“E negli stessi istanti a Massimo Guastini, l'unica e sola persona che da 6 anni denuncia con nome e cognome le molestie subite da varie ragazze (a cominciare dalla sua stagista, Giulia Segalla) e che per età potrebbe essere tranquillamente suo padre, gli ha scritto testualmente che: "Ora ti chiedo di fare lasciare a noi, le donne, e di metterti a disposizione", “Non di controllare questa narrazione", "Non ci stai facendo un favore", "Non è la tua battaglia personale”, "È la nostra causa” (dal lunghissimo post – condiviso anche da Massimo Guastini – che Monica Rossi ha pubblicato ieri su Facebook). Chi allontana Guastini? Chi chiede a Guastini di “non controllare la narrazione”? Tania Loschi, alias "taniume" su Instragram, “una persona – scrive sempre Rossi nel post – che si è autoproclamata portavoce di un movimento, che secondo i giornali è stata colei che ha dato inizio a tutto facendo un grandissimo lavoro di ascolto. Che poi questo lavoro altro non è che pubblicare sfoghi sul suo profilo senza nessun riferimento concreto. Però – e sarebbe anche ora di capirlo – centinaia di testimonianze senza nomi e cognomi non sono testimonianze. Sono sfoghi”.
Parole dure, quelle di Monica Rossi, pseudonimo di un uomo, ben inserito nel mondo editoriale, che con le sue interviste (in primis quella a Massimo Guastini del 9 giugno scorso) ha fatto esplodere il MeToo delle agenzie pubblicitarie. Un caso che – nonostante la gravità delle accuse rivolte da Guastini, già presidente per due volte dell'Art Directors Club Italiano, al collega Pasquale Diaferia, e il bubbone della “chat degli 80” (la chat che tra il 2016 e il 2017 riuniva tutti i colleghi maschi dell’agenzia creativa We Are Social) – non è ancora definitivamente esploso. Un caso che, per ora, somiglia a un cantiere aperto. Guastini, attivo e attento sui social, ci ha messo faccia e reputazione, provando a diventare un polo d’attrazione affidabile e concreto. Monica Rossi, da par suo – ricco di contatti (date un’occhiata alle tante interviste inanellate) e talvolta povero di sintesi (a quei messaggi stilizzati di cui sono capaci le sue conoscenze pubblicitarie preferisce post che somigliano ad oblunghe encicliche –, ha dato in pasto ai social media decine di dichiarazioni di addetti ai lavori su cui riflettere e confrontarsi.
Perché quindi il MeToo dei pubblicitari non ha ancora prodotto la detonazione necessaria per scuotere le fondamenta dell’intero ambiente? Solo perché – come suggerisce Rossi – “vi direi meno social e più denunce alle autorità competenti. Anche se so bene che denunciare è una strada in salita e più si è giovani più è ripida”? Non solo. Nel fronte di chi ha accusato Diaferia, di chi ha mostrato indignazione davanti alla chat di We Are Social, di chi ha sollevato qualche dubbio anche sulle condotte di un altro peso massimo della pubblicità come Gianpietro Vigorelli, si è spaccato qualcosa. E il motivo della spaccatura, ad oggi, pare ascrivibile all’inafferrabile Tania Loschi. Afferma Rossi nel suo post di ieri: “Ma qual è esattamente il ruolo di questa ragazza che Guastini, prima dell'intervista, non aveva mai sentito nominare e che in We Are Social non ci ha mai lavorato? […] La verità è che è partito tutto da un uomo e quest'uomo si chiama Massimo Guastini. Tania si è accodata. […] Poi ho pubblicato l'intervista a Mario Leopoldo Scrima e dopo un minuto, un po’ per galanteria e un po’ perché sapevo quanto certe ragazze fossero emotivamente coinvolte, ho mandato a tutte loro un messaggio di una sola parola. “Soddisfatta?” Le risposte sono state tutte entusiaste. Tutte. […] Eppure a una persona, UNA SOLA, quell'intervista non è affatto piaciuta. E questa persona è Tania Loschi”. E qui torniamo al pezzo iniziale: Tania, per adesso, avrebbe soprattutto postato sfoghi anonimi, nulla di più. Tutto legittimo, “ma è anche vero – prosegue Rossi – che accusare in completo anonimato senza nessuna prova è tecnicamente il metodo migliore per mandare tutto in vacca alla luce del sempreverde “tutti colpevoli, nessun colpevole”. “Il problema, che a mio avviso capovolge completamente l’intera vicenda, è che questa signora mi ha accusato per iscritto di averle fatto violenza. Proprio così. Anzi, ci ha accusato. Ci ha accusato a noi: gli uomini. E l'ha fatto con frasi brevi, perentorie, sentenzianti, frutto di un pregiudizio. Che qui riporto senza cambiare una virgola. Io: "Soddisfatta?", lei: "Per niente". "Dovreste ascoltarci invece di fare di testa vostra". "Mettervi a disposizione". "Ci state facendo l'ennesima violenza". "Ci avete bruciato la possibilità di uscire su testate nazionali". Ed ecco il vero problema. La visibilità. […] Cioè, dobbiamo proprio umiliare Massimo Guastini, un uomo di 63 anni che ha mangiato merda per gli ultimi 6 inimicandosi tutti quelli che si poteva inimicare facendo NOMI e COGNOMI ordinandogli di starsene zitto e buono e di mettersi a disposizione di Tania Loschi solo perché l'ha deciso lei in virtù del fatto che ha pubblicato su Instagram dei commenti rigorosamente ANONIMI che per quanto ne sappiamo potrebbe aver scritto chiunque? […] Perché accusare di violenza me e Massimo Guastini per aver pubblicato un'intervista (grazie alla quale ti sei arbitrariamente eletta portavoce di un movimento intimandoci di metterci a tua disposizione) sai cos'è? È una molestia. È una calunnia. È un'infamia. Anche grave”.