sicuramente c'è stato silenzio, però io ero lì tutti e quattro i giovedì, quando la curva si è riunita, e in quelle occasioni comandava lui. Quindi secondo me l'atto violento di Beretta è stato un’ammissione di sconfitta e, paradossalmente, di debolezza. Nella malavita anche quando sei perdente stai zitto, di certo non ti esponi. Quando ho intervistato Ciccio Testuni, per esempio, lui mi ha dato la mano ma poi non ha fiatato.
Come vedi il futuro criminale di Beretta?
A mio modesto parere i Bellocco ne escono molto rafforzati da questa vicenda, perché è vero che Antonio non ha fatto una bella figura, ma è anche vero che la sostanza criminale di Beretta ricorda quella di un personaggio dei romanzi di Simenon, quella di un infame. Una figura da “mala milanese” o francese. La famiglia Bellocco ne esce sicuramente più forte in termini di reputazione. Beretta non ha futuro criminale, se non la via del pentimento.
E la questione del presunto doppio gioco, cioè dell'uomo che avvertiva Beretta delle intenzioni di Bellocco?
È la prova che non siamo di fronte a una guerra di 'ndrangheta. Certo, la 'ndrangheta c'è in questa storia, non lo nego, ma ha un ruolo marginale, legato alla volontà di guadagnare, di fare cassa. Qui parliamo di criminalità molto insidiosa e pericolosa, ma è una delinquenza di tipo diverso. Resto convinto, però, che la Calabria abbia un peso per l'ascendente che ha sull'ambiente milanese in generale, anche per i nomi che sono in gioco e che fanno paura, come quelli di Giuseppe Calabrò e dei Morabito.
Pensi che lo stadio e i suoi business paralleli, i parcheggi per esempio, siano un modo per la mafia di entrare a Milano?
I Bellocco sono qui da 40 anni, Antonio era un importante perno della famiglia a Milano, si occupava di droga, stadi, estorsioni e tutto il resto. Ma la famiglia è già qui da molti anni, non possiamo farla passare come una cosa nuova. Poi opera da tempo anche con la famiglia Mancuso di Limbadi. E Limbadi e Rosarno, da cui provengono i Bellocco, sono lontane pochi chilometri sia fisicamente sia dal punto di vista criminale. Lo stadio poi è per così dire un hub di consenso politico. La famiglia Pesce-Bellocco usa San Siro per la campagna elettorale della ‘ndrangheta, come un meccanismo per creare consenso. Le ‘ndrine, come dico sempre, sono sezioni di partito.
Il coinvolgimento di un consigliere regionale è indicativo di questa penetrazione oppure è solo un caso circoscritto al business delle curve?
Loro cercano agganci nella politica e ne già hanno tantissimi. Ricordo che Giuseppe Piromalli in un'intervista per Studio Aperto fece notare che la mafia i voti li porta a tutti, destra, centro e sinistra. Noi facciamo eleggere tutti, mi disse.