Dopo aver passato il testimone del Giornale - senza nemmeno una parola di addio - al camaleontico Tommaso Cerno, Alessandro Sallusti ora verrà messo alla prova dello share su Rete4 in sostituzione di Nicola Porro dal 22 dicembre in poi per il programma 10 Minuti. Da mesi si rincorrevano le voci per il cambio della guardia allo storico quotidiano un tempo in via Negri, oggi nella grigia Via dell’Aprica a Milano. E questo piccolo ruolo, questa messa alla prova dello share, suona quasi come un’umiliazione per un personaggio come Sallusti. Nessuna risposta, però è ancora emersa sul suo destino, ma è difficile prevedere la sua prossima mossa che, certo, ormai ha i suoi anni, ma data la sua biografia, sappiamo che non è uno che si accontenta facilmente e che ne ha incassate tantissime, di botte. Prima di restare folgorato da Vittorio Feltri sulla via di Damasco alla Sagra della salamella di Malnate e iniziare con lui l’avventura di Libero, inizia come “cronista abusivo allo sport”, come si scrive su il Foglio, presso il giornale della curia di Como, poi con Montanelli, poi al Messaggero di Roma alla cronaca. Ma nemmeno lì si trova a suo agio. Un comasco a Roma, è normale che possa sentirsi a disagio. Quindi torna al Corriere della Sera dove c’è Paolo Mieli, ma pure lì se ne va. Un uomo schivo, Sallusti, molto serio, scrupoloso, orgoglioso tanto da abbandonare prima di essere cacciato. L’incontro con Feltri è il principio di un rapporto professionale passionale e come tutte le cose passionali, violento, tossico. Feltri come mentore, Sallusti come allievo viene sadicamente messo alla prova dal maestro che non prova più la stima che aveva in principio verso di lui. La sua stessa guida arrivò anche a licenziarlo nel 2008 da direttore editoriale di Libero. A proposito, Feltri, disse di lui che era un ottimo giornalista, un “ottimo uomo macchina”. Non proprio un complimento, anzi, una di quelle sentenze che feriscono nel profondo e lasciano il segno nell’anima.
L’assenza di un editoriale nell’ultimo numero del Giornale è un vuoto il cui peso si somma di tutte queste delusioni che la vita gli hanno riservato a livello professionale. Si scontrò con Feltri, in mezzo ai mille altri casi, anche sul caso di Renato Farina, che collaborava con i servizi segreti a sua insaputa. Venne poi condannato ai domiciliari per diffamazione del giudice minorile Cocilovo, che aveva concesso l’aborto a una ragazzina di 13 anni il diritto all’aborto, e sul cui tema Sallusti, da irredimibile conservatore cattolico concesse la pubblicazione sotto pseudonimo, “Dreyfus”, di un commento che avrebbe suggerito la pena capitale per il giudice in questione. Ad oggi in molti hanno tentato di ipotizzare un suo ruolo in televisione, ma senza troppa convinzione, perché è un percorso in solitaria quello dell’anima di Sallusti, che nonostante abbia scelto di sposare il potere, nonostante sia diventato il biografo di Giorgia Meloni, dopo aver seguito fedelmente Berlusconi con l’apice della notizia ne “Il Sistema”, opera giornalistica da manuale, ad ogni modo riveste in tutto e per tutto il personaggio del guardiano solitario, sempre di parte, sì, ma solitario e solo nel suo personale calvario sulla strada chiodata della sconfitta, con la speranza che arriverà il momento della sua rivalsa su tutto e tutti. Travaglio lo definì “il cagnolino di Berlusconi” e Sallusti lo denunciò per diffamazione sentendosi rispondere dal giudice che Travaglio esprimeva la sua libertà di espressione e di satira criticando con sarcasmo la sua scarsa indipendenza di pensiero. Non una sconfitta, un’umiliazione. Lo scontro ultimo con Feltri, infine, deriva da un’intervista in cui il fondatore di Libero definisce Sallusti “un asino”. Insomma, non un particolare attestato di stima nei suoi confronti. A quel punto il disegno di Angelucci di far retrocedere Sallusti nella posizione tutt’ora ricoperta da Feltri, sarebbe stata uno smacco troppo grande da sopportare. Un colpo troppo basso, una vera e propria mancanza di rispetto dal suo punto di vista. Lui, la vecchia guardia del centro-destra, alfiere primo della battaglia sulla giustizia. E come se non bastasse, il povero Sallusti pure per la campagna referendaria è stato snobbato in quanto giudicato come troppo divisivo e incapace di parlare al di là dell’elettorato del centro-destra. Sallusti, insomma, veterano del giornalismo militante, di destra anche ai tempi difficili dell’opposizione, va detto, ad ogni modo ha combattuto le sue battaglie personali, spesso da eterno sconfitto, ma non si è mai piegato, e anche ora che l’età avanza mantiene la sua compostezza, il suo rigore, la sua distanza formale dal lettore, dai colleghi, dai subordinati, dal resto del mondo e cerca di rimanere in piedi. Incassa le botte da vecchio pugile e ora, nell’etere della televisione chissà quali altre sconfitte dovrà macinare, ma non si arrenderà nemmeno qui.
Ora che è davvero finita con quel mondo condiviso con la sua nemesi, Vittorio Feltri, chissà a quale destino andrà incontro. L’ultima volta che lo abbiamo incontrato di persona abbandonava il palco della Festa del Sole, dove aveva parlato - prima che lo facessero tutti i giornali - di Giorgia Meloni al Quirinale, spiegando che solo lei può cambiare quel Sistema da lui descritto nel libro steso con Palamara e che solo Berlusconi era riuscito in qualche modo a scalfire sdoganando il voto verso l’Msi di Gianfranco Fini, artefice del rebranding in chiave filo-israeliana di un partito che sino a quel momento era stato espressamente anti-semita. Dopo l’intervento lo avevamo raggiunto proprio per domandargli del passaggio di testimoni in Via dell’Aprica. “Ma cosa c’entra con quello che ho detto sul palco?”, ci aveva risposto lui con un velo di tristezza negli occhi, dietro le lenti nere degli occhiali da sole, deluso. Deluso da tutti, dal mondo, un mondo crudele che non ha pietà per la persona che si cela dietro la maschera, dietro l’ideologia. Avete presente Brunetto Latini che se ne va dal colloquio con Dante e torna ad inseguire la bandiera degli ignavi nel suo girone “come uno che vince”? Sallusti, per quanto non si possa essere d’accordo con lui su veramente tante cose, è un personaggio a cui va portato rispetto. Ed eccolo lì, infastidito da un piccolo giornalista impertinente, eccolo che se ne va nel silenzio di un sabato mattina come uno che sta per essere sconfitto ancora una volta, ma con un grande vaffo stretto nel pugno dentro la tasca, da estrarre come una pistola quando ce ne sarà il bisogno, non verso uno soltanto, ma verso il mondo, il mondo intero, contro l’universo che complotta incessantemente alla sua infelicità. Senza rifuggirlo, quel mondo, che lo ha perseguitato e messo in croce e che ora gli pesa addosso come un macigno.