Rapper vs giornalai. È quasi un format. Ogni mattina uno streammatissimo artigiano delle barre si sveglia e sceglie di dare lezioni di giornalismo via social. Dopo Fedez, è la volta di Lazza che si lascia andare a un lungo sfogo tramite storie Instagram in cui si descrive come l'incompreso di turno. La povera anima rivela di aver scelto di non rilasciare più interviste perché, tanto, gli verrebbero poste sempre le stesse domande, tutte uguali. Nessuno, lamenta, si è mai preso la briga di "scavare nel profondo" del suo animo d'artista, sono tutti a caccia di gossip riguardo alla vita privata che lui, dai e dai, si ritrova costretto a spifferare, almeno un po', per evitare di fornire scoop ai paparazzi. E poi ci si mette pure la gente. La gente che gli dà del "venduto" senza capire quanto sacrificio e fatica ci siano dietro ogni nuovo progetto. Che vitaccia, Lazza, non faremo a cambio mai, davvero. Questo trend dei (t)rapper che ritengono di saper far meglio il mestiere del giornalista fa sorridere. Un po' come Federico Lucia che, dopo la presunta rissa con Cristiano Iovino, aveva stoccato la stampa tutta: "Siete più interessati a cosa faccio la notte rispetto al genocidio palestinese". Salvo poi rilasciare dichiarazioni per spiegare il nuovo, fondamentale tormentone estivo, Sexy Shop, dopo la mezzanotte del 30 maggio nel corso del faraonico release party del pezzo. Dunque, amichetti delle rime, 'sti scrivani del web e della carta stampata li volete intorno oppure no? Nel dubbio, già che ci siete, oltre a produrre insieme bibite analcoliche che non si trovano da nessuna parte nel mondo reale al di fuori delle vostre storie Instagram, potreste mettere in piedi una scuola di giornalismo. Già che ci siete. Anche se, sinceramente, speravamo de morì prima.
Il 'J'accuse' di Lazza, questa volta, prende le mosse dal fatto che i giornalisti (quei bruti!) siano perennemente a caccia di "contenuti che facciano parlare". A differenza degli artisti, certo. Loro quando rilasciano un singolo sperano sempre che non se ne accorga nessuno. Malaugaratamente, invece, alle volte accade. E allora, controvoglia, questi sciagurati si devono accollare le interviste. Interviste che, troppo spesso pare, risultano addirittura noiose perché le domande sono sempre le stesse. Come se le "hit" proposte non fossero, di media, la copia-carbone di quelle passate. O di quelle di qualunque altro 'artista' della scena che conta. Ben difficile tirar fuori qualcosa di nuovo dal solito brano prodotto dai medesimi quattro gatti con quei suonini lì che tanto funzionano oggi. Forse, l'interrogativo più interessante - che nessuno ha il coraggio di fare causa uffici stampa licantropi - sarebbe: "Senti, perché 'sto pezzo qua è uguale a tutti i precedenti che hai tirato fuori fin qui? Non tieni un'idea? Un amico che ti vuole bene? Un gatto che ti giudichi con sufficienza mentre scrivi?". Magari, così, Lazza sarebbe contento.
Resta comunque fastidiosa la sicumera con cui questi (t)rapper puntino il ditino verso i giornalisti, come se l'intera categoria e questa soltanto fosse la causa di ogni male. Certo, esistono i cani, come in ogni ambito lavorativo. Poi, ci sono le condizioni in cui uno, abbaiante o meno, si ritrova a dover fare 'sto sciagurato mestiere. Pagati a croccantini possi, quando va bene, molti scrivani hanno a disposizione tre minuti con l'artista di turno, non un secondo di più. Il management dello stesso usa prodursi in un lungo briefing prima dell'incontro (foss'anche telefonico): "Non chiedere questo, quest'altro e non volesse Mefisto st'altra cosa. Facciamo che ti mando un paio di domande e a quelle gli fai, dai. Alla fine, ti faccio fare pure un video-saluto al sito. Così siamo tutti contenti". Non può che uscire una marchetta in cui ognuno dei coinvolti si annoia per ragioni diverse, sperando che 'sta carnevalata finisca presto, per poi sparire come cenere.
Non a caso, le interviste più interessanti, e anche le più diffuse nonché ribattute, sono quelle fatte a meteore del passato che non hanno più nulla da perdere. E, soprattutto, sono privi del (castrante) "salvagente" di uno staff di pr. Della stessa categoria, le dichiarazioni spontanee di ottuagenari(e) dello spettacolo che oramai raccontano in serenità chi non sopportano, con quali colleghi sono finite a letto e quante e quali droghe abbiano assunto nella vita, non risparmiando aneddoti concreti sulla nascita, spesso bislacca e surreale, di diverse hit (vere, non di plastica). Insomma, per una intervista davvero interessante e personale, tocca aspettare il compimento degli 80 anni di un artista. Prima, questi si concederà sempre col contagocce. Perché i pezzi sono sempre forti, fortissimi, deflagranti. Ma sia mai che rilasciando qualche pensierino troppo personale, si perda una fetta di pubblico. Oggi se non fai almeno uno Stadio, si sa, non sei nessuno.
Se, parafrasando una tua notevole barra, Lazza, ci scordassimo di conoscerti, verresti a citofonarci in redazione. Ma pure alla redazione de Ilmiolabrador.it, te l'assicuriamo. Trovarsi a domandarsi "Perché nessuno parla di me?" è molto più doloroso, garantito, di sentirsi attanagliati dal "troppo" interesse mediatico. Lasciamo, per pietà, correre sul fatto che no, non sei comunque in cima agli interessi di ogni giornalista di spettacolo nostrano o aspirante tale. "I soldi non sono tutto", scrivi su Instagram. Infatti, è così. Per chi li ha. Un po' come quando Diletta Leotta diceva, sul palco di un Festivàl, che "la bellezza ti capita". Stesse vibes.
Se l'intervistato si rompe i maroni, possiamo assicurare che anche l'intervistatore non gode. Sempre le stesse domande, è vero, a fronte delle medesime canzoni da raccontare in toni iperbolici, altrimenti "l'accesso al vip" verrà impedito vita natural durante da lì in poi. Personalmente, chi sta scrivendo queste righe hic et nunc, ha smesso di fare interviste da un bel pezzo. Per sentirsi raccontare le solite quattro frottele da comunicato stampa - e che, infatti, sono anche nel comunicato stampa - non ne vale la pena. Se lo scopo è ottenere interviste migliori, cari artisti, cercate di rendervi più interessanti (e rinchiudete il vostro management in uno sgabuzzino per cinque minuti, sarà il nostro piccolo segreto). Invece della scuola Fedez, seguite quella di Ornella Vanoni. Sentitamente, ringraziamo.