Forse la ricordate Giulia Schiff, la giovane pilota che denunciò l’Aeronautica militare italiana per presunti maltrattamenti subiti durante il cosiddetto “battesimo del volo”, una cerimonia rituale per i cadetti che superano un determinato test. Trovai inaccettabile il trattamento che le era stato riservato. Non conoscendo il contesto della cerimonia, lo interpretai come un atto di violenza e mi attivai subito per aiutarla. Giulia fu dichiarata non idonea e allontanata dall’Aeronautica. Per mesi, se non anni, cercò di far sentire la sua voce, scrivendo persino all’allora ministro della Difesa Elisabetta Trenta, ma senza ottenere risposte. Solo dopo lo scandalo mediatico scatenato dal Corriere della Sera, Trenta si attivò. Giulia mi contattò un sabato, mostrandomi video e immagini delle percosse che sosteneva di aver subito. Senza pensarci due volte, il giorno dopo avevo già un giornalista del Corriere della Sera a casa mia per raccontare la sua storia. Il caso esplose: fu invitata in televisione, la misi in contatto con altri giornali… insomma, le spalancai le porte del mondo mediatico. Tuttavia, oltre qualche ospitata, non riusciva ad andare avanti, e alla fine la sua espulsione dall’esercito divenne definitiva. Negli anni successivi mi dispiacque molto per lei. Cercai di darle consigli, ma sembrava bloccata in quella fase della sua vita, incapace di superare il trauma di essere stata cacciata. Per mantenersi, lavorava duramente come cameriera, mentre la frustrazione per l’ingiustizia subita continuava a pesare su di lei, rendendole difficile accettarla.

Poi, all’improvviso, la svolta: Giulia parte per l’Ucraina. Lascia il suo cane, la sua famiglia, le sue cose e parte. Ho sempre pensato che fosse il suo modo di riscattarsi, di dimostrare a chi l’aveva allontanata dall’esercito che si erano sbagliati, per sentirsi finalmente un’eroina, anche se di un altro Paese. All’inizio ero contraria, trovavo la cosa preoccupante e, da madre, faticavo a comprenderne le ragioni. Ma cambiai idea quando Giulia incontrò il grande amore della sua vita, un soldato ucraino, un ragazzo coraggioso e molto gentile. Finalmente sembrava aver trovato qualcuno di forte e sicuro che le voleva davvero bene. Devo ammettere che mi sono sentita sollevata sapendo che ora c'era lui a proteggerla e a starle vicino. Ma poi, il cambiamento. Nel suo ultimo post, un attacco quasi minaccioso contro Trump, ho cercato di avere una conversazione con lei perché non trovo giusto diffondere false informazioni ai propri follower. Inoltre, so bene che lei non si è mai interessata alla politica, anzi, è stata più volte strumentalizzata dalla politica stessa. Ho provato a farla riflettere su ciò che è accaduto durante l’incontro nello Studio Ovale, cercando di calmarla con un’analisi razionale dei fatti. Ma nulla, ripete sempre le stesse frasi, come un pappagallo, perfettamente allineata alla retorica liberale pro-guerra e pro-Ucraina. Mi chiedo come possano donne e madri scendere in piazza con bandiere ucraine o attaccare ferocemente sui social chiunque osi chiedere la pace. Chiunque esprima un pensiero critico viene immediatamente etichettato come nemico del popolo ucraino, come se provare empatia per una nazione devastata fosse prerogativa solo di chi sostiene la guerra. Empatia ne ho eccome, soprattutto per un popolo tradito più volte: la prima, quando è stato disarmato delle sue armi nucleari. La seconda, con la Rivoluzione Arancione finanziata da Usaid – l’agenzia federale per gli aiuti esteri – per servire gli interessi del governo americano dell’epoca. La terza, quando tre anni fa Europa e Stati Uniti promettevano un sostegno incondizionato, solo per poi lasciarli morire e spazzare via un’intera generazione di giovani ucraini. Se fossi ucraina, non proverei né gratitudine né commozione per questo finto supporto. L’umiliazione di aver creduto alle loro promesse mi spingerebbe a odiarli per avermi ingannata con le loro menzogne.

Giulia ha davvero aiutato molte persone, restando a lungo in zona di guerra e dimostrando grande coraggio. Tuttavia, aveva la libertà di viaggiare, prendersi delle pause e tornare in Italia per sposare il suo compagno con doppia cittadinanza. Una condizione ben diversa da quella dei poveri civili ucraini, che non hanno la stessa possibilità di scelta. È facile esprimere opinioni e sostenere la prosecuzione di un conflitto che, nella realtà, miete vittime ogni giorno. In Ucraina giovani ragazzi vengono prelevati con la forza dalle strade, caricati su camionette e mandati al fronte, strappati all’affetto delle loro madri. Ma per quale scopo? Non in nome della libertà che si continua a combattere, ma per alimentare un sistema corrotto, una macchina di potere in cui pochi si arricchiscono in pochi mentre gli innocenti vengono sacrificati in un ingranaggio spietato, macinati dal tritacarne della guerra, senza nemmeno poter dire la loro.

Giulia dovrebbe essere la prima a dire basta. Invece, si è immersa completamente in questa narrativa, prigioniera di un’ipocrisia senza limiti e di un buonismo di facciata. I media liberal, avevano trovato in lei la protagonista perfetta da sfruttare: prima per denunciare il patriarcato e il sessismo nell’esercito italiano, poi per promuovere la guerra. L’hanno usata e gettata via più volte a loro piacimento, senza nemmeno pagarla. Tutti questi giochi di potere, passati e presenti, hanno ridotto l’Ucraina a una terra violentata da tutti, nascosta dietro un falso sostegno morale, una menzogna venduta agli ingenui. Mi rattrista sapere che una persona che ho aiutato senza alcun interesse, e che considero un’amica, non sia nemmeno disposta ad affrontare un confronto con me, scegliendo invece di bloccarmi, nonostante quello che abbiamo passato insieme.

