Le sue bollette di gas e luce, solo nel mese di luglio, sono passate da 850mila euro a 4 milioni di euro. E puoi anche essere una realtà virtuosa, che investe da sempre sull’innovazione e l’efficienza, attenta all’impatto ambientale e che finora in oltre 80anni di storia ha avuto bilanci in positivo, ma con i rincari di questi ultimi tempi c’è poco da fare: se non dovesse cambiare niente, infatti, entro fine anno le perdite potrebbero ammontare a 10 milioni di euro e quindi “la situazione sarebbe insostenibile”. Lo ha ammesso Alberto Candiani, Global Manager e titolare di Candiani Denim - che abbiamo raggiunto telefonicamente -, l’azienda di Robecchetto (Milano) che realizza prodotti in tela denim di altissima gamma venduti nel mondo ai più noti marchi e alle grandi griffe. Ci ha affidato il suo grido di allarme, certo, ma anche una serie di ragionamenti necessari per il futuro dell’industria manifatturiera italiana, visto che in passato chi avrebbe dovuto avere una visione lungimirante “ha usato un modo semplicistico di risolvere il tema energetico”
Candiani, partiamo dai numeri: le vostre bollette di gas e luce a luglio sono passate da 850mila euro a 4milioni di euro.
È una situazione gravissima e totalmente insostenibile. Siamo esposti da gennaio, non avendo contratti di fornitura a medio-lungo termine, e già nel primo trimestre era grave perché i costi energetici si sommavano ai costi delle materie prime. Il secondo trimestre il gas ha trascinato l’energia a prezzi folli, quindi le bollette erano triplicate. Mentre da luglio siamo nella situazione che ha appena esposto lei e non mi aspetto niente di meglio dai dieci giorni di agosto e dal mese di settembre. Guardi, i dieci giorni di agosto ci costano come due mesi del 2021.
La sua azienda si trova all’interno del Parco del Ticino, un’area bellissima che è anche riserva naturale. Voi da anni siete abituati a far fronte alle restrizioni e a non sprecare le risorse. Ma stavolta l’aumento dell’energia potrebbe mettervi davvero in difficoltà?
Da un lato sì, ma dall’altro no. Per rimanere in un territorio così delicato abbiamo apportato investimenti e modifiche strutturali rispetto alle aziende cotoniere classiche. Però ci ha insegnato anche che la via della sostenibilità è l’efficienza, soprattutto nel nostro settore dove i margini sono bassissimi.
In che senso?
Che abbiamo avviato un percorso che ci permette di razionalizzare, di non generare sprechi e generare invece utili dalle inefficienze. Purtroppo fuori dall’Italia l’efficienza la si raggiunge “tagliando gli angoli”, verosimilmente inquinando, sporcando e buttando via più roba. Il nostro territorio ci ha invece guidato verso l’efficentamento anche energetico. Ora l’energia che generiamo in casa è solo del 10%, che viene dagli scambiatori di calore. Ma siamo energivori e gassivori di classe A, un aspetto non facile da trovare in aziende come la nostra.
Quindi anche in materia di energia eravate stati lungimiranti.
Ben prima dell’incremento del costo del gas avevo pensato di sostituire le vecchie caldaie con altre di nuova generazione. Per essere più efficienti, ma anche per andare sotto ai parametri del protocollo di Kyoto. In questo modo liberavo le quote accumulate per fare emission trading (cioè il sistema di scambio di quote di emissione). Allora pensavo di essere un genio, oggi ho pagato due mesi di bolletta… Ma dal punto di vista qualitativo non scendiamo a compromessi negli acquisti, nonostante siano aumentati i costi. E voglio che i clienti lo sappiano.
Però i rincari dell’energia si sono già riverberati sul costo dei vostri prodotti?
Il nostro prezzo medio, dai 5 euro e 35 centesimi di un anno fa è arrivato a 7 euro e 25 centesimi. Lo abbiamo raggiunto in tre step: rincaro energetico, delle materie prime e poi ancora l’energia triplicata. È vero che i nostri articoli sono molto difficili da sostituire perché particolari, ricchi di contenuti innovativi, sostenibili e certificati, ma onestamente più di un cliente si sta guardando attorno.
In generale in che situazione si trova il suo settore, quello manifatturiero?
Noi siamo una grande impresa, ma accidentalmente. Abbiamo 700 dipendenti, un fatturato di oltre 100 milioni di euro, però il tessuto italiano è composto da piccola e media impresa. Il problema è che stiamo smarrendo la competitività, visto che esportiamo al 90%. Noi abbiamo competitor nordafricani, turchi, indiani, pakistani e cinesi. Costiamo ormai il doppio dei turchi, visto che anche quelli bravi vendono a 4 euro, quando noi siamo a 7 euro e 25centesimi.
E avevate anche assunto 100 persone. Ora quale sarà il loro futuro?
Da imprenditore è la parte più frustrante e la più triste. La domanda era fortissima, ora è calata. Il 40% del nostro business è negli Stati Uniti, ma con i prezzi così alti la domanda si indebolisce. Con una domanda così forte avevo assunto 100 persone per ripristinare i sabati lavorativi e ora siamo costretti a tornare alla settimana corta. Non solo, quando si fa cassa integrazione si bloccano le assunzioni. Quindi solo alcuni reparti saranno in turnazione su sei giorni, mentre 30-40 persone di quelle 100 non verranno confermate. È ingiusto lavorare in queste condizioni.
L’altra sera a “Non è l’Arena” su La7 diversi imprenditori segnalavano che nessuna azienda si affiderebbe mai a un solo fornitore, come invece ha fatto l’Italia con le liberalizzazioni affidandosi solo a Eni per il gas, che a sua volta si basava sulle sole forniture di Gazprom…
È la prima cosa che ci siamo detti tra industriali, cioè che c’è stata la totale mancanza di visione. Come Europa siamo una potenza debole e ci rendiamo tali perché abbiamo voluto dipendere dagli altri. Non abbiamo avuto il coraggio di essere critici. Le convenienze degli anni 2010 con la Germania che traina il settore attraverso il Nord Stream è stato un modo semplicistico di risolvere il tema energetico. In più ci si è incaponiti con ragionamenti insensati sulle rinnovabili.
A cosa si riferisce?
Al fatto che le rinnovabili andavano incentivate in un altro modo, perché oggi sappiamo che la rinnovabile ti costa molto meno dell’energia elettrica generata dal gas. Ci sono state previsioni errate, mancanza di visione e risorse intellettuali insufficienti per elaborare certi piani.
Ora le soluzioni avanzate sono tante: uno scostamento di bilancio di 30 miliardi di euro, staccare il prezzo dell’elettricità dal prezzo del gas, mantenere un grado in meno in azienda o lavorare un giorno in meno a settimana. Lei da cosa partirebbe se potesse decidere?
Purtroppo dalla cassa integrazione, perché nel frattempo abbiamo recuperato sui tempi di consegna. La domanda è calata e quindi strutturalmente la prima cosa da fare sarebbe renderla come la cassa Covid, cioè priva di costi. Ma sinceramente anche uno scostamento di bilancio è necessario. Sono europeista, dobbiamo stare attenti ai conti, però qui siamo a livello di “ a mali estremi estremi rimedi”. Il price cap (tetto del prezzo) del gas potrebbe essere uno strumento, ma nel breve periodo, soprattutto per le famiglie che hanno gli stipendi bloccati anni, lo scostamento di bilancio sarebbe utile a tutti.
Sta per pagare una bolletta di 4 milioni di euro rispetto agli 850mila di poco tempo prima. Ma se non dovesse cambiare niente a fine anno quanto rischia di perderci la sua azienda?
Se non cambia niente, siamo riusciti a non perderci fino a giugno. A luglio abbiamo sicuramente delle perdite da stimare, ma mantenendo le proporzioni rischiamo di arrivare a fine anno con 10 milioni di euro in meno alla peggio, oppure 5 milioni alla meglio.
Visto che lei è abituato a guardare al futuro, la prossima sfida sembra essere quella dell’acqua. Sta già correndo ai ripari?
Può essere veramente l’elemento critico. Il bacino idrico della nostra zona è veramente eccezionale. Detto questo, non è che si può buttare, bisogna rispettare l’acqua e ottimizzarla. Quindi già utilizziamo il vapore per generare energia, ma soprattutto l’acqua che si scarica non deve essere contaminata. Il Parco del Ticino ce lo impone. Inoltre, per risparmiare acqua abbiamo implementato gli ultrasuoni sulle macchine di tintura, ci permette di ridurre fino al 35% il consumo in base all’articolo. E riusciamo a mantenerla più pulita, quindi con maggiore successo per riutilizzarla. Sono due anni che ci lavoriamo e a ottobre presenteremo pubblicamente questo progetto innovativo.