Parto da lontano. Del resto sono lontano. Lontano dai fatti narrati. Ma parto lontano non per una questione di chilometri, non stavolta, ma per una questione di tempo. Un viaggio nel tempo, come quelli del Doctor Who. Torniamo indietro di quarantuno anni, e anche solo scoprirlo, poco fa, su Google, mi ha fatto tremare le carni. La scena da cui questo mio scritto parte è successa quarantuno anni fa, ma giuro che mi sembrava ieri. Siamo in n ristorante, piuttosto elegante. Non solo elegante, anche dannatamente caro. Una di fronte all’altro ci sono una gran bella ragazza, ricciola, pelle olivastra, occhi grandi, con uno smoking, il locale elegante pretende eleganza. Di fronte a lei un uomo più adulto, a sua volta elegante, non solo nel vestire, ma anche nei modi. Quasi venti anni li dividono, anche se lui, va detto, se la gioca bene. Oddio, bene, se la gioca, perché lei è comunque bella, parecchio, e ha dalla sua anche la gioventù, che è qualcosa che si apprezza decisamente di più quando non c’è più, come un po’ tutto nella vita (o quasi, poi ci arrivo). I due mangiano, e si capisce che è in gioco qualcosa di più di una semplice cena. Sembra di vedere certe danze di accoppiamento di certi animali particolarmente colorati e esotici, di quelle che poi finiscono dentro i documentari del National Geographic o, se l’accoppiamento poi dovesse dimostrarsi particolarmente bizzarro, nei reel di Barbascura X. A un certo punto, taglio un po’ perché direi che ho creato sufficientemente il climax che mi serviva, quella a cui state assistendo è in qualche modo una sorta di messa in scena di come intendo lo storytelling, anche, a un certo punto lei si gioca il jolly, che se fossimo ancora dalle parti delle danze di accoppiamento sarebbe il pavone che fa la coda, e qui, lo so, ho decisamente scelto la via della scorciatoia, in parte anche ammazzando quanto costruito fin qui, ma è lunedì mattina anche per me, amici cari e belli. Lei, infatti, si sfila la giacca dello smoking e, colpo di scena, si scopre che non sta indossando una camicia bianca tutta inamidata, come si poteva supporre fino a quel momento, ma solo il frontale di quella camicia, cioè la porzione di stoffa inamidata che si poteva vedere dalla giacca dello smoking abbottonata. Per il resto è completamente nuda, e senza reggiseno.
Se come me quarantuno anni fa già eravate presenti e senzienti sul pianeta terra, non potete non aver riconosciuto una delle scene clou di Flashdance, che sì, amici cari e belli, è uscito esattamente nel 1983, quarantuno anni fa, Dio Santo, quella in cui, appunto, la Alex interpretata da Jennifer Beals, una che ha rischiato di far infartuare l’appena infartuato Nanni Moretti già ai tempi, e mica per caso poi l’ha fortissimamente voluta nel suo, è di fronte al Nick interpretato dall’azzimato e fascinoso Michael Nouri, se avete visto il film sapete come andrà a finire, se non lo avete visto la vostra vita non so se meriti che io ora stia qui a spiegarvi l’inspiegabile. Uno a questo punto dirà, ok, c’è questa scena iconica di un film iconico e c’è uno scrittore di cinquantacinque anni che ce la sta menando su, termine sciatto che non a caso metto in bocca non a me, che sono lo scrittore di cinquantacinque anni di cui sopra, ma a quell’uno che come da copione arriva a un certo punto a rompere il cazzo, pretendendo di capire dove lo scrittore cinquantacinquenne, che poi sarei io, vuole arrivare, ecco, quindi, uno a questo punto dirà, ok, c’è questa scena iconica di un film iconico e c’è uno scrittore di cinquantacinque anni che ce la sta menando su da un numero spropositato di parole, per la precisione seicentotrentuno, questa cosa del citare di volta in volta quante parole o caratteri ho fin qui scritto, seicentoquarantotto parole, al momento, per tremilaottocento caratteri, è un po’ un vezzo dello scrittore cinquantacinquenne di cui sopra, come le iniziali sul polsino della camicia fatta su misura, o meglio, camice non ne indosso, come la firma svolazzante di Giuseppe Verdi nella sigla iniziale dello sceneggiato Rai, quello amici cari e belli, è addirittura del 1982, mica invecchio solo io. Comunque, non fatemi perdere il filo, uno a questo punto dirà, ok, c’è questa scena iconica di un film iconico e c’è uno scrittore di cinquantacinque anni che ce la sta menando su da un numero spropositato di parole, dicevo, prima di interrompermi, ma dove vuole andare a parare?
Eccoci. Voglio andare a parare che è iniziato il G7 Salute nella città di Ancona, che incidentalmente è anche la città nella quale il vostro affezionatissimo, che poi sarei sempre io, è nato, lo sapete, direi, cinquantacinque anni fa. E quindi? E quindi per l’occasione Ancona, che ha indubbiamente usufruito del volano di avere al momento alla guida un sindaco di centro-destra, Daniele Silvetti, il primo sindaco di centro-destra del capoluogo marchigiano, checché ne direbbe uno come Italo Bocchino, che nel suo ultimo libro, sì, anche Bocchino può fregiarsi del titolo di scrittore, il che, converrete con me, tende a limare parecchio i margini di vanto della categoria degli scrittori, comunque, dicevo, checché ne direbbe uno come Italo Bocchino, che nel suo ultimo libro ha sostenuto in sostanza che Alcide De Gasperi era uno di destra, col che si potrebbe rivedere qualsiasi lista di sindaci di sinistra di qualsiasi città, perché, per dirla con il nuovo podcast di Selvaggia Lucarelli: vale tutto. Comunque, riprendo il filo, per l’occasione Ancona, che ha indubbiamente usufruito del volano di avere al momento alla guida un sindaco di centro-destra, Daniele Silvetti, il primo sindaco di centro-destra del capoluogo marchigiano, di centro-destra come il governatore della regione, Acquaroli, che in realtà di centro sembra non avere praticamente nulla, e come il governo, la famosa filiera che lo stesso Silvetti ha più volte esibito in campagna elettorale come suo ipotetico punto di forza, quindi, per l’occasione Ancona, che ha indubbiamente usufruito del volano di avere al momento alla guida un sindaco di centro-destra, Daniele Silvetti, il primo sindaco di centro-destra del capoluogo marchigiano ha deciso di mettersi in ghingheri e piattini, tirandosi letteralmente a lucido. Questo è quel che hanno visto e vedranno, si suppone, quanti sono arrivati in città per prendere parte a questo consesso di potenti della Terra (sempre che tali siano). Solo che, spiegare le metafore è un po’ come spiegare le barzellette, mette una certa tristezza e ti viene quasi voglia di ridere da solo come fa in genere Alessandro Siani, non a caso stanziale per qualche settimana in Ancona la scorsa estate, per girare il suo prossimo film, al momento di film ne stanno girando o per girare due, uno Il maestro, con Pierfrancesco Favino, e una serie con Giorgio Tirabassi e non ricordo chi, per l’occasione, non ho capito se per il film o per la serie, sono stati abbattuti dei lecci a Portonovo, dentro il Parco del Conero, fatto che erge la produzione in questione al livello del Jova Beach Party, e mette un po’ in difficoltà la figura del sindaco ex presidente del Parco del Conero, ma sto andando ancora una volta fuoritema, è lunedì mattina eccetera eccetera. Dicevo, e vado avanti, Ancona si è tirata a lucido, ma lo ha fatto alla Jennifer Beals, ha esibito uno smoking elegante, con camicia bianca inamidata e papillon nero, come la giacca, solo che a vederla una volta sfilata la giacca, non c’era la camicia, e, qui il dramma o drama che dir si voglia, non era Jennifer Beals (fossimo in quegli anni Ottanta lì, quando c’era un Lino Banfi che in Fracchia la belva umana, film del 1981, poteva cantare impunemente “benvenuti a ‘sti frocioni”, avrei potuto chiudere simmetricamente, e anche più musicalmente la frase, citando qualcuna che, a ben vedere, bella e fascinosa come Jennifer Beals non è, perché qui il punto non è esattamente come in Flashdance, dove lo sfilarsi la giacca sottintendeva assai di più di quanto la giacca non lasciasse intendere, qui il punto è che, come in certi paesaggi da film western, e qui dovremmo andare ancora più indietro nel tempo, perché Balla coi lupi è sì del 1990, e da lì in poi fare film western come in passato, a meno che tu non sia Quentin Tarantino, è diventato quasi impossibile, ma comunque il filone aveva già terminato il suo corso naturale, comunque, qui il punto è che, come in certi paesaggi da film western, c’è il villaggio con l’ufficio dello sceriffo, il saloon, il bordello e l’emporio, tutto lungo una strada polverosa e percorsa da cavalli e carrozze, ma in realtà ci sono solo le facciate di legno, senza niente dietro, pura finzione). Sì, ho trovato una bella metafora, una immagine potente, che chiunque sia nato nel Novecento o almeno in quella porzione di Novecento che ti faceva essere vivo e senziente negli anni Ottanta, ben conosce, ma forse la mira era un po’ sbagliata, avrei dovuto citare direttamente un film western, perché Jennifer Beals senza niente sotto il frontale della camicia bianca, diciamocelo, ha animato le fantasie di quasi tutti i maschietti che hanno visto Flashdance, mentre Ancona, questo il punto, vista da fuori la zona tirata a lucido, continua a far cagare come prima.
Sì, questo era il punto. In vista del G7 Salute, l’amministrazione comunale di Ancona ha deciso di tirare a lucido, asfalto nuovo sulle strade, chiusura dei cantieri aperti da anni, imbiancatura dei palazzi e delle zone a vista, solo della parte di città che le auto di chi è qui per il G7 Salute attraverserà, lasciando nello sfacelo il resto. Come uno che decida di tirarsi la pelle sul viso, ricorrendo alla chirurgia estetica, lasciando però che il resto del corpo dimostri clamorosamente gli anni, tutte rughe e pelli molli. Con buona pace di chi quelle rughe e quelle pelli molle dovrà vedersele tutti i giorni, non solo del G7 Salute, ma anche del resto della vita. Perché, anche qui, siamo alle solite, il G7 Salute è una grande occasione per la città, il sindaco Silvetti ne ha scritto proprio ieri con una lieve enfasi sui social, indicando un futuro radioso per la Grande Ancona che è viva soprattutto nei suoi sogni e nella sua fantasia, ma per molti è più che altro una grande rottura di coglioni, e soprattutto una presa per i fondelli, perché abitare fuori dal percorso di quelle auto, quello tirato a lucido, equivale osservare una città che cade a pezzi laddove la si vorrebbe vendere come la Splendida splendente cantata da Donatella Rettore, toh, sempre nel 1981, cioè a grandi linee l’ultima volta che qualcuno ha pensato di fare il manto stradale nuovo in città invece di ricorrere alle classiche toppe di asfalto per provare a arginare le buche.
Uno dirà, sempre lui, ok, va bene, ma dovevi usare milleottocento parole per dire che Ancona, come un po’ tutte le città, cade a pezzi e in occasione di un grande evento chi la gestisce ha deciso di ricorrere a trucchetti anche piuttosto scontati? Ora, a parte che l’uno che volesse mai chiederselo o chiedermelo, nel caso citasse il numero preciso di parole sarebbe un pazzo furioso che si è messo qui a contare una per una le parole, io quando cito il numero mi limito a leggere cosa dice il contaparole del foglio word che sto usando, lì in basso a sinistra, va detto che sì, occorreva proprio che io usassi tutte queste parole, tirando in ballo Jennifer Beals e la sua giovanile sensualità, citando i film western e tutto il resto, sicuramente infastidendo il lettore, cioè tu che stai leggendo, ma dimostrandoti al tempo stesso che io, che scrivo, posso farlo, tanto è vero che sei ancora qui a leggere. Infastidire il lettore, qualcosa che teoricamente sarebbe da rifuggire per chi scrive, è invece esattamente quel che volevo ottenere, per provare a ricreare, almeno momentaneamente, e anche con la non da poco possibilità di mandarmi a cagare in qualsiasi momento, certo non sapendo poi dove voglio andare a parare, ma comunque non da poco possibilità, per provare a ricreare, dicevo, quel senso costante di disturbo che chi vive in un posto come Ancona si trova a vivere quotidianamente. La consapevolezza di essere nel posto giusto al momento sbagliato, dove però il momento dura da una vita, cioè di trovarsi a vivere in un posto con enormi potenzialità, ma senza che nessuno seriamente si metta a sfruttarle a dovere. Perché va bene portare il G7 Salute in un posto che, a parte chi ci vive, nessuno si caga da sempre, checché ne pensasse anche chi era parte della precedente amministrazione, Sindaco Mancinelli in testa, Ancona è sempre stata marginale, una cittadina lì, da qualche parte sull’Adriatico, per molti neanche collocabile di preciso nelle Marche, di cui per inciso è capoluogo, checché ne pensino i pesaresi, va bene quindi provare a accendere un riflettore in una cittadina che ha bellezze e potenzialità da esibire, lì a metà dell’Adriatico, con una serie di bellezze architettoniche e paesaggistiche a loro modo uniche, e il punto di forza del Conero mai sufficientemente sfruttato, ma se poi si finisce per riuscire a imbiancare i portici di piazza Cavour, asfaltare via Marconi e poco altro, chiudendo solo i cantieri a vista di chi passa di lì, cantandosela e suonandosela manco di colpo si fossero risolti problemi in realtà non certo imputabili solo a questa amministrazione, beh, allora quel che si è ottenuto è solo di aver sprecato una grande occasione, come farsi una punturina per gonfiarsi la bocca mentre si va avanti trascinando le gambe e con la gobba a rendere il nostro corpo decisamente poco attraente, almeno stando ai canoni vigenti.
Del resto, sono in ballo e ballo, aver passato la seconda estate di fila nel vuoto pneumatico, felici per un paio di eventi al Porto Antico, tre serate al riaperto Anfiteatro Romano, e un concerto di Raf al Passetto venduto come fosse la reunion dei Queen con anche Freddie Mercury, mentre un concerto gratis in piazza di una vecchia popstar è cosa che chiunque abiti anche in un paese di ventimila anime si vede ogni anno per la festa patronale, senza voler nulla togliere a Raf, sia chiaro, ecco, aver passato la seconda estate di fila nella desolazione è assai poco edificante, per chi poi parla di Grande Ancona presagendo chissà che futuro radioso. Certo, si parla di fare una promenade a nord della stazione, ma questa cosa io la sento ripetere da quando ancora abitavo in città, e vivo a Milano da ventisette anni. Si parla un vettore che da est vada a ovest, da mare a mare, con tanto di spostamento della statua di Cavour, a intralciare la linea retta. O addirittura che dal Cardeto arrivi al Conero, sempre da mare a mare, ma alla fin fine quel che di fatto si ottiene è una strada asfaltata a beneficio di potenti che ci passano su in auto e un concerto di Raf gratuito, senza offesa alcuna, ma roba che si potrebbe permettere anche Camerano, a due passi da lì. Del resto, diciamolo a gran voce, appena insediato uno dei primi gesti eclatanti, parlo di resa in termini di causa-effetto, è stata quella di pittare di celeste i due ingressi della Galleria del Risorgimento, lasciando intendere che fosse come un mettere la bandierina anche fisicamente sulla città, celeste è il colore di Forza Italia, è storia. Poi però si è voluto fare i fenomeni lasciando la cosa in mano a Run, artista locale, che ha però coperto quelle due tavolozze naturali con dei murales così didascalici da far rimpiangere le erbacce e le pareti scrostate che si vedevano in precedenza. Così gira il fumo da quelle parti. Ci potevano fare, che so?, un Monte Rushmore con le facce di qualche anconetano virtuoso e degno di nota, che so?, Ave Ninchi, Virna Lisi, quel Franco Scataglini, mi ripeto, cui è stata vergognosamente intitolata una strada nella zona industriale, senza numeri civici e piena di buche, non da Silvetti, sia chiaro, ma per essere contemporanei, anche Massimo Canalini, editore da poco scomparso, e perché no, il sottoscritto e i Via Verdi. Magari mettendoci anche qualche personaggio come Umbertì o Dido Dado, per dire, altro che i leoni del Duomo o roba del genere, didascalica e inutile.
Mi sembra, e mi sembra perché le cose stanno così, che manchi sempre il coraggio di andare oltre. Che si punti di più a far contenti chi ci è vicino che dar seguito a una visione. Si distrugge quanto (poco) di buono fatto in precedenza, ma lo si seppellisce sotto qualcosa di altrettanto (poco) buono, mentre bisognerebbe alzare lo sguardo e puntare al cielo. Essere felici perché ci sono produzioni cinematografiche che finiscono per tenere la città in ostaggio, come è successo con Siani e ora coi lecci di Portonovo, dimostra come ci si accontenti davvero di poco, convinti che fare da location a un film di cassetta comporti una fama e un ritorno pubblicitario che, mettetevi il cuore in pace, non arriverà mai. Così come non ci sarà un ritorno dal sentire ai Tg che il G7 Salute si è tenuto qui, perché già non frega un cazzo a nessuno del G7 Salute, figuriamoci del luogo scelto per ospitarlo. Ancona smettesse i suoi panni di terra amara, quella da cui la gente è costretta a scappare per realizzarsi, impossibile tornarci se non reclinate le ali giù, e provasse a essere benevola verso i propri profeti, piuttosto, il fatto che il Canalini su citato, da poco scomparso, colui che ha scoperto e pubblicato Silvia Ballestra Pino Cacucci e quell’Enrico Brizzi di Jack Frusciante è uscito dal gruppo, da poco tornato in libreria col sequel del suo libro d’esordio, abbia deciso di rimanere qui (e lungi da me citare PeQuod, casa editrice sempre nata da un’idea di Massimo Canalini, per la quale ho esordito io, sin da subito passata a due soci, Marco Monina, incidentalmente mio fratello, e Antonio Rizzo, non sono uso fare amichettismi, figuriamoci nepotismi) e non sia mai stato cagato dalle amministrazioni, per dire, grida vendetta, come grida vendetta che un talento come Marco Salom, regista e artista di origini anconetane, viva e operi a Piacenza, senza che nessuno in città si premuri di richiamarlo almeno per una sua personale.
Silvetti, se è uomo avveduto come dimostra la vicenda dell’Ancona Calcio, con la sua intuizione di chiamare di nuovo in città il Presidente Guerrini e l’allenatore Massimo Gadda, metta su un tavolo di intellettuali e artisti in grado davvero di dar lustro a questa città, come nessuna colata di asfalto o mano di pittura alle pareti potrà mai fare, e lasci perdere queste minchiate della Grande Ancona. Già avere una città che tale si possa definire sarebbe qualcosa, magari non bella come la Jennifer Beals di Flashdance, ma neanche a scatafascio.