«A un anno e mezzo dall’invasione di Vladimir Putin a Kiev e dalle prime, isolate, denunce contro i Putinversteher, i sodali di Putin in Italia, le conferme della stampa internazionale inducono dunque a un passo in avanti. Serve ora capire perché, in Italia, l’opinione pubblica sia così antipatizzante per il presidente Volodymyr Zelensky e così prona alle bugie di Mosca». Sulle colonne dell’Huffpost Gianni Riotta torna a denunciare l’incubo della propaganda russa in Italia, citando due recenti inchieste di New York Times e Guardian. Morale della favola: l’Italia sarebbe la più «esposta» e anche la più predisposta, culturalmente, alla propaganda del Cremlino. Si parla addirittura di un «Dna antidemocratico e antioccidentale antico», che affonda le radici «nello Strapaese parafascista di Mino Maccari e Leo Longanesi, nel Pci parastalinista di Secchia, Cossutta e seguaci ancora attiva tra gli eredi di Rifondazione, nell’Msi di Almirante, nell’amore per Castro e Lula di grandi firme di piazza e di salotto». Ma è davvero così? Eppure c’è qualcosa che sfugge a questa narrazione…
Destra e sinistra a favore dell’invio di armi
Al di là di una serie di semplificazioni, per usare un eufemismo, sulla storia del nostro Paese - l’Msi non era affatto «anti-atlantista» nel suo complesso, anzi, si trattava di una corrente minoritaria - a leggere queste parole apocalittiche sembra quasi che l’Italia non sia un Paese membro della Nato, con basi militari americane (e bombe nucleari Usa) sul proprio territorio, ma un Oblast’ della Federazione Russa. Invece destra e sinistra in Parlamento hanno votato a favore delle sanzioni contro Mosca, hanno (giustamente) condannato l’invasione russa del’Ucraina e hanno seguito pedissequamente la linea dell’amministrazione Biden votando a favore dell’invio di armi a Kiev senza uno straccio di dibattito parlamentare degno di tale nome. Sull’energia, hanno seguito filo e per segno la linea atlantista, rinunciando a gas e petrolio a basso e costo. Proprio perché non siamo in Russia, giustamente qualcuno ha semplicemente sollevato delle obiezioni circa una strategia che obiettivamente non si sta rivelando vincente, almeno per ciò che riguarda le armi. Ma basta esprimere dei dubbi e discutere di questo nel libero occidente per essere etichettati come dei “putiniani” e propagandisti di Mosca. Premesso che tutte le potenze - Russia compresa - esercitano il loro soft power e fanno propaganda all'estero, siamo davvero sicuri che la “propaganda” sia solo quella di una parte?
“Putiniani ovunque”. Cosa non torna
Dalla narrazione del giornalista, sembrerebbe che giornali, tv e radio siano invasi da sodali di Vladimir Putin. Tra le fonti menzionate da Riotta si cita il solito professor Alessandro Orsini il quale, tuttavia, per le sue affermazioni in tv sulla guerra in Ucraina, a torto o ragione, ha visto comunque cancellarsi l’accordo di collaborazione con Eni per la realizzazione dell’Osservatorio sulla sicurezza internazionale, da lui stesso fondato (benché sia rimasto professore associato nel dipartimento di Scienze politiche, e ci mancherebbe che non fosse così). Per il contestato professore, la Rai, su pressioni di politica e giornaloni, aveva inoltre stoppato il contratto con il programma “Cartabianca”, che almeno nella fase iniziale prevedeva un compenso. “Giusto così” dirà qualcuno: benissimo, ma allora dov’è la congiura filo-putiniana? Sì dirà che il professore continua a parlare in tv, ora a Mediaset: non si vorrà mica zittirlo del tutto come si è fatto con il giornalista Marc Innaro, per anni corrispondente e responsabile dell'Ufficio di Mosca per i servizi giornalistici radiofonici e televisivi della Rai, fatto gentilmente traslocare in Egitto per le sue posizioni scomode sulla guerra? Vogliamo poi ricordare che in questo Paese il quotidiano più letto e venduto, il Corriere della Sera, ha sbattuto in prima pagina, con tanto di foto segnaletiche, dei presunti “putiniani” colpevoli - si fa per dire - di aver criticato la strategia occidentale in Ucraina? Cioè di aver espresso delle opinioni? Il Corriere parlò di un’inchiesta del Copasir che avrebbe ricevuto materiale dai servizi segreti su presunti putiniani: peccato che il giorno successivo il tutto venne smentito dall’allora presidente del Copasir, il quale disse di non essere in possesso di quell’elenco e di aver ricevuto un rapporto soltanto il giorno dopo l’uscita dell’articolo. Insomma, un vero pasticcio. Non sembra che questi filo-russi vengano trattati con i guanti, no?
La lezione della “geopolitica"
Ma tornando a Marc Innaro, quale fu la sua colpa? Aver detto un’ovvietà su - una delle cause - dell’attuale conflitto, cioè che “dopo il crollo dell’Unione Sovietica chi si è allargato non è stata la Russia. È stata la Nato". Ovvero ciò che studiosi a livello internazionale - da John J. Mearsheimer al docente di Harvard Stephen Walt dicono da anni. Ma si potrebbe citare anche George Kennan, illustre padrino della politica di contenimento americana durante la guerra fredda, che in editoriale pubblicato sul New York Times del maggio 1998 avvertì: “Penso che sia l’inizio di una nuova Guerra fredda”, spiegò Kennan. “Penso che i russi reagiranno gradualmente in modo piuttosto negativo e ciò influenzerà le loro politiche. Penso che sia un tragico errore. Non c’era alcun motivo per questo. Nessuno stava minacciando nessun altro”. E se nemmeno Kennan va bene allora, per chiudere la questione, basta citare le parole del presidente Usa Joe Biden, al tempo senatore. “Annettere alla Nato gli Stati Baltici sarebbe l’unica mossa che rischierebbe di provocare una riposta vigorosa e ostile da parte della Russia e spostare gli equilibri tra Russia e Usa” disse Biden il 20 giugno 1997 durante una riunione del Consiglio Atlantico. Putiniani anche loro?
Gli errori dell’occidente hanno favorito Mosca
Premesso che la contrapposizione tra “americanismo" e “antiamericanismo” ha costituito un elemento ricorrente nel dibattito politico dell’Italia della Prima Repubblica, così come nella Seconda Repubblica, vent’anni fa la simpatia degli italiani verso gli Stati Uniti era ai massimi livello. Nel 2004, un sondaggio Eurisko-LaPolis per Limes sull'immagine degli Usa nell'opinione pubblica italiana rivelava una consistente simpatia per il popolo americano: negli ultimi vent’anni non è venuta a mancare la “simpatia” verso il popolo americano per colpa della propaganda russa, quanto la sfiducia verso la disastrosa politica estera statunitense e le (dis)avventure militari in Iraq, Afghanistan supportate da internazionalisti liberali e neocon. Il disastroso intervento militare in Libia del 2011, voluto in maniera particolare da Francia (Sarkozy), Stati Uniti (Hillary Clinton/Obama) e dal Regno Unito, che ha portato alla rimozione di Gheddafi (nostro alleato) e alla destabilizzazione dell’intera regione, con le conseguenze drammatiche sul fronte dell’immigrazione che subiamo ancora oggi, a 12 anni di distanza, hanno fatto crollare il sentimento di fiducia degli italiani verso la politica estera del cosiddetto “occidente” a guida statunitense. Fiducia crollata anche per via delle bugie di Colin Powell sull’Iraq nel 2003, che hanno fortemente minato l’autorevolezza degli Stati Uniti all’estero. Così come l’appoggio dell’amministrazione Obama/Clinton alle Primavere Arabe, che si sono rivelate un fragoroso fallimento, di cui non è rimasto sostanzialmente nulla. È stata questa politica estera aggressiva e interventista a fomentare il caos e a delegittimare gli Stati Uniti quale superpotenza in grado di fare da garante sull’ordine mondiale. Se altre propagande hanno preso piede, la colpa è solo dei “falchi” che hanno promesso di esportare diritti e democrazia con le bombe. Sarà un caso, ma gli stessi “esperti” favorevoli alle guerre in Afghanistan, Iraq, Libia, sono gli stessi intoccabili che continuano a raccontarci che occorre “fidarsi” degli Stati Uniti e della loro strategia in Ucraina. Forse, dopo 20 anni di disastri, migliaia di morti e sfollati, qualcuno comincia a dubitare, no?