Siena è sì una città, ma è anche un grande paese dove gira e rigira ci si conosce tutti. Come tutti conoscevano Francesco Giusti, che a distanza di poco tempo dalla morte di David Rossi rottamò la sua auto dandone annuncio su Facebook. Tutti sapevano bene chi fosse Giuseppe Mussari, l’uomo più in vista della città, nonché presidente del Monte dei Paschi, e tutti sapevano delle ombre che si muovevano tra i conti correnti aperti presso l’antica banca, quell’istituto che stava fallendo, alle prese con operazioni finanziarie sciagurate per coprire le perdite dovute a scelte poco oculate nella sua gestione. Quella banca che era il centro di potere della città, ed evidentemente lo è ancora ma sotto la bandiera di un’altra contrada. Sono passati 12 anni da quel 6 marzo 2013 e finalmente, dopo due archiviazioni per suicidio, si utilizza ora la parola “omicidio”. La nuova Commissione d’inchiesta sulla morte dell’uomo che nel periodo più difficile per Mps doveva difenderne l’immagine ha incaricato diversi periti che hanno stilato più relazioni che parlano chiaro. Qualcuno tratteneva David per il polso mentre lui era sospeso a 14 metri d’altezza, fuori dal balcone del suo ufficio. Da otto anni, la figlia della moglie di David, Carolina Orlandi, classe 1992, vive a Roma e convive con i ricordi di quell’epoca torbida, passata a stretto contatto con Rossi. Testimone delle sue ultime angosce e di quella sensazione di pericolo costante manifestatele da David, vivere a Siena dopo tutto questo non era più possibile. Carolina si è detta felice dell’esito dell’attuale Commissione d’inchiesta, ma al tempo stesso amareggiata, perché lei e la sua famiglia da più di dieci che sostengono questa tesi, e nessuno le ha mai ascoltate. Ancora oggi, infatti, c’è una parte della città ha tutto l’interesse a che la verità non venga a galla, come si può tristemente constatare dalla faziosità di certi articoli che regolarmente spuntano sulla Gazzetta di Siena. Oggi Carolina è giornalista, autrice e scrittrice e nel 2018 per Mondadori ha pubblicato un libro dedicato ai giorni precedenti alla morte di David, s’intitola “Se tu potessi vedermi ora”. L’abbiamo chiamata per farci raccontare un po’ quali siano le sue sensazioni sugli ultimi sviluppi della vicenda dopo tutto questo tempo e per fare un po’ di chiarezza rispetto a quanto potrebbe succedere adesso che la partita si gioca a carte scoperte.
Sono passati dodici anni dalla morte di David Rossi, però voi da sempre parlate del fatto che non sia stato un suicidio. Che effetto ti fa sapere che finalmente la verità potrebbe finalmente venire a galla?
Per noi è una tappa molto importante, ma è un momento che speravamo arrivasse molto prima perché tutta una serie di elementi erano evidenti già da tempo, quindi non ci volevano tredici anni per arrivare a questo punto. Però l’importante è che adesso ci siamo arrivati a mettere la parola giusta su questa vicenda, che è quella di omicidio.
Il passato, comunque, la storia è stata archiviata due volte come suicidio. Tu hai ancora fiducia nella giustizia?
Io ho fiducia nella giustizia, ma non ne ho più verso la macchina della giustizia, nell’istituzione che la rappresenta. Proprio perché crediamo nella giustizia andiamo avanti, perché cerchiamo questo. Ci aspettiamo adesso una procura coraggiosa che si faccia avanti e stiamo valutando dove riaprire il caso. Farlo a Siena sarebbe assurdo, secondo me, perché comunque hanno già fatto abbastanza danni, per quanto ci riguarda. Hanno fatto errori evidenti, cui tra l’altro nessuno ha ancora risposto. Non sono state fatte cose che hanno precluso poi l’andamento delle indagini e hanno fatto errori palesi, riconosciuti, che però non hanno avuto nessuna conseguenza nel loro operato, se non quella di distruggere la possibilità che certe tracce, certe evidenze si potessero riscontrare più avanti.
La procura di Genova aprì un fascicolo a proposito di quella di Siena, in seguito al noto servizio delle Iene sui festini dei magistrati
Non se ne è fatto niente. Anche in quel caso, in seguito delle dichiarazioni di un colonnello che venne audito in commissione d’inchiesta, il colonnello Aglieco era presente nei minuti successivi alla morte di David nell’ufficio, e dichiarò di aver visto i magistrati delle indagini inquinare la scena del crimine. Aveva dichiarato di aver visto Marini e altre toghe senesi, rovesciare il cestino sulla scrivania, prendere in mano dispositivi elettronici, il tutto senza alcun tipo di precauzioni, inquinando quella che era a tutti gli effetti una scena del crimine, perché già da subito si parlava di istigazione al suicidio. Da quel punto la Procura di Genova ha aperto un fascicolo nei confronti dei magistrati di Siena che poi però si è concluso con un nulla di fatto.
Ancora adesso c’è qualcuno che ha interesse ad inquinare le indagini? Leggo sulla Gazzetta di Siena un articolo di maggio abbastanza inquietante “Commissione parlamentare su David Rossi, tra follia e nulla assoluto”, firmato redazione
Pensa che in questi giorni mi hanno segnalato che sulla Gazzetta di Siena l’unico articolo a proposito è un’intervista a una sedicente criminologa e il virgolettato del titolo è “La Procura di Siena aveva ragione, era un suicidio”. Questo ti dà la misura di quello che in alcune parti di Siena noi abbiamo dovuto subire e continuiamo a subire. Ci sono persone che hanno evidentemente interessi a coprire questa storia.
Credi che si stia riaprendo uno scontro interno alla società senese nonostante i vertici di Mps ormai siano cambiati?
Sicuramente Siena è un contesto particolare, una città in cui convergono molti poteri a livelli diversi, dove sono circolati in passato molti soldi e quindi anche situazioni potenzialmente esplosive. E questo è il risultato: la morte di David e il fatto che non siano state fatte indagini sulla sua morte. Rispetto a noi, sicuramente ci sono tante persone che ci sostengono, ma poi ci sono anche personaggi come lui – che non nomino pubblicamente – che remano contro. Io non vivo a Siena da otto anni per questo. Vivo a Roma perché è un posto inquietante, un contesto di paese in cui personaggi come lui hanno un’aura basata sulle opportunità che possono dare.
Nella nota di archiviazione per suicidio sono citate le tue parole sul fatto che David si tagliuzzasse sui polsi per scaricare la tensione. Lui com’era quotidianamente in casa? Nei giorni precedenti come è cambiato il suo stato d’animo?
Sì, sicuramente. Era un momento molto difficile per la città, per la banca, e lui doveva difendere l’immagine. Era molto stressante per David, ma a un certo punto dallo stress lavorativo si è passati al timore. Io ricordo che la sera prima cercò di trasmettermi che ci fosse un pericolo, non parlava in casa perché era convinto che ci fossero delle cimici. Avevamo subito una perquisizione il 19 o 21 febbraio, quindici giorni prima che morisse. Perquisizione fatta in un periodo in cui tutti i manager della banca erano sotto i riflettori. A noi sembrò quasi un check di routine. Invece David, da quel momento, iniziò a sospettare che ci fosse qualcosa che lo avrebbe colpito. Diceva che lo avrebbero incastrato per coprire altre persone, che la situazione era pericolosa. E poi arriviamo al 4 marzo, quando lui scrive le mail a Fabrizio Viola dicendo che voleva parlare con i magistrati per chiarire vari contesti. Due giorni dopo è morto.
Sempre in commissione d’inchiesta viene fuori che lì a Siena tutti i traffici di cui si parla siano legati al riciclaggio dei soldi della droga, delle armi, e infatti si cita spesso il discorso delle valigette di David. Tu di queste valigette le hai mai viste, o sai cosa potessero contenere?
Purtroppo non ricordo. Con mia madre ci siamo riconfrontate, cercando di scavare nella memoria, ma non abbiamo memoria di valigette. Magari è un termine usato per definire altro, una borsa, una tracolla… non lo so. Ma non ricordo oggetti del genere.
Hai seguito il recente caso di Mps e Banca Generali, che ne pensi?
Non nello specifico dal punto di vista economico-finanziario. Per ciò che riguardva la storia di David mi sono sempre tenuta sui fatti che riguardano la sua morte. Sul resto no. Per noi questa storia è già abbastanza gravosa. Abbiamo avvocati bravissimi, giornalisti fidati intorno, e lascio fare questa parte a loro.
Secondo te il ruolo di Francesco Giusti come si spiega?
Su questo non posso parlare. Non ci sono prove. Faranno le loro valutazioni, faranno bene a indagare dappertutto. Nello specifico non ho niente da dire. Lo conosco come si conosce una persona nella stessa città, di vista.
A proposito delle ultime perizie presentate in Commissione d’inchiesta, le ferite sul polso riconducono a una forte pressione dovuta al trattenimento del braccio di David prima di una perdita della presa e quindi al suo precipitare nel vuoto. Una cosa che non capisco è, ma se avessero voluto buttarlo dalla finestra, perché trattenerlo?
Può essere che siano andati lì per spaventarlo. C’è stata sicuramente una collutazione in cui David ha perso la lucidità. Può essere che l’abbiano messo fuori dal balcone per spaventarlo e poi è andata così.
Però i periti dicono che è fisicamente impossibile trattenere una persona fuori così per un braccio. Chi ha scelto questa modalità per intimidirlo evidentemente non era un professionista
Se fossero stati professionisti, non avrebbero fatto anche tutta una serie di errori così palesi. Per anni ho pensato fossero professionisti e poi via via che arrivano elementi cambio idea, cambio ipotesi. Ci sono tanti buchi e noi le risposte le cerchiamo.
Tu, non occupandoti direttamente dal punto di vista giornalistico della storia, come la stai vivendo?
Le carte all’inizio le ho dovute studiare perché abbiamo fatto richiesta di riapertura. Ho studiato tutto quando avevo vent’anni. Adesso, quando posso delegare, delego. Mi sono resa conto del peso che ha su di me. Ora leggo a fondo le conclusioni della commissione, ma sui dettagli lascio fare all’avvocato.