Perché il centrodestra ha perso alle elezioni amministrative, da Verona a Catanzaro? Salvini ora è finito? Come andrà avanti la saga della scissione tra Di Maio e Conte? E la Meloni? Abbiamo chiesto questo e altro a Klaus Davi, massmediologo esperto anche di comunicazione politica.
Klaus, non si può non parlare di sconfitta del centrodestra. Una sconfitta inaspettata?
Devo dire che sono rimasto sorpreso per esempio di Catanzaro, invece un po’ meno di Verona, perché a Verona il fatto che Sboarina e Tosi non si siano accordati e che Tosi abbia sostanzialmente invitato ad andare al mare è stato devastante. Mentre a Catanzaro devo dire la verità non me l’aspettavo questa sconfitta, anche se c’è stato lo scandalo dei gettoni di presenza. Evidentemente sono mancati i voti di Fratelli d’Italia, sono stati sbagliati i candidati (che a livello locale sono molto importanti) e c’è stato un forte astensionismo, perché comunque l’elettorato del ceto medio è più astensionista al secondo turno, è ancora vera questa cosa. E quindi è stato veramente uno choc.
Il centrosinistra alla fine la sfanga…
Il centrosinistra con Enrico Letta ha adottato una strategia molto diversa da Salvini, dalla Meloni e anche da Calenda. Una strategia giocata più quasi sull’assenza, sul non esserci sempre, sul dosare le proprie apparizioni, sul fare più un passo indietro che un passo avanti. E questo sta pagando. Il centrodestra invece è dominato dall’ego più sfegatato dei protagonisti. E questo centrodestra non trova quindi il punto di sintesi. In questo senso secondo me è stato troppo sottovalutato il ruolo storico di Berlusconi. Non è un caso che il centrodestra sia durato così tanto con Berlusconi, perché Berlusconi era un garante nazionale e internazionale, ha reso presentabile An che era considerata impresentabile come l’Msi. Mi sembra che il ruolo importante che ha avuto Berlusconi con l’andare del tempo stia emergendo. Salvini e Meloni non sono capaci di fare sintesi, c’è poco da fare: non hanno la forza di Berlusconi. Questo è palese.
Salvini ormai è finito?
No, assolutamente. È momentaneamente in discesa ma non lo vedo assolutamente finito. Lo vedo in una fase di transizione e comunque per come la vedo io lo scenario potrebbe aiutare il centrodestra: in autunno arriverà la crisi economica e sarà purtroppo devastante per tutti noi, il malcontento crescerà e quindi il centrodestra che attinge molto da questo bacino non lo vedo svantaggiato. Però poi se non c’è un’offerta politica… Se Salvini fa le smargiassate, se la Meloni si irrigidisce, se Berlusconi magari si offende… dove vanno? Da nessuna parte. Dopo l’arrivo di Draghi devi proporre un’offerta politica seria. Non possono pensare di riutilizzare i vecchi schemi del 2008. E non dico del 1994 perché nel ’94 c’era una classe dirigente di altissimo livello nel centrodestra. Devono pensare a fare un’offerta politica presentabile che possa catturare l’elettorato.
Dunque al Pd basta aspettare gli errori del centrodestra?
Il Pd ha saputo parlare al proprio bacino, ai propri elettorali. Ha saputo arrestare la crisi di consensi che si era innescata. Poi azzecca i candidati: la mossa di Tommasi è stata giusta, anche se è un civico, non possiamo definirlo un uomo del Pd. C’è stato uno sforzo di uscire dalle logiche della nomenclatura.
L’uscita di Di Maio dai 5 Stelle con creazione di un nuovo gruppo?
Non credo a queste operazioni di vertice, non ci ho mai creduto, per una serie di motivi. Intanto perché con la crisi che c’è mettere a repentaglio l’equilibrio non è popolarissimo. Poi perché la storia ci insegna che queste cose non funzionano. Poi perché dire “mi sono scisso da Conte per la politica estera”… quando mai gioca un ruolo in Italia la politica estera… Dai, non mi pare. Quindi non ci credo. Mentre il grande centro che vogliono creare dipenderà molto dal sistema elettorale, più che da Di Maio.
Che ne sarà dei 5 Stelle?
Il brand dei 5 stelle è in crisi, ma il bacino elettorale c’è. Bisogna vedere se il centrodestra riuscirà a intercettarlo o se confluirà nell’astensione. Ma comunque un 20-25% di bacino di antipolitica c’è, sbaglia chi crede o dice che l’antipolitica è finita. Bisogna vedere che piega prenderà. La Meloni è in pole position, ma anche Salvini.
A livello nazionale come si tradurrà questo risultato?
La valenza nazionale delle amministrative non c’è, sono cazzate. In queste elezioni conta il rapporto con il territorio. A livello locale non importa quasi a nessuno se uno sia di destra o di sinistra, conta il candidato. Poi a livello nazionale basta un nulla per perdere il consenso. Il problema del centrodestra è che il suo elettorato non è andato a votare, per varie ragioni. È palese. Per candidati sbagliati, campagna elettorale sbagliata e, questo sì, disaccordi a livello nazionale che ala fine pesano. Se non ci credono loro... Il ceto medio si lamenta, si lamenta, ma poi non va a votare. Dovrebbe responsabilizzarsi e andarci, però se non vanno a votare è un problema della politica, non degli elettori. Ma il problema di fondo è che nel centrodestra pensano che Draghi non abbia impattato nella visione politica degli italiani e fanno finta di poter tornare al potere come se nulla fosse. Non sarà così, questo è il punto chiave del centrodestra. L’unico che l’ha capito secondo me è Berlusconi.
Inoltre c’è il fatto che metà centrodestra è al Governo, metà all’opposizione…
Esatto, c’è anche questa conflittualità di fondo. Dovranno fare la campagna elettorale spiegando perché sono stati divisi. E anche questo incide. Oltre ai personalismi: Letta è più furbo, manda avanti Calenda, De Magistris e tutti quanti, poi tira le fila lui. Sta un po’ meno in televisione degli altri ma non fa casino come il centrodestra. È proprio un altro percorso, se ne frega. Invece nel centrodestra fanno la gara a chi ce l’ha più lungo, diciamoci la verità. E hanno derubricato troppo in fretta Berlusconi e Forza Italia, che a prescindere dalle percentuali continuano ad avere il ruolo di federatori. Tant’è che Silvio continua a giocare le proprie carte.