C'è stata una notte di tanti anni fa in cui una ragazza appena ventenne era certa di aver perso l'amore della sua vita di cui oggi non ricorda nemmeno il nome. Daniele? Danilo? Davide? L'onomastica di costui s'è persa nelle nebbie del tempo, ma il segno del tempo rimane e così questa ragazza qualcosa non lo scorderà mai per davvero: l'ultima notte felice del mondo che ha consacrato a lui, liberandosene per sempre da sola nella cucina dei suoi, saltando e cantando in quello che oggi si direbbe un lip sync perfetto 'Gli Spietati', Baustelle. In cuffia, ma volume da nucleo armato terroristico. Una catarsi domestica del tutto personale, con la voce di Rachele Bastreghi a manifestarle che 'vivere così senza pietà, senza chiedersi perché, come i sassi e i fili d'erba non avere identità' sarebbe anche possibile. Ma non appartiene a tutti: ci sono 'gli spietati che salgono sul treno e non ritornano mai più' (evivvaiddio). Loro però 'non sono come noi', noi che siamo 'falliti, antichi eroi'. Ora per chi c'era dai tempi de 'Il Sussidiario Illustrato della Giovinezza' (2000) o che è arrivato di lì a poco, non è pensabile né possibile riassumere 25 anni di Baustelle in un solo articolo, riuscendo a esserne anche solo lontanamente all'altezza. Loro, i Baustelle, lo hanno fatto con due date, prima al Forum di Roma, poi in quello di Milano, per un auf Wiedersehen che è stato monumentale, a partire dalla scaletta nerissima, immacolata. Non avrei mai immaginato nemmeno nei miei sogni più selvaggi di vedere un intero palazzetto pogare su 'Baudelaire', restare in religioso silenzio dal momento in cui Francesco Bianconi intona 'Un pezzetto bello tondo di cielo d'estate sta sopra di me', con la gigantrografia di Alfredino Rampi dietro di lui e davanti una folla devastata dal ricordo di qualcosa che, nella maggior parte dei crani, a occhio e croce neanche è stato vissuto direttattamente 'tra BR e Platinì'. Ma ci pensi ogni tanto alle Rane? Sì cazzo, tutti i giorni. E, dico ave maria che bimbo stupido piena di grazia, è meglio di scopare nella follia di questi anni. Vedere, cantare, pogare, piangere, venerare i Baustelle in un Forum strapieno è l'arte di lasciar andare, d'esser pugili impazziti contro il mondo e invece averlo adosso, di scrivere con lo spray sui muri che la catastrofe è inevitabile. Qui a raccontarvi una di quelle rarissime epifanie che inducono a credere, dopotutto, che tutte le altre giornate, quelle oscene e non pop, quelle senza Amanda Lear, né lato A né lato B, ne siano valse la pena. E l'effimera, magnifica sensazione d'aver vinto una guerra silenziosa.
Le scale dell'Università, della metro, di casa di Silvia, ogni canzone porta con sé una serie di flashback di vita concreta, lucidissima, sbronza assai o entrambe le cose. Si parte con 'I Provinciali' e 'morire la domenica, chiesa cattolica' in quella 'estetica anestetica provincia cronica' che per me assume i contorni della Brianza, per Silvia del varesotto, per tutti gli altri chissà. Comunque posti discretamente di merda dove siamo cresciuti fino ad arrivare qui, alla perfetta descrizione, in quattro parole, di ciò che ha contribuito a venire su insoddisfatti, misurando il vuoto a ogni passo anche quando eravamo troppo giovani per intuire davvero che cosa fosse 'sto vuoto. Poi 'Il Vangelo di Giovanni' arriva come una lunga carezza incazzata per 'l'idiozia di questi anni' che era tra noi nel 2017 quando uscì 'I Mistici dell'Occidente' e ancora di più oggi, tra meme e ginecologheattiviste nazifemministe che predicano quanto il cazzo sia sopravvalutato e, alla fine dei conti, inutile perché patriarcale. A maggior ragione sentire un intero Forum sgolarsi su 'La Canzone del Riformatorio' è una conquista irrazionalmente pop. 'Mi perdonerai, Virginia'.
Francesco Bianconi, intanto, è la ritrosia. Da sempre, piuttosto di stare su un palco preferirebbe essere beccato durante un furto all'Esselunga. E ha fatto di questa sua somma ritrosia un modo elegantissimo di calamitare tutta l'attenzione che non vuole. Niente maxischermi, i Baustelle visti dagli anelli del Forum sono gigantesche ombre che si stagliano sullo sfondo, presenze oscure, fantasmi verticali che cantano di benzedrina, MDMA, mazze da golf, erba, romantici a Milano con qualcosa da nascondere tra le tovaglie dei Navigli, ma se mi ami ora domani è lontano. Sarà reato, sarà peccato, Love Affair, where are you now? Echi di un passato oscenamente futuribile e che ora risorge a ricordarci che non è stato. Ma tornando al presente, sì, c'era anche Tananai, un altro figlio dei Baustelle.
E Bianconi è tale e preciso anche dopo il concerto, a ogni complimento si ritrare, si fa piccolo piccolo (non ci riesce, ndr), si schernisce pure con le mani come ad allontanre ogni superlativo ricevuto di fronte al quale vorrebbe soltanto scomparire in una nuvoletta di imbarazzo. Eppure ha messo in fila le parole più belle della musica italiana contemporanea in 25 anni di attività, un giorno o l'altro dovrà farsene una ragione. Quel giorno non arriverà mai. Forse è proprio il distacco a rendere così eterna 'La Moda del Lento' che infatti non è 'di moda' mai. Però resta nel tempo come 'L'Amore e la Violenza', disco su cui andrebbero scritte almeno un paio di encicliche pagane. E ancora non si riuscirebbe a spiegarne definitivamente l'impatto, la potenza, la supremazia, 'Amen'. 'I wanna be Amanda Lear' mentre 'ti hanno vista mi dicono vomitare gli occhi e l'anima a un concerto rock abbracciata ad una testa di cazzo". E io mi incastro, mi inceppo, stanno dicendo tutto loro, sono crocifissa, arresa e felice.
Insomma qui siamo di fronte a un errore del Matrix. A una band del senese composta principalmente da tre persone, Francesco, Rachele e Claudio. 25 anni fa hanno cominciato a scrivere la storia della musica nostrana restandone sempre elegamente defilatissimi. Eretici dell'algoritmo social, menefreghisti degli stream, suonano e cantano parole catastrofiche così irreali da fare il giro e diventare quotidiane evidenze pratiche, inni (s)consacrati nel tempo che all'inizio arrivavano soltanto a qualche misera decina di senza dio che credevano nella decadenza, nel mero dato di fatto che non andasse sempre tutto bene e i trionfi di plastica se li godessero pure gli altri. I Baustelle sono un'utopia, la cometa di Halley, qualche cosa che succede rare volte al secolo. Se fossero stati soltanto poser seguiti da chi aveva voglia di sentirsi più intelligente rispetto alla beota massa del mainstream, sarebbero evaporati nel giro di due o tre brani, qualche disco al massimo, fagocitati dagli egomostri ombelicali che sarebbero necessariamente diventati. Questa storia, invece, è diversa. Perché è sincera.
Ora che si prendono una pausa, 'magari non di 25 anni eh', dice Bianconi dal palco, ora che si inventano 'un gran finale' piange Roma e pure Milano. 'Nonostante le bombe alla televisione, malgrado le mine, la penna sputò parole nere di vita: la guerra è finita, per sempre è finita, almeno per me'. Questi qui hanno debuttato su Mtv con una canzone che recitava l'ultimo scritto di una sedicenne suicida che 'prima di respirare il gas' diceva addio al fidanzato nazista, alle risse, alla madre che impazziva, al crack e al punk. C'era troppa vita in quel testo di morte annunciata, almeno tre validissime sceneggiature, tutto il disagio esistenziale prima che fosse mainstream (stra)parlarne e normalizzarlo, renderlo instagrammabile e aumentare l'engagement, sognando faraoniche #adv. E c'è tuttora in ogni brano che danno in pasto a un Forum mai visto così cannibale e affamato.
C'è una connessione intima tra i Baustelle e il loro pubblico che rimarrà per sempre perché Francesco Bianconi, Rachele Bastreghi e Claudio Brasini non hanno mai tradito, né rifilato sòle sornione. Avrebbero potuto, ma non gliene è fregato un cazzo di farlo. Ed è soltanto una delle infinite ragioni per cui Charlie non smetterà mai di fare surf strafatto di MDMA, pur con le mani inchiodate e minacciato dalle mazze da golf continuerà a suonare la sua chitarra elettrica e a spaccarvi il culo mentre vorrebbe morire a quest'età. E al Festivalbar. Un'immagine Monumentale come il più storico cimitero di Milano e come l'arte di lasciare andare 25 anni di splendidi, mai rassicuranti fiori del male. "Io non ho più voglia di ascoltare questa musica leggera" motto di vita e testamento spirituale ai posteri. Un concetto, un concerto sacro, i Baustelle oggi sono un fatto personale per almeno due palazzetti di 'falliti, antichi eroi' con le mani sui cuori (s)consacrati. Meglio di scopare, vi assicuro, siamo venuti tutti.