Se intervistassimo delle persone comuni in un mercato rionale di qualsiasi città italiana, per capire cosa sappiano esattamente delle guerre devastanti che in questo momento stanno destabilizzando gli equilibri mondiali, magari chiedendo qualche nome di leader politico e qualche dettaglio di cultura generale sulla geopolitica di questi luoghi, siamo certi che ne trarremmo un quadro disarmante. L’informazione sulla guerra è spesso annacquata dalla propaganda e, dal punto di vista emotivo, all’internauta non piace soffermarsi sulle vere tragedie a meno che non siano riviste in chiave true crime magari con un bel podcast con tappeti musicali, condotti da sedicenti giornalistelli seguiti da ventimila followers; minimo sindacale oggi per essere considerato dal mainstream (per le guerre è ancora presto). Nello stesso mercato rionale, invece, se ponessimo delle domande sulle tragiche vicissitudini di Chiara Ferragni, tutti sarebbero ferratissimi e tutti porterebbero un loro decisivo punto di vista. I social in questi giorni stanno ribollendo come un vulcano, i giornali per incrementare le visualizzazioni non perdono nemmeno un aggiornamento sul caso Ferragni perchè la gente vuol godere di questo Truman show della rovina, questa è la verità. A questo punto poniamoci qualche domanda. Perché la gente gode di questa disfatta? Come siam passati dall’osmosi sanremese alla nemesi mediatica di questi giorni? Soprattutto, come sarà il mondo della comunicazione social post Chiara Ferragni?
La gente gode di questa disfatta perchè, diciamolo, in questi anni abbiamo visto Chiaretta in tutti i contesti di ricchezza e fortuna possibili immaginabili generando una sorta di invidia repressa trasversale cross generazionale; spiego meglio. La trasversalità di questa invidia sociale è data dal fatto che i suoi post e le sue storie non solo generavano frustrazione al popolo del “vorrei ma non posso”. Tale invidia sapeva attraversare l’animo di gente molto distante dalla narrazione di una giovincella fortunella miliardaria. Quando è stata convocata ad Harvard per fare uno speech sui media digitali, al sottoscritto e a tanti altri veri operatori della comunicazione - gente che si fa il culo e studia - con un bagaglio ventennale - lo riconosco - mi ha fatto davvero male. Quindi quando i lobotomizzati subumani difensori civici e social della nostra “Blonde Salad” ripetono allo sfinimento l’unico periodo che riescono a strutturare in italiano: “La vostra è solo invidia”, dicono bene!! È impossibile non invidiare una che per lavoro sembra non fare un cazzo dalla mattina alla sera se non ucciderci con storie logorroiche con un parlato da italiano immigrato a New York ("cute" o "ciao guys" su tutte) viene elevata a massimo esponente dell’eccellenza imprenditoriale digitale a livello worldwide. Stiamo parlando di un soggetto che ha bisogno di dodici persone per scrivere una paginetta da quinta elementare in diretta dal contenitore televisivo più seguito dagli italiani: Sanremo. Eccoci passati al secondo punto di questa esogenesi dell’odio per questo personaggio. Sono state scritte tante pagine su quel Sanremo, osservazioni inutili più che altro focalizzate sul look. Tutto un gioco basato sul nulla, un’orgia di concetti woke promossi come oro colato. Gli abiti con il messaggio per le donne e altre minchiate che servono solo all’industria della moda per inebetire questi citrulli che spendono migliaia di euro, i quali, per non sentirsi idioti hanno bisogno del messaggio, o peggio, han bisogno di sapere che una parte di ciò che spendono alimenterà economicamente una buona causa.
Ecco sulla buona causa, Chiaretta si è impantanata: la notizia dell’indagine della procura per “truffa aggravata”, un bel danno di immagine a prescindere dal fatto che possa essere più o meno colpevole di questo reato. È un dato irrilevante la sua colpevolezza perché ci aspettavamo da un soggetto che predica e manifesta la perfezione, appunto, "la perfezione" del partenone. Solo così sarebbe stato giusto il nostro posto di vassalli dell’imprenditrice digitale regina del feudo di Instagram. Esistono due livelli di colpevolezza, quello della legge (e saranno i giudici a stabilire, per carità) e quello morale di un pubblico tradito. È il pubblico che ha tradito Chiara, il nuovo mercato al quale si dovranno rivolgere i nuovi influencer… dico nuovi perché è evidente che il modello comunicazionale costruito negli anni da Chiara è in declino, anzi, è moribondo. La gente non è fessa fino a questo punto. Cosa comunicare e come comunicare, questa è la nuova sfida dopo Chiara Ferragni. Qualche spunto potrebbe essere dato dall’iperbole di Kanye West e quella spostata della sua donna. Nella loro follia stanno promuovendo una immagine in completa dissonanza con gli standard: vanno in giro praticamente nudi o coperti da stracci e nonostante i milioni che hanno, danno meno fastidio perchè sembrano - ripeto sembrano - più vicini alla gente normale che negli stracci si riconosce certamente di più che in una cabina armadio di 200 metri quadrati. Il mondo social dopo Chiara Ferragni sarà un mondo nuovo per un po’. I creators dovranno trovare nuove formule per agganciare, per fare engagement. In primis mostrare il meno possibile, focalizzare la comunicazione su contenuti veri, evitare come la peste la filantropia (a meno che tu non sia Bill Gates) o l’utilizzo dei figli come mezzo per fare visualizzazioni e soprattutto non investire i prodotti di messaggi morali. La gente come la Ferragni e il suo stuolo di adulatori dovranno farsi da parte perchè il loro è un modello perdente, antiquato e quel sorrisetto non convince davvero più.