C'è un gustoso senso del contrappasso nella lettera che Renzi babbo ha scritto a Renzi figlio. Vi si rintraccia un redde rationem che rovescia la struttura edipica della riproduzione societaria e fa materializzare un tempo nuovo, dove è necessario uccidere il figlio per raggiungere l'emancipazione. Uno schema inedito della linea del sangue, prodotto di una società dove i figli sono sempre meno (ma tanto più stronzi) e i residui padri rivendicano il diritto alla immaturità di ritorno. La società filiarcale. Così va, così deve andare. Sicché prendiamone atto e raccogliamo anche gli aspetti positivi. Per esempio, tanto per dirne uno, mandare al macero intere cataste di orrendi libri a firma Recalcati Massimo. Che pure il renzismo l'ha visto da vicino ma mai seppe coglierne questa intrinseca dinamica, lui che di padri e figli dovrebbe essere esperto. Come sbagliare un rigore a porta vuota.
Ma del resto chi mai poteva immaginare un rovesciamento così radicale e repentino delle stesse fondamenta sociali? E soprattutto, come poteva il povero Tiziano da Rignano aspettarsi che la sua povera vicenda di paternità dovesse assumere significati così antropologicamente universali? Lo ha scoperto poco a poco. E forse anche per ultimo, poiché quando alle situazioni ci stai dentro soffri sempre di un ritardo nel coglierne tutti i contorni. E per lo sventurato Renzi babbo è stato complicato prendere coscienza d'essere non soltanto padre deminuto di figlio esorbitante, ma anche l'incarnazione di uno spirito del tempo dove sono i figli a cazziare i padri, a dir loro come devono comportarsi, cosa dire e non dire, dove andare e con chi, persino sentirsi sfiduciare e dare dei bugiardi perché non possono non ricordare. Roba che in un altro tempo, nemmeno lontano, soltanto un ventesimo di tutto ciò avrebbe scatenato la pioggia di sganassoni e 6 mesi di svaghi negati.