Un’aggressione durata al massimo cinquanta secondi per essere condannati all’ergastolo. Calci e pugni, colpi di karate alla giugulare, l’MMA usato come arma. Per un moralista un attacco senza onore, senza possibilità di perdono. Il rogo. I fratelli Bianchi, due lottatori classe ’94 e ’96 di Artena (Roma), tra il 5 e il 6 settembre 2020, a Colleferro, hanno ucciso insieme ad altri due amici Willy Monteiro Duarte, un ventunenne di origine capoverdiana. La condanna è stata emessa dal tribunale di Frosinone il 4 luglio scorso. C’è quasi totale unanimità nel considerare l’aggressione senza giustificazione e dunque pienamente condannabile. Si dibatte sulla natura dell’omicidio, se volontario o preterintenzionale, e dunque sulla durata della condanna, ma hanno assassinato un ragazzo, questo è un fatto.
In quattro contro Willy a terra, neanche un minuto di violenze per massacrargli gli organi interni, non c’è stato nulla da fare. E i fratelli Bianchi avevano anche dei precedenti, oltre a una preparazione atletica e sportiva nel campo delle arti marziali miste. “I mostri perfetti”, sostiene Piero Sansonetti, direttore de Il Riformista, firma controversa e commentatore Mediaset, ex PCI, l’eroe garantista spesso incline alle boutade. Un illuminista dal volto simpatico, via. “Fascisti, palestrati, tatuati, ma chi li difende?” continua Sansonetti. Così si fa carico dell’onere che nessuno vorrebbe prendersi: essere l’avvocato di Caino. Con un tweet in particolare, poi spiegato durante un’intervista al «Corriere della Sera», il giornalista si scaglia contro la scelta di mandare i due fratelli in due carceri diversi: “Hanno separato i fratelli Bianchi, dopo l’ergastolo. Non si vedranno mai più. Lo stato si comporta con loro con la stessa ferocia con la quale loro si sono comportati con Willy. A me non piace questa cosa. Non trovo che sia civiltà.”
La gogna mediatica parte. Frutta marcia lanciata contro il collare di legno da cui compare la testa di Sansonetti. Echeggiano i versi pindarici di Daniel Defoe, dal suo Inno alla gogna (1703): “[…] il furor della strada, che non distingue niente, / gli esseri umani accoglie riottoso e maldicente. / Nessun orientamento mai la plebaglia guida / ma fango getta fango né in virtù o legge fida!”Un circolo che si alimenta. Ma cos’ha detto di strano? Bisogna davvero tirar fuori Beccaria dalle memorie scolastiche degli amici lettori?
Una parafrasi del tweet la tenta Andrea Scanzi, l’influencer dei progressisti amanti della pena. A dire il vero non spiega niente del tweet di Sansonetti, nonostante da un giornalista ci si aspetti un po’ di sano impegno deontologico a favore della riflessione ponderata. Niente, Scanzi preferisce abbellire il commento originale con un “poverini”, quasi che il direttore de Il Riformista fosse lì, lacrime agli occhi, a convincerti della bontà d’animo di due dei quattro condannati. Verrebbe da pensare che sia Sansonetti, cioè il garantista, il mostro perfetto, persino più dei fratelli Bianchi; chi altri potrebbe considerare vittime i due assassini? Scanzi glossa ulteriormente: i deboli sarebbero i fratelli Bianchi? Ti sbagli, il debole è Willy. Ma le due cose non si escludono, Andrea, anzi. Willy era il debole tra lui e i fratelli, ma i fratelli sono i deboli tra loro e il sistema giudiziario. C’è sempre un pesce più grande che mangia il pesce più piccolo.
Però capiamo perché secondo Scanzi non possiamo considerare i due fratelli dei “deboli”, quantomeno rispetto allo Stato. Facile: i Bianchi sono degli irrecuperabili, dei killer che non possono essere salvati. Lo sa Andrea, lo sappiamo un po’ tutti noi. Due under 30 sono irrecuperabili. Lo capisci a colpo d’occhio, basta guardarli: tatuati, animaleschi, volgari, gli ultimi della terra, quelli con cui non vorresti dormire. Avete presente il ramponiere della Locanda del Baleniere, nel capolavoro di Melville Moby Dick? Ecco, vorremo chiuderci dentro la camera prima che possano anche solo salire le scale, dei tipi così. La psicologia da social di Scanzi non fa una piega agli occhi dei suoi lettori: il colpevole è il cattivo, senza sfumature.
Non passi il messaggio, tuttavia, che Scanzi non stia dalla parte dei deboli; è che, loro, deboli non sono. Lui lo sa, ha imparato a parteggiare per gli ultimi grazie a Fabrizio De André. Scrive proprio così: “Io, che si debba stare coi deboli, l’ho imparato da De André (e non solo da lui) e non dal PCI. Ma l’ho imparato sul serio. Come ho imparato a riconoscerli.” Andrea, Andrea, “Andrea si è perso …” mi pare. Forse potremmo aiutarlo a rispolverare il grande cantautore genovese, con qualche verso da La città vecchia: “Se tu penserai, se giudicherai / da buon borghese / li condannerai a cinquemila anni più le spese. / Ma se capirai, se li cercherai / fino in fondo / se non sono gigli son pur sempre figli / vittime di questo mondo.”