Etimologicamente parlando, “coglione” deriva dal latino coleus, che significa scroto. Ma come tutte le parole che resistono nei secoli, ha cambiato pelle: da indicazione anatomica a diagnosi culturale. Il coglione non è un semplice stupido: è l’uomo che ha scelto, deliberatamente, di vivere nella superficie. È il professionista dell’idiozia inconsapevole. Per appoggiarsi alla recente lezione del professore e cantautore Roberto Vecchioni a In altre parole su La7: “Lo stronzo è momentaneo, la stronzaggine può passare. Il coglione invece è per sempre. Deriva dalla sacca del testicolo, che è solo un conteniutorire, quindi il tuo cervello è un contenitore senza niente dentro. Si dice perché, nell’atto sessuale, lui resta fuori. Quindi non gode. È l’unico che non entra nella donna. Per cui è un coglione”. E se oggi dovessimo dargli un volto - non come insulto, ma per studio sociologico – Vito Loiacono sarebbe perfetto.

Ex The Borderline, ex passeggero nella Lamborghini lanciata a tutta velocità che ha ucciso il piccolo Manuel, cinque anni. Non guidava, è vero. Matteo Di Pietro, l'amico che guidava la supercar secondo i periti a "120 chilometri orari", ha patteggiato (tra mille polemiche) la pena di 4 anni e 4 mesi senza carcere. Loiacono, invece, non è stato neanche indagato, non ha pendenze giudiziarie. Aveva solo una telecamera in mano - ma nel 2025, filmare è agire. È partecipare, amplificare, monetizzare. Dopo la tragedia, aveva detto di voler cambiare vita. Di voler “stare lontano da tutto questo”. Ma spoiler: è tornato. E come sempre accade, non è mai andato via. Oggi ha un nuovo canale, si chiama Game House, e ha cambiato solo sfondo. Non più Lamborghini, ma scatolette di cibo per gatti. Non più pericolo, ma penitenze che fanno schifo per generare views e commenti. Una delle ultime sfide? Mangiare bocconcini per felini dopo aver perso un gioco. Prima ancora, fingere un furto d’auto per scherzo. Tutto condiviso, tutto pensato per generare una cosa sola: attenzione.

Il punto però non è l’originalità, che manca. Non è neanche il cattivo gusto, che abbonda. È la parabola perfetta dell’eterno coglione digitale. Quello che non impara niente nemmeno dopo una tragedia. Che scambia il trauma per storytelling, la vergogna per contenuto, la ripartenza per hype. E intorno a lui, un piccolo ecosistema di influencer da discount pronti a tirargli uova addosso, o a sfidarlo a mangiare confezioni intere di ghiaccioli. È una triste versione italiana dei Jackass senza coraggio, senza ironia, senza autoconsapevolezza. Solo conati finti e risate da sottofondo. Nei commenti, qualcuno gli scrive: “Non guidare che l’ultima volta non è andata bene”. E lui risponde, come se fosse tutto un meme, come se nulla fosse successo davvero. Ma qui non si ride. Qui c’è solo la monumentale insipienza di un coglione che si crede furbo. Che ha confuso l’essere virale con l’essere vivo. Che si prende sul serio quando dovrebbe sparire, e ride mentre la realtà chiede silenzio. Vito Loiacono è un personaggio. E i personaggi, nel tempo dei social, non spariscono. Si riciclano in formati sempre più tristi, sempre più vuoti. È il destino del coglione moderno: non imparare, ma monetizzare. Anche se, ormai, non fa neanche più ridere.
