Di tutta questa storia che riguarda l’omicidio di Antonio Bellocco per mano di Andrea Beretta, dell’infiltrazione della ‘ndrangheta nelle curve di San Siro hanno parlato i giornali, la procura di Milano e i cronisti, come Klaus Davi, che seguono da tempo queste vicende. I tifosi, invece? La pagina Instagram del Secondo Anello Verde ha pubblicato il comunicato ufficiale degli ultrà, in cui venivano stabilite le nuove linee guida. Si annunciava, per esempio, che il “servizio di biglietteria” che la curva organizzava avrebbe smesso di esistere. E si diceva che la quasi totalità dei problemi che si sono venuti a creare fossero dovuti all’accentramento di potere degli ultimi anni. I nomi non vengono fatti. Il direttore di MOW, Moreno Pisto, ha intervistato in esclusiva un altro membro della curva. Si definisce anche lui ultrà, un tifoso vero, uno di quelli che hanno un’ideale. E che questo ideale lo seguono in trasferta, lo sostengono a San Siro a ogni partita. Ci sono l’Inter e la maglia, per lui, il resto non conta. Lui i nomi li fa: “Marco Ferdico, Andrea Beretta, Antonio Bellocco, Matteo Norrito”. Perché ha deciso di parlare? “Perché sono un ultrà e per l’Inter ho preso anche le mazzate. In questi giorni ne ho sentite tante e ne stiamo facendo le spese noi tifosi. Si sono dette un sacco di cose, sicuramente con fondamenti di verità, ma noi ultras abbiamo sempre speso soldi e tempo per vedere la nostra squadra, senza chiedere nulla in cambio”. Era arrivato quindi il momento di esporsi, di rivendicare una differenza, quella tra i tifosi e coloro che, invece, dalla curva e da una passione volevano solo guadagnarci. “Chi gestisce tutto”, chiarisce, “è logico che debba guadagnarci. Dal Covid in poi però c’è stato un cambio di passo: biglietti, parcheggi, panini, bibite, merchandising e tutto l’introito che deriva dalla giornata della partita”. Ma non c’è solo il calcio: “Ci sono anche i concerti. Lo strumento è San Siro, il calcio è solo un accessorio”. Sta nel flusso di 80mila persone che si assemblano ogni volta, per ogni evento, allo stadio. Ma cos’è cambiato dopo il Covid?
Innanzitutto Vittorio Boiocchi, tra le personalità più importanti della Nord, è stato ucciso. In seguito la pressione economica si è fatta più forte: “Si percepiva che c’era sempre una maggiore richiesta di denaro, si cercava di spremere là dove possibile. E c’era sempre più potere di chi gestiva”. E fa l’esempio dell’azienda più grossa che “prende quella più piccola per farci i soldi”. Un condizionamento, quindi, che arrivava dall’esterno nella figura di Bellocco, “che non era dei nostri”. Poi le parole di Beretta (“A me della maglia non frega niente”): “Svilenti, ti fanno incaz*are. Prendi il treno, la macchina, ti muovi per ovunque per l’Inter e poi ti senti dire che è solo una questione di soldi”. Come già avevamo anticipato in questo articolo, i parcheggi fuori da San Siro, dopo gli arresti, sono diventati gratuiti. Logico pensare che fossero i vertici ultrà a gestire questo business, che però non riguardava solo le partite, ma tutti gli eventi. Prima c’erano le forze dell’ordine che supervisionavano i passaggi e i parcheggi erano abusivi. Adesso che i controlli sono a zero, con i leader della curva in carcere, sono persino diventati gratis. “Prima parlavamo comunque di 30 euro a posteggio per 1500 o 2000 macchine”, aggiunge. “San Siro è un simbolo” e prenderselo non significa rimanere nell’hinterland, concentrarsi sul mercato periferico, ma insidiarsi a Milano: “Non avrei mai pensato che lo stadio potesse appartenere a una struttura del genere”. Si parla, è noto, di ‘ndrangheta, quella “struttura” già presente nel capoluogo lombardo e che tramite la curva voleva controllare la sicurezza dei locali e dei vip come Fedez. Insomma, per diventare ancora di più “gli occhi e le orecchie” della città.
“Se ho paura a parlare di ‘ndrangheta? Ti dico la verità, sì. È un potere che non si era mai visto nel nostro ambiente”, confessa. E queste remore sono evidenti quando gli vengono chiesti i nomi delle famiglie di cui si è parlato. I De Stefano e i Flachi, per esempio: “Mai visti in curva. Sono nomi che non voglio mettermi in bocca”. Ribadisce però che “noi siamo tifosi, non facciamo i soldi sugli altri. Il nostro è un mondo che non avrei mai pensato potesse appartenere a una struttura del genere”. Il punto è questo: quando chi è responsabile delle curve deve rispondere a qualcuno che sta sopra, allora si perde il senso dell’essere ultras. E la politica? “Né il sindaco né nessun altro hanno parlato di questa situazione. Nessuno sapeva niente? A me sembra una cosa assurda”. Inutile, ci dice, parlare della curva come “il male”. Non è giusto scaricare le colpe sui tifosi: “Ci sono cose che esulano, che non c’entrano un caz*o con il tifo”. La percezione è di una città che “sta venendo presa in mano” da un potere esterno. Il simbolo dell’Inter e del Milan insediato da potenti famiglie criminali calabresi. Nel mezzo il calcio, l’amore per una squadra, la condivisione di un ideale. Una cosa è certa: “Sapevamo già tutto”. E da adesso in poi sarà difficile far finta di niente.