l’eccezionalità di una storia di successo della regina delle nevi italiana…
La buriana mediatica Sofia Goggia l’ha passata lo scorso aprile, innescando la valanga sul pessimo rapporto tra lo sport d’élite (e gli atleti più in vista) e l’omosessualità che poi l’ha travolta. Erano le dichiarazioni sul viril coraggio di buttarsi dalla Streif e sull’uomo “che si trasforma in donna”: indignazione, scuse poco convincenti e commenti al vetriolo per un’uscita di pista rovinosa dal punto di vista comunicativo; il tutto, ovviamente, tralasciando la fogna social e rimanendo solo nel seminato di chi, da quelle parole malpensate, ha ricavato il pretesto per un dibattito serio. Ma le stupidaggini vanno fatte prima dei trent’anni, e allora è tutto co erente, perché i trenta Goggia li festeggia oggi e li ha anticipati ieri con un’intima intervista al Corriere della Sera – la stessa testata alla quale rivelò i pensieri di cui sopra sette mesi fa – senza uscire dal tracciato e chiusa con un post scriptum vagamente filosofico: “Vorrei provare a essere la persona che ancora non sono, garante dei miei valori. Vorrei regalarmi quell’enorme dose di coraggio che serve per essere integri fino in fondo. Forse riuscirei a essere la donna di cui avevo bisogno quando ero piccola”. Festeggia in Colorado, a Copper Mountain, e insomma c’è di peggio, anche se non è lì per diletto ma per allenarsi insieme alle compagne azzurre, fra le quali l’amica mai Federica Brignone e Marta Bassino. Si concederà un’uscita con Lindsey Vonn, dice, del resto ognuno ha i colleghi che si merita e il palmares che è capace di guadagnarsi e lei in questo ha pochi rivali, soprattutto dopo l’argento olimpico che, lo scorso febbraio, è andata a prendersi in una gara di discesa libera la cui costruzione ha rasentato i toni dell’epica toccando, dall’infortunio al rientro alla medaglia, tutte le tappe dell’arco narrativo delle fiabe. Un argento che infatti aveva fatto emozionare pure quel tifoso ottuagenario, piuttosto illustre e sufficientemente rappresentativo del tricolore che vive al Quirinale.
Ora, elencare vittorie, medaglie e coppe aggiunge poco alla descrizione di una fuoriclasse di caratura internazionale, una neotrentenne “from Bergamo with some pair of skis, a big rolling R and a strong will to leave a mark”, come si disegna su Instagram citando le sue origini, gli sci che l’hanno portata a vivere il sogno e la R moscia che la caratterizza così come il feroce agonismo e l’ambizione necessarie a chi vuole lasciare il segno. “La Sofia dei 20 anni – ha detto ancora nell’intervista di Flavio Vanetti per il Corriere – non avrebbe pensato di ottenere così tanto: ai Giochi ho un oro e un argento, ho vinto gare, medaglie mondiali, tre Coppe del Mondo di discesa; e in questo Paese sono qualcuno”. Essere qualcuno significa andare oltre l’ordinario, sacrificandolo anche: Goggia non misura sé stessa in quanto padrona di Belle, l’amatissimo suo pastore australiano o per i suoi amori, le sue passioni, i suoi pregiudizi o la parte di normalità della sua esistenza, ma per l’eccezionalità di una storia di successo, al punto che le inimicizie più o meno cordiali fanno parte della carriera, del personaggio e di una mitopoiesi che vive anche di antagonismi e polemiche: sono il sale che non scioglie la neve ma mantiene freddi alcuni rapporti, dopo tutto mica si può essere sempre in pace col mondo quando si è lassù, nello sport. Goggia lo sa, lo ammette, ci sguazza e poi, essendo una campionessa dello sport e non un maître à penser, a volte inforca, ma quello accadeva prima dei trent’anni, su. Dopo, e cioè d’ora in poi, ci sono altri risultati da ottenere, un distacco dallo sci che è solo questione di tempo ma sarà inevitabile e dovrà affrontare prima degli -anta, una laurea da prendere perché in famiglia manca solo lei (la madre è professoressa di lettere, il padre è ingegnere e il fratello – che ha anche lavorato in McLaren – pure) e chissà, magari una famiglia propria, come si evince sempre dall’intervista di cui sopra. Ma ha ancora tempo, e troppa ambizione, prima di diventare una vecchia gloria.