Mario Meneguzzi, zio di Emanuela Orlandi, è da giorni al centro di un polverone mediatico che sembra non volersi fermare. La “nuova ipotesi” sulla scomparsa della quindicenne punterebbe il dito proprio verso lo zio, ipotesi che Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, ha smontato pezzo per pezzo durante una conferenza stampa a cui eravamo presenti anche noi di MOW. A dare conferma a quanto sostenuto strenuamente dalla famiglia negli ultimi giorni, arriva il racconto di un investigatore, oggi in pensione, che per vent’anni ha seguito il caso della sparizione della cittadina vaticana ha rilasciato al Corriere della Sera: “Seguimmo Mario Meneguzzi, ispezionammo anche casa sua, ma la pista tramontò presto. Su di lui ci attivammo, su nostra iniziativa autonoma, fin dalle primissime ore. Ci colpì quel suo attivismo eccessivo, i modi di fare di chi sembrava sicuro di essere più importante di un semplice zio di Emanuela Orlandi. Poi però chiarimmo tutto e capimmo anche il perché si comportasse così. Con la sparizione della nipote non ha nulla a che fare”.
Ma da dove nasce questa pista? Facciamo un passo indietro. Siamo nel 1978, cinque anni prima della scomparsa, quando Meneguzzi fece delle avance verbali alla sorella maggiore di Emanuela, Natalina. Da qui un titolone di giornale dietro l’altro in cui si insinuava il possibile coinvolgimento dell’uomo nella sparizione della nipote. La famiglia ha subito sottolineato l’assenza di Meneguzzi a Roma il 22 giugno 1983, giorno in cui si perdono le tracce di Emanuela. L’investigatore: “Meneguzzi fece quello che era giusto fare, data la sua posizione. Lavorando al bar della Camera, avendo amici nei servizi segreti, era normale che anche la famiglia lo investisse del ruolo di risolutore di quella situazione così drammatica. Aveva conoscenze, amicizie, poteva bussare a porte che alla famiglia sarebbero state invece precluse. Si rivelò al di sopra di ogni sospetto”. Meneguzzi è anche la persona che teneva i rapporti telefonici con i presunti rapitori della nipote: “Anche questo credo rientrasse nella normalità di quella situazione. O vogliamo pensare che tenesse dall’interno le fila dei rapitori, che gestisse da solo tutta la rete di persone coinvolte?”. Non si è fatto attendere il commento di Pietro Orlandi: “Questo racconto mette a tacere i sostenitori della pista che vedrebbe coinvolto mio zio, e di chi voleva scaricare sulla famiglia le responsabilità”.