Obtorto Colle. Il povero Sergio Mattarella lo aveva affermato in tutti i modi che sette anni di Quirinale, detto alla palermitana, “abbàstanu e assupérchianu”.
Lo aveva ribadito in ogni occasione istituzionale, aveva fatto cenno ripetuto al suo successore, aveva persino pronunciato in piedi l'ultimo discorso di capodanno, come a significare che un secondo dopo spente le telecamere se la sarebbe data a gambe. E aveva fatto postare le foto degli scatoloni del trasloco, e quelle del buen retiro in Sicilia. Cosa poteva fare più tutto questo? Farsi fotografare sul predellino della berlina mentre faceva il gesto dell'ombrello ai corazzieri?
E invece niente, gli tocca tornare a fare il mestiere di capo dello Stato da cui credeva di essersi congedato all'età di 81 anni. Ritorna non già perché lo avesse chiesto, ma perché ce lo rimettono a forza. E se ce lo rimettono a forza è perché sono stati incapaci di trovare un sostituto o una sostituta. Sicché Mattarella deve ritardare la più che meritata pensione. Se ne riparlerà. Quando? Eh! Per dirla ancora una volta alla palermitana: “Sapìddu”.
Per adesso l'ex-ex presidente ritorna in servizio senza nemmeno essere mai uscito. Come un esodato qualsiasi. Il primo esodato a capo di uno stato sovrano. Ha già fatto la storia. E francamente se la sarebbe risparmiata.
Dice che in fondo c'è già un precedente. Quello di Giorgio Napolitano, richiamato per un paio di anni a fare il capo di stato dopo la conclusione del settennato. Ma il paragone è improprio. Perché “Re Giorgio”, fosse dipeso da lui, non se ne sarebbe proprio andato. E nei giorni della paralisi elettorale presidenziale se ne stava appollaiato sul trespolo, a godersi ogni minuto di attesa della chiamata che sapeva sarebbe arrivata. Per poi fare il cazziatone ai parlamentari durante il discorso di reinsediamento, accusandoli di essere incapaci di trovare una via d'uscita che non fosse lui.
Invece Mattarella no. Ha provato in tutti i modi a “ammucciàrsi” (nascondersi, e ci si perdoni l'eccesso di sicilianismi). Ahilui non è bastato. Lo hanno evocato. Lo hanno votato e rivotato, con un crescendo di numeri che da uno spoglio all'altro gli ha fatto rizzare la chioma. Mancava che lo mandassero a chiamare con la Polizia municipale. Fino a che non ha preso atto della dura realtà. Deve riprendere servizio al Quirinale. E state certi che di cazziatoni, nel discorso del reinsediamento, non ne farà. Al massimo, con un filo di rassegnata voce, chiederà: “Ma picchì?”. In ogni caso, deve fare i conti con una dura realtà: il suo personale scalone.
Sia chiaro che stavolta la signora Elsa Fornero c'entra nulla, e ancor meno avrebbe potuto Quota 100 per risolvere il problema. La condizione da esodato di Sergio Mattarella è esclusiva responsabilità della peggiore classe politica espressa dacché l'umanità ha imparato a tracciare la croce su una superficie vergabile. Un album di figuracce che una sola sarebbe stata d'avanzo, ma tutte insieme sono segno d'irredimibilità per un Paese.
Matteo Salvini, ideatore della via politica al fafazzismo.
Giorgia Chucky Meloni, ben lieta di starsene dentro la riserva sovranista e di far votare Guido Shrek Crosetto.
Matteo Renzi, che si agita come se avesse sempre il 40% e invece per peso elettorale è il Renato Altissimo della Terza Repubblica.
Il professor Giuseppe Conte, l'uomo dei penultimatum (copyright di Beppe Grillo).
Enrico Letta, ogni giorno più simile allo studente che, richiesto di esporre su un argomento a piacere, risponde: “Prof, mi faccia un'altra domanda”.
E infine Silvio Berlusconi (basta la parola).
Sono loro a comporre lo scalone di Mattarella. E sono loro che hanno fatto finalmente prendere coscienza a Mario Draghi (altro nonno della repubblica) della sua reale sorte: rinchiuso dentro Palazzo Chigi come il Conte Ugolino nella torre. Sergio & Mario, segregati nei due più importanti palazzi del potere repubblicano. E sai che goduria, il giorno che complottassero di disertare entrambi. Ci facciano un pensierino. E registrino entrambi un messaggio nella segreteria del cellulare dimenticato in un cassetto: “Bianca”.