Non sono un giudice e quindi non ho titolo per entrare nel merito della decisione del Tribunale di Milano rispetto alla imputazione per Chiara Ferragni. Sono una persona garantista e più che di fronte a una truffa, onestamente, credo più ci si trovi di fronte a una “furbata” mal riuscita ma non con intenti truffaldini. L’ho già scritto: è commercio non imprenditoria. La Ferragni è una commerciante che vende prodotti e lo fa con strategie a volte, come in questo caso, sbagliate e forzate. Poi ovviamente nessuno di noi sa di cosa è in possesso la procura ma con un “pool” di avvocati e la potenza di spesa che possiede per difendersi credo che alla fine tutto finirà in una bolla di sapone. E va bene così. Quel che conta è capire se finalmente la politica, le istituzioni e la Ferragni stessa comprendono quanto sia assurdo questo sistema che hanno creato in Italia mediante l’utilizzo di piattaforme “sociali” facendo di tutto per togliere completamente la socialità che avrebbe dovuto essere alla base della loro creazione. I social erano inizialmente pensati per mettere in relazione e in contatto persone lontane, ma oggi hanno tanti e vari utilizzi. Ti permettono di contattare gli amici e di scoprirne di nuovi, anche se poi non sono realmente tuoi amici ma spesso curiosi, fan, gente che ha obiettivi a volte differenti dall’amicizia. Sono per fortuna anche una fonte di notizie; ormai leggiamo più i social che la carta stampata e sono tanti i profili aperti dai quotidiani stessi e dalle testate che permettono di restare sempre aggiornati su ciò che accade nel mondo. I social sono poi un modo per trascorrere il tempo in leggerezza: alcuni permettono di dedicarsi a giochi pensati per divertire e sorprendere nonostante le piccole dimensioni dello schermo di uno smartphone; altri permettono di scattare foto con filtri che modificano i lineamenti migliorandoli o trasformandoli al punto da fornire effetti simpatici e impensati. Poi c'è chi ha scoperto che, attraverso un utilizzo commerciale “spinto”, i social possono diventare un enorme strumento di vendita e così sono nati commercianti virtuali come la Ferragni. Anzi, lei è la prima ad aver avviato questa tendenza all’utilizzo commerciale dei social al pari dei preistorici televenditori che ormai sono in bassa fortuna e relegati a emittenti di basso profilo. E come è accaduto nelle televendite, in alcune spesso ci si spinge così in là che ci si lascia prendere la mano. La vendita è l’anima del commercio, questo è un dato di fatto. Io non credo che le intenzioni della Ferragni fossero quelle di truffare ma di vendere, vendere e guadagnare. E nel vortice della grande passione per la vendita, prima di tutto nella vendita della sua immagine, è scivolata su qualche buccia di banana.
La vicenda di Chiara Ferragni però ha messo in luce alcuni temi su cui più volte, nell’anno appena trascorso, abbiamo tentato di accendere un piccolo faro. Per esempio, il tema dell’odio (degli hater) sociale, l’odio che si scatena in molte di quelle persone che magari fino a pochi giorni prima ti seguivano ed esaltavano come fossi la Dea Venere scesa in terra, ma che appena ne hanno avuto la possibilità hanno dato sfogo a un risentimento oppresso che covava come un fuoco sotto la cenere. E c’è da chiedersi perché questo fuoco covasse sotto la cenere. La risposta è che probabilmente la vendita più importante che la Ferragni faceva nelle sue milionarie storie e nei suoi milionari post, il più importante “prodotto” messo da lei in commercio era l’invidia. L’invidia del non potersi permettere di comprare una Hermes da 100mila euro al cui post in migliaia hanno messo like. E lo hanno fatto perché offuscati dal sogno di poter un domani, grazie a un loro un post, a una loro storia, magari costruita con balletti, con sorrisi ammiccanti, con frasette e claim del tipo “Hi Guys”, oppure facendo uno “sneak peek” della propria cabina armadio, o ancora mostrandone la parte “Glam”, diventare una milionaria star del web e dei social svolgendo un lavoro che lavoro non è perché genera solo illusione. E nemmeno la nobile e artistica illusione di geni come Silvan, Copperfield o Dynamo, ma la becera illusione di chi è consapevole che lo status “venduto” attraverso foto di case lussuose, ville sul lago di Como, aperitivi in montagna con l’elicottero non potrà essere raggiunto nemmeno dall’un per cento dei propri follower. Le storie create da Michele Monopoli sulla Ferragni che va al lavoro e riceve la chiamata dal suo team a bordo di una Bmw x1 mentre lui va al lavoro sul suo trattore Ferguson, al di là delle risate che suscitano, fanno comprendere quanto sia distante il mondo della Ferragni dalla gente comune. E non puoi essere pop se tra te e il popolo crei tu stessa un insormontabile burrone. La vicenda della Ferragni deve, imprescindibilmente da come finirà, accendere un faro su uno strumento utilizzato per generare illusioni in cui giovani ragazze e ragazze sono coinvolti magari perdendo di vista obiettivi di vita e lavoro che ormai sono ritenuti poco redditizi. Una bella ragazza fascinosa secondo voi tra pensare di studiare per diventare un medico o una professoressa che non potrà mai forse permettersi una Hermes, cosa è portata a scegliere? Il suo sogno ormai è andare al lavoro facendo una storia in cui prende la sua Bmw dal garage (forse facendo un pelo di pubblicità occulta) e incassare i primi soldi già solo mentre sta andando al lavoro. Instagram e i social hanno un editore, ma un editore che si limita a controllare e intervenire solo su una determinata serie di tutele ma chi garantisce la tutela delle regole di “ingaggio”? Chi garantisce la tutela effettiva della trasparenza delle informazioni, della pubblicità occulta e soprattutto della salvaguardia della psiche e della fragilità di molti utenti?
Onestamente me ne frega nulla di pene detentive per chi usa questi mezzi per commercializzare anche la beneficienza. Mi interessa che quando si verificano questi abusi si chiudano i canali, al pari di come si chiude un canale di televendita. E magari, chissà, obbligare chi ha tratto in inganno le persone a fare pubblica ammenda e aiutando le altre influencer a non commettere gli stessi errori. Lo Stato e il Governo devono intervenire per stabilire regole di utilizzo dei social e obbligare gli “editori” e le società proprietarie a intervenire sanzionando e oscurando chi commette frodi in commercio. Oggi si parla solo di perdita di follower come se fosse un danno incommensurabile. Si parla di hater, ma queste, credetemi, sono tutte cose normali. Come normale è che all’improvviso persone pseudo amiche prendano le distanze da te, si dimentichino che esisti e se stai male nemmeno ti chiedono un “come stai” di circostanza. Ci sono passato e lo vivo nel mio piccolo tutto i giorni. Non è questo quello che conta. Conta invece che questo caso accenda una luce di speranza che faccia capire a chi segue questo tipo di influencer, ai follower, che un loro like, un loro “segui” che a loro stessi può sembrare nulla, per l’influencer invece si trasforma in denaro, tanto denaro. E di quel denaro proprio a loro, ai follower, non va nulla se non l’illusione di poter ambire a una vita che non potrà mai avere, a una ricchezza che non potrà mai raggiungere. L’influencer non è un mestiere. È solo una patente da imbonitore stupidamente concessa dalla gente perché oramai nessuno si ferma più a riflettere tra cosa conta nella vita e cosa è futile. Tra cos’è arte e cos’è arte dell’inganno. Tra cos’è reale e cos’è virtuale. E in questo caos è caduta anche la beneficienza che negli anni è stata gestita dalle grandi famiglie italiane come Barilla, Del Vecchio, Ferrero, Agnelli come qualcosa di intimo, di non soggetto a pubblicità, di non manifestamente palesato. Ma fatto nella più assoluta riservatezza; forse perché si tratta di beneficienza vera e non fatta per essere una forma aggiuntiva di promozione di sé stessi, di marketing, di ritorno economico. E questo non vale solo per la Ferragni. Vale per molti cantanti urban, per molti Influencer punti dalla brama di fare soldi, se potessero, anche dal banale selfie con i fan. Basti pensare che oggi per incontrare un idolo devi solo pagare 200 euro per un "meet and greet" senza sapere che il tuo idolo quando lo conosci smette di essere il tuo idolo e se lo frequenti poi capirai che era tutt’altra persona.