È difficile scrivere dei Baustelle perché ne sono, orgogliosamente, cultrice. Fin dal primo disco, 'Il Sussidiario Illustrato della Giovinezza', uscito nel 2000 (e che avrei recuperato qualche anno più tardi, per ragioni d'anagrafe). Mi hanno ipnotizzata, da ragazzina, con 'La Guerra è finita': il videoclip passava spesso su Mtv. Il brano parlava di questa ragazza emotivamente instabile, viziata e insensibile che era mia amica, era una stronza, aveva 16 anni appena. Praticamente la mia età di allora. Ma li "aveva". Furti all'Esselunga, il crack, si era pure messa insieme ad un nazista conosciuto in una rissa. Per poi dire addio a tutto e tutti respirando il gas e lasciando un biglietto inutile scritto con una bic profumata da attrice bruciata, "Vivere non è possibile, la guerra è finita, per sempre è finita, almeno per me". Che figa. Cioè io vivevo in Brianza, non avevo mai sentito nominare neanche la metà di tutte quelle cose, pur essendo un testo in memoria, mi suonava così vitale, avventuroso, inesorabilmente irrequieto. Sono corsa da mio padre, la persona più seria del mondo, uno che ascolta solo canti gregoriani e che va a messa ogni domenica ma che in culla m'addormentava con 'La Canzone di Marinella'. Volevo fargli sentire 'La Guerra è Finita'. Gli ho chiesto: "Non pensi che oggi De Andrè canterebbe così?". Mi ha mandato al diavolo solo per averlo pensato. Eppure, lo penso tuttora. Sì, ma perché vi sto raccontando i cazzi miei? Perché credo che i Baustelle siano la band più influente che abbiamo in Italia e che sia grazie a loro se la musica che ci gira intorno oggi non sia, non completamente, una fogna sonora a cielo aperto. Non saremo mai abbastanza grati a Francesco Bianconi, Rachele Bastreghi e Claudio Brasini. Anzi, non lo siamo mai stati. E forse è tempo di riconoscere loro i meriti che, a occhio, così schivi e riservati, li imbarazzerebbero. Allora, ci dovranno perdonare. Perché questo pezzo vuole essere un grazie gigante, sfacciato, oscenamente pop. Qui racconto perché, per un motivo o per l'altro, siamo tutti figli dei Baustelle.
Lucio Corsi rappresenterà l'Italia all'Eurovision, dopo il secondo posto al Festival di Sanremo e la sua canzone 'Volevo Essere un Duro' è virale su TikTok, spesso male interpretata ma chissenefrega. Prima della kermesse, Lucio Corsi era conosciuto da una, pur affezionatissima, nicchia. Ora è di tutti. Praticamente, un miracolo. Prima, molto prima di essere 'di tutti', Lucio Corsi era un ragazzino delle campagne toscane che scriveva canzoni sugli animali della fattoria in cui era cresciuto in quel di Vetulonia, un posto dall'onomastica fantascientifica: io così ci chiamerei un pianeta, invece è una frazione di Castiglione della Pescaia (Grosseto), pensa te. Lucio Corsi comincia a pubblicare le sue poesie e Francesco Bianconi, appena le sente, lo contatta, diventano amici, collaborano in tempi e da tempi insospettabili. Oggi Lucio Corsi lo starà chiamando pure Fedez per proporgli un tormentone estivo dei suoi, ma capite bene che questa è una storia diversa. A un certo punto, finiscono a sfilare insieme per Gucci, così, per fare una cosa matta. Tutti tempestati di fiori, un'esperienza che non avrà un bis. Sarà stato il 2017, un anno del genere.
Parlando di influenze, ce ne sono anche dove, forse, meno ve le aspettereste. Tananai, presentando il suo secondo disco dal titolo 'Calmo Cobra', tra gli album più fortunati e amati dell'anno, ha citato i Baustelle tra le principali fonti di ispirazione. E le atmosfere di un brano come 'Punk Love Storia' lo dimostrano eccome. 'Guarda cosa hai fatto' sembra un omaggio dichiarato a Bianconi sia per il suono che per il modo di cantare, solo che se l'avesse scritta lui, Bianconi, il protagonista della canzone alla fine si sarebbe almeno almeno sparato in bocca. Qui, invece, sempre disperato, si innamora. E menomale, dai. Si sente quanto Tananai abbia ascoltato moltissimo i Baustelle ed è inevitabile pensare che, forse, oggi scriverebbe diversamente se non lo avesse fatto, se loro non fossero esistiti. Li ha voluti ospiti anche sul palco del Forum per cantare insieme 'Charlie fa Surf', una scelta sicuramente fuori da ogni sterile logica di hype, una scelta che esprime 'solo' riconoscenza. Li chiama sul palco definendoli 'leggende', immaginiamo lo sbigottimento delle circa ventenni lì presenti per sgolarsi su 'Booster'.
A livello di testi, i Baustelle hanno ripreso robe che esistevano già, da Battiato ai Pulp. Ma lo hanno fatto in una chiave personalissima, originale, ridonando vita a un genere che stava andando a sparire. Dimostrando, invece, che si potesse ancora fare. E che al pubblico piacesse pure. I temi delle canzoni sono sempre stati pressoché disperanti, dal suicidio all'apocalisse, passando per le dipendenze, la depressione, gli amori tossici in tutti i sensi. Il tutto in un periodo in cui non fregava assolutamente a un'anima di sentir parlare, figuriamoci cantare, di queste cose, non erano 'di moda', i social esistevano a stento (forse, per fortuna). Canzoni tristi su basi super catchy, 'oscenamente pop', impossibili da levarsi dalla testa. Da 'Charlie fa Surf' a 'Ciao Ciao' de La Rappresentante di Lista il passo è brevissimo. Fino all'attuale 'Cuoricini' dei Coma Cose, un blando succedaneo se pensiamo all'originale ma sempre dello stesso genere stiamo parlando. Non a caso, per il loro secondo Sanremo, i Coma Cose nella serata dei duetti vollero proprio i Baustelle per cantare insieme 'Sarà Perché Ti Amo' dei Ricchi e Poveri. Sotto benzodiazepine, comunque un'esperienza.
Tra l'altro, i Baustelle sono stati i primi a inserire nei testi nomi di psicofarmaci e antidepressivi, non una volta ogni tanto ma come cifra stilistica di una poetica in bilico tra 'L'Amore e l'Amore e la Violenza' (forse, il loro miglior disco in assoluto, ma scegliere è complicatissimo). Hanno anticipato tanto, senza prendersi meriti se non l'affetto dei fan che, da sempre, trovano la loro opera 'Monumentale', almeno quanto il prestigioso cimitero milanese a cui hanno dedicato un brano di 'Fantasma'. Bianconi è anche autore di alcuni tra i testi più eleganti della musica nostrana, basti pensare a 'La Cometa di Halley' e a 'Bruci la Città', entrambi splendidamente interpretati da Irene Grandi. Muoia quello che è altro da noi due. Cantati da lui, dal vivo, sembrano altro, poesie commoventi, da ascoltare a occhi asciutti mai.
Ora i Baustelle hanno annunciato un nuovo disco e un tour dal claim piuttosto drastico: 'Io mi invento un gran finale' (verso di un altro gioiello, 'Piangi Roma', con Valeria Golino). Si scioglieranno? Per il momento, non è dato sapere. Se dovessero trovare di non avere molto altro da aggiungere, sarebbe comunque meglio così. Dischi dalla tracklist immacolata come 'Amen' e 'La Malavita' , solo per citarne due, non meritano successori poco ispirati, svilenti o svogliati. Intanto, di sicuro continuiamo e continueremo a sentirli nella musica che ci gira intorno, con l'affetto di sempre e la disperazione di mai. Ringraziarli abbastanza non è possibile, non sono all'altezza di farlo e me vergogno molto. Ma la guerra non è ancora finita perché siamo tutti figli dei Baustelle. Essere contro il mondo e invece averlo addosso.
