Il fatto, per giocare sul protagonista di questa vicenda, è che la quotazione in Borsa è in caduta libera: -19 per cento nell’ultimo mese, -51 negli ultimi sei, -57 da marzo 2022. E oggi il prezzo delle azioni di Seif, la Società editoriale del Fatto quotidiano, non arriva a 0,19 euro – il 7 marzo toccava il suo minimo storico, a quota 0,18. Tradotto: il valore complessivo dell’azienda si aggira sui 4,5 milioni. Contro i 21 con cui si affacciò per la prima volta a Piazza Affari, quattro anni fa. Sono numeri che balzerebbero all’occhio a prescindere, figurarsi se si tratta della nona testata italiana tra le più diffuse nelle edicole. Come si è arrivati fin qui? La crisi dell’editoria è un problema comune. Ma non tutti se la passano altrettanto male. Basta uno sguardo alle holding dei principali quotidiani quotati in borsa (manca il Gruppo Gedi, dopo il delisting del 2020) che, come Il Fatto, non ricevono contributi pubblici. Nello stesso periodo, il titolo di Rcs Mediagroup (Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport) è rimasto tutto sommato stabile (attorno a 0,70 euro tra marzo 2022 e 2023, con fluttuazioni contenute). Lo stesso dicasi per Il Gruppo 24 Ore (circa 0,50 euro). E per Monrif (Il Resto del Carlino, La Nazione, Il Giorno, 0,06). Inoltre, secondo il portale di analisi finanziaria Market Screener, il crollo azionario di Seif sarebbe accompagnato da uno dei rating più bassi del settore: sia l’appetibilità dell’investimento, sia l’indice di redditività dei suoi titoli sono valutati ai minimi termini (1/10).
Il paradosso è che in questi dodici mesi Il Fatto si è confermato tra i giornali più efficaci a tamponare la fisiologica emorragia di lettori. Le ultime rilevazioni (dati Ads) evidenziano che le vendite totali, tra copie cartacee e digitali, sono perfino aumentate: +11 per cento da gennaio 2022 a gennaio 2023, soprattutto grazie agli abbonamenti online, per una diffusione complessiva di 55.893 (circa ai livelli del 2016). Quasi tutte le altre principali testate registrano invece dati in calo. Cos’altro è successo, allora? Passiamo ai fattori esogeni, dove i detrattori del Fatto trovano i più facili argomenti: l’invasione russa dell’Ucraina, le sanzioni che hanno colpito il Cremlino e i suoi sostenitori più o meno espliciti e quindi il taglio dei presunti finanziamenti provenienti dalla Russia al M5s? Anche gli aficionados della linea Travaglio, allo spettro opposto, non possono negare che il 2022 abbia portato Alessandro Orsini tra le nuove firme. E un decano come Furio Colombo alle dimissioni, proprio per le teorie geopolitiche – filo-Putin? Cerchiobottiste? Fate voi – di Orsini. Più recentemente, sarà che su certi “fatti” il quotidiano non sembra poter (o voler) spiccicare parola? Come sul caso Moby, dal nome della compagnia di navigazione dell'armatore napoletano Vincenzo Onorato, che coinvolge Beppe Grillo.
Sul versante nazionale poi è stato l’anno più travagliato del Movimento 5 Stelle, tra crisi, ribaltoni e presunte rinascite. In questo senso, è interessante riprendere la panoramica dell’andamento azionario di Seif – l’inizio del declino si può individuare nell’estate 2021, quando il titolo valeva ancora 0,68 euro – e fare un ingrandimento al solo 2023. Le cose sono precipitate qui, nell’arco delle ultime settimane. Ulteriore zoom: lo scalino che va dal 27 febbraio al 7 marzo, con le azioni deprezzatesi del 25 per cento. Sono i giorni successivi all’elezione di Elly Schlein a capo del Pd, che forse segnerà un nuovo cambio di gerarchie tra le forze di opposizione – i sondaggi suggeriscono questo. Nello stesso frangente, arrivano notizie di un altro organo di informazione colpito da dissesti finanziari: l’emittente radiofonica di Byoblu è costretta a chiudere i battenti. Il suo fondatore è Claudio Messora, già giornalista del Fatto e storico responsabile della comunicazione del M5S al Senato. Dice che in mancanza di fondi il canale tv, dunque l’interno network Byoblu, rischia di fare la stessa fine. Anche questo è un fatto. Ma ad andare oltre, per ora, si scivola nelle congetture.