Abbiamo davvero bisogno di altre canzoni d’amore? Forse ci bastano quelle sulla rottura. Nel mondo reale, per qualsiasi donna single che ha superato i trenta, le relazioni non sono più fatte di promesse solenni e dichiarazioni struggenti, ma di parole nuove come ghosting, di screenshot compromettenti, di frequentazioni a intermittenza, situazioni complicate e, il più delle volte, finali tristi e silenziosi. Le canzoni d’amore sono diventate un genere nostalgico: al posto del “ti amo” ora c’è un più realistico “ciao, è stato bello… forse”. Ed è proprio per questo che non ci servono più: non ci rappresentano, non parlano la nostra lingua emotiva. Quelle di rottura invece sì, fin troppo.
Quando canzoni come Quello che non c’è degli Afterhours ti risuonano più vere di Ovunque sarai di Irama, vuol dire che anche tu fai parte del club di chi pensa: mi basto e mi avanzo. Che poi, diciamolo: io sono sinceramente terrorizzata dall’idea che un’adolescente possa immedesimarsi in frasi come: “cado ma in fondo me lo merito.” Me lo merito? Cosa ti meriti, esattamente? Anni di psicanalisi? Una dipendenza affettiva in omaggio?
La cosa che stupisce ancora di più è un’altra, perché Irama canta queste frasi con un pathos gigantesco, come se fossero verità universali, quando la realtà è molto più semplice e molto meno epica:
Nessuno è indispensabile.
Non tu.
Non io.
Non l’amore che descrivi come se fosse scolpito nel marmo.
E poi sentirsi cantare “sarà per sempre”… ormai sfiora il comico: la mia lavatrice dura più della mia ultima relazione, e vi giuro che al “per sempre” avevo creduto di nuovo. Non è cinismo, non è cattiveria: è mera statistica emotiva.
La rottura è il momento più sincero della relazione. È lì che non fingiamo più, non siamo gentili per dovere. Le canzoni che ne parlano non ci chiedono di essere migliori o più forti e ci permettono di essere semplicemente umani, con i nostri rancori, le nostre ferite, i nostri disordini interiori e perfino le nostre piccole vendette, anche solo per la durata di una strofa.
Forse è per questo che oggi funzionano così tanto: raccontano una verità senza trucco. Non ci chiedono di sperare, solo di riconoscerci. In un mondo in cui l’amore è fluido, incerto e spesso indefinito, la rottura – o il non-inizio – è paradossalmente l’unica parte solida, l’unico punto fermo del racconto sentimentale contemporaneo.
E allora io, da brava disillusa sentimentale, mi sono presa la briga di buttare giù una lista di canzoni per tutte le persone come me che non hanno più bisogno di dichiarazioni d’amore, ma di un sano, onesto e sacrosanto realismo emotivo. Sono canzoni che ti faranno male nell’immediato, meglio nel medio e benissimo nel lungo periodo.
Da ascoltare con moderazione, oppure – come faccio io – con zero moderazione. Non giudico quasi mai anzi giudico solo chi mette il volume troppo basso.
Playlist per cuori lucidi
Gesù Cristo sono io – Levante
Buon appetito – Dente
Ciao – Vasco
Volo così – Paola Turci
Portati via – Mina
Cose che cambiano tutto – Diego Mancino
Non è per sempre – Afterhours
Adesso sono qui – Ghemon
Creudelia – Marracash
Ottima scusa – Willie il Peyote
Colpo di pistola – Subsonica
Destri – Gazzelle
Prendila Così – Lucio Battisti
Blunotte – Carmen Consoli
Rimmel – Francesco De Gregori
Farewell – Francesco Guccini
E se dopo averle ascoltate stai ancora in piedi, congratulazioni: sei più forte di quanto credi. O forse semplicemente vivi in un mondo sentimentale nuovo, dove non servono più promesse eterne per sentirsi veri. Le promesse solo a se stessi e per questo consiglio di ascoltarne ancora una:
Prometto – Eva Mon Amour