Poteva evitarsi il libro di poesie, dicono i detrattori. E se non lo dicono, lo pensano. In generale, perché sei Giorgia Soleri e hai le tette. Perché sei stata la fidanzatina dello strafigo del momento, Damiano dei Maneskin. Perché hai scelto la via larga dell’influencer. Che poi davvero non faccio che riflettere sul sostantivo usato, influencer. O meglio sull’aggettivazione. L’influencer deve ispirare qualcosa. Ma non è vero. Cosa, chi, può influenzare una giovanetta come la Soleri? Abbiamo bisogno di ispirazioni eccelse, pensieri nobili, slanci del cuore. Certe delicatezze eroiche che muovevano i personaggi di Edmondo De Amicis. Ad ogni modo, torno alle poesie della Soleri. Ho davanti i versi dedicati presumo ad un amplesso con l’impegnativo Damiano, stando ad alcuni indizi, pare se la cavi benissimo.
E se in nuce ci fosse una sensibilità, un talento? È molto facile in fondo indicare il tentativo della Soleri con un tantino di sospetto. Se siamo onesti, esprimiamo discrezione e sospetto e il suo libricino non lo compreremo mai; tuttavia riesce molto più confacente al senso di rabbia comune berciare, avete letto bene “rabbia comune”, giacché non c’è un pensiero, un’opinione, coltivata alla stregua di uno schema rodato. L’opinione diventa sbrigativamente rabbia, l’indotto è il paesaggio fortunato che restituisce la Soleri, come qualsiasi altra starletta o chiamatela come vi pare. Cerco di non dare un giudizio sulla Soleri, affrettato e abilmente ruffiano per consolare le varie signorine Rottermeier affacciate alla finestra.
Su Instagram, Giulia Soleri ha 793 mila follower. Potrebbe fondare una setta. Non sono questi grandi numeri, signori, se pensiamo ad altri colleghi. Lo so, è una follia ragionare per algoritmi e follower. Indotto diabolico, allatta aborti, nuovi soggetti umani, specie di ultracorpi scossi dal tremore dell’invidia. È l’unico rammarico, non certo quello ingenerato dai componimenti poetici destinati a un amore. Crediamoci perlomeno. Crediamo all’amore. Non gettiamo tutto, l’acqua sporca e il bambino. Ma è il rischio, sappiatelo. Edificazione di sentimenti deteriori e modificabili, pendenti da una riva soltanto, spesso la maldicenza. L’inno della maldicenza oggi ci infila gli occhi, ci acceca. Il male assoluto è qualsiasi esposizione pubblica. Necessita di due estremità. L’estetica da una parte e la diatonica opposizione dall’altra. Una contesa al ribasso del senso del bene e del male, acconciato alla spicciolata. Insomma un po’ tutto ciò che nella deformità di una presunzione umana e nutrita dalla forca di pulsioni vergognose (l’invidia ad esempio, giammai confessabile, sfido chiunque a farlo) si intenda per bene e male, giusto o sbagliato. Niente di che e soprattutto niente di attendibile o che attenda sul serio ai dissidi che ognuno porta in seno, un indizio di vocazione alla nostra ragione misterica, ai maestosi interrogativi teoretici, esistenziali. Vabbé, ma che ci importa. La Soleri non offende il buongusto pubblicando un libro di poesie con un tal virgolettato: “Mi hanno detto che sono la nuova Alda Merini”.
Un paragone esaltante, che va bene per tutte le stagioni. Chi sono io per dubitarne? Gli influencer sono una categoria sociale, inquietante soltanto perché non si sa in quale troncone collocarli. Un piano sfuggente e cedevole, inattingibile non per profondità, ma per svuotamento. Lo svuotamento di senso è una pratica utile a modellare soggetti su cui possa funzionare meglio il detonatore sociale, la rabbia. Rabbia tonta, che non concima, consuma epiteti e giorni. Giorni effimeri, appunto, come un algoritmo.