Il New York Times, con non si sa quale forma di affettazione, ha già stroncato il documentario su Tom Wolfe, Radical Wolfe (esce oggi, sabato 15 settembre, negli Stati Uniti), perché, in sintesi, si basa solo su interviste e non riesce a rendere lo stile dello scrittore che, negli anni '60/'70, ha rivoluzionato il mondo del giornalismo. Nel frattempo i fan raccoglierebbero da terra anche i bottoni del suo panciotto. Con altrettanta affettazione da “aperitif” in terrazza parecchi nostri soloni e solone si incartano in ragionamenti che vorrebbero essere tranchant (mentre nella luce del tramonto si sente vibrare l’energia della stizza) rivolti a dimostrare che sì, che però, che d’accordo, ma il new journalism è stato un attimo, un frusciare di ali, hai presente questa tartina? Gnam. Colpa in parte di Tom Wolfe, che nella sua antologia (intitolata, appunto, “New Journalism”, pubblicata nel 1973 da Harper & Row) inserì qualcuno che probabilmente non ce la faceva e che sarebbe stato in migliore compagnia coi nostri in terrazza, “dentro” la faccenda, cioè dire, e non “fuori”. Tenendo per buono solo Tom Wolfe, invece, possiamo passare ad Hunter S. Thompson, a David Foster Wallace, e infine all’outsider Dave Eggers, e siamo dritti ai giorni nostri, anche tralasciando il resto che può essere considerato “boutade” quando non “boutanade”. Il new journalims è finito, confermano i giornalisti, mentre quello guarda loro le scarpe. Da noi si salva solo Roberto D’Agostino.
Le regole sono sempre quelle, ma con le variazioni sul tema. Uno: costruire la storia per scene successive, ricorrendo il meno possibile alla voce del cronista. (Poi Hunter S. Thompson salta nelle pozzanghere della storia a piedi uniti: gli eccessi – droghe, alcol – sono la sua maniera di caricaturizzare e la realtà si mostra a una mente eccitata; quindi David Foster Wallace ti racconta i processi mentali, in terrazza le chiamano “divagazioni”, convinti come sono che un pezzo buono ha “un solo tema”, ma quello si chiama “grugno” o “barrito”, o cacciarsi le mosche, non “stile”). Due: registrare tutti i dettagli, anche quelli apparentemente insignificanti, i gesti, le abitudini, i modi, tutto ciò che può simbolicamente rappresentare i personaggi. (Si aggiustano la gonna, piccoli scatti mentre si adocchia il buffet, dietro l’allure d’intelletto brontola il pasto gratis, saliva agli angoli della bocca, le discussioni si fanno frettolose, i periodi si chiudono a coda di topo). Tre: utilizzare dialoghi e conversazioni piuttosto che dati o cronaca pura per coinvolgere maggiormente il lettore. (La presa diretta: pensatela come un mossa di lotta greco-romana. Li prendi e li scuoti. O come la raccolta delle olive). Quattro: presentare ogni scena dal punto di vista interiore di un personaggio, così da dare al lettore l’impressione di vivere la situazione realmente. Hanno un brivido. Il new journalism è finito, ma forse oggi infileranno una frase che sa tanto di monelleria. Le dita sulla tastiera come su un grilletto. Una copula breve e intensa. Isteria si può ancora dire?
- David Foster Wallce che brutta fine.
- Sì, Hunter S. Thompson… maddai! Tu lo inviteresti?
- Dave Eggers? Mi sembra bollito.
Quest’ultimo ha ribaltato l’insegnamento di Tom Wolfe. Il caro Maestro diceva: la letteratura è finita, è tempo di giornalismo. Eggers scrive romanzi come diamanti di giornalismo. In fondo si tratta di letteratura. Il giornalismo non è mai esistito.
Come loro.
- Loro chi?