Salvatore Pennisi è un buon pilota. Probabilmente è tra gli uomini più veloci del globo sul tracciato di Pergusa, in Sicilia, dove sviluppa le gomme da moto per Pirelli e Metzeler. Se lo chiedi a lui ti dice che prova le gomme, poi a domanda precisa aggiunge di essere Direttore delle attività di sperimentazioni e Technical Relation di un campo di prova in cui lavorano 40 persone. Quando cresci con la moto sei condannato a volere di più, sempre: è per questo che in giro si vedono maxienduro con potenze da supersportive, anche la velocità crea assuefazione e ti ritrovi col bisogno di aumentare. Aumentare la difficoltà, provare qualcosa di più forte. L’enduro in questo senso funziona molto bene perché il vero limite è sempre l’essere umano, mai la natura. Salvo Pennisi questa roba l’ha capita. Così, una sera, davanti a una bottiglia di vino nella sua casa in Sicilia, Salvo propone al direttore dello sviluppo di BMW Motorrad, Christof Lischka, una sfida diversa. “Forse avevamo bevuto un filo troppo, ma è venuta fuori l’idea di fare da zero a seimila metri in meno di ventiquattro ore con la nuova BMW GS 1300, che al tempo era ancora un prototipo”, ci racconta lui in una lunga chiacchierata al telefono. È appena tornato dal Cile, nello specifico dal Nevado Ojos del Salado che, con i suoi 6.879 metri d’altezza, è il vulcano più alto del mondo. Un vulcano attivo.
Come ci si prepara a scalare un vulcano in moto
Di cose che sarebbero potute andare nel verso sbagliato ce n’erano moltissime. La prima: la BMW R 1300 GS è la moto del futuro, quindi piena di elettronica e non così collaudata come il modello uscente. In Germania però si fidano, dicono che si può fare. Salvo equipaggia la moto con delle Metzeler Karoo 4, prodotto di punta del marchio tedesco per l’on-off. “Per assicurarci di sopravvivere abbiamo invitato anche Michele Pradelli, campione italiano di enduro estremo”, confessa con una risata.
Poi c’è la preparazione. “Senza falsa modestia dico che le moto le sappiamo guidare. Portare una moto da 237 Kg a seimila metri in fuoristrada però non è uno scherzo. Non abbiamo voluto sottovalutare niente, a quelle altitudini l’ambiente è veramente ostile e possono sopraggiungere anche problematiche letali”. Uno su tutti, quello che gli inglesi chiamano high altitude sickness: “Il male di montagna è subdolo, può generare edemi celebrali, edema polmonare… se non si è preparati diventa molto rischioso. Abbiamo avuto l’aiuto insostituibile dell’Università Kore di Enna, specialmente il dipartimento di cardiologia, che ci ha passato veramente al setaccio. Poi abbiamo stabilito un protocollo di allenamenti: io d’estate facevo 150 Km di enduro al giorno, poi affrontavo 2.000 metri di dislivello al giorno con la bicicletta: l’obiettivo era aumentare al massimo la capacità polmonare”.
In Cile per scrivere un piccolo pezzo di storia
Finita la preparazione comincia la trasferta. Se vuoi salire sul vulcano più alto al mondo con una moto devi attraversare il deserto di Atacama, un luogo abbastanza magico da giustificare un documentario (Nostalgia della luce, 2010) del regista cileno Patricio Guzman. “Lì non c’è nulla”, ci racconta Salvo Pennisi. “Devi pensare a tutte le necessità, anche le più banali. Ti ritrovi davanti a questi vulcani altissimi... Poi c’è il Nevado Ojos Del Salado: imponente, massiccio, incute rispetto e un po’ spaventa. Una volta arrivati abbiamo fatto un lavoro di acclimatamento durato quasi dieci giorni, spostandoci da un campo base all’altro: il primo a tremila metri, poi dopo i quattromila e infine abbiamo allestito un terzo campo base a cinquemila metri da cui abbiamo fatto dei training con qualche riserva di acqua, carburante e cibo. Abbiamo dovuto lavorare sulle nostre condizioni fisiche: tenere sotto controllo la pressione sanguigna, la saturazione del sangue, ricordarsi-di-respirare e farlo in un certo modo per saturarci. E poi in quota devi idratarti con attenzione, bevevamo otto litri d’acqua al giorno, il che significa fare la pipì di continuo e non dormire la notte. Anche questo non è un male, perché il pericolo di apnea notturna a quelle altitudini è molto elevato, svegliarsi spesso può essere un aiuto”.
La salita sul Nevado Ojos del Salado
Chiaramente il mezzo meccanico è fondamentale. E le gomme, non è marketing ma la realtà fattuale, lo sono altrettanto. Seimila metri non li sali in ciabatte e per una moto da 237 Kg vale esattamente lo stesso: “È stato incredibile che la moto non abbia avuto problemi. Eravamo partiti pensando di dover lavorare molto sull’elettronica di controllo, perché con i cambiamenti di quota può succedere. Stessa cosa per le perdite di potenza, che ci sono state ma a livelli assolutamente accettabili. Il consumo di carburante è stato ridotto e questo ti permette di partire con poca benzina e avere la moto più leggera. Devo dire anche che l’accoppiamento con le nostre Karoo 4 ha funzionato molto bene. La moto è pesante, ma l’ergonomia e la capacità di trazione hanno aiutato moltissimo”. Salvo non lo racconta per mestiere, ci tiene proprio ad aver sviluppato gomme che vanno davvero oltre le aspettative: “Queste gomme sono nate attorno a BMW, nello specifico hanno debuttato al GS Trophy in Albania. Avevano avuto un grande successo e sono probabilmente un prodotto di punta per Metzeler, merito di un bilanciamento tra strada, fuoristrada e bagnato che veramente è andato oltre quello che ci aspettavamo. Non per niente sono una scelta opzionale per il primo equipaggiamento”.
A seimila metri con una BMW R 1300 GS
Da quella serata in Sicilia, con la BMW R 1300 GS nel box senza neanche le carene, è passato del tempo. In mezzo le anteprime con la stampa, il debutto mondiale, i primi test e questa avventura, un termine che viene spesso tirato in mezzo a un qualunque genere di narrazione per gonfiare la storia e che qui ci entra a pieno titolo. Dopo dieci giorni a prendere confidenza con l’altitudine, la squadra di Salvo Pennisi decide di provare il primo assalto: “Nel momento in cui ci siamo sentiti pronti abbiamo intrapreso la discesa, velocissima, fino all’Oceano Pacifico, poi una sosta per riposarci e la vera partenza per fare da zero a seimila metri in 24 ore”. Lui racconta che c’era tensione, perché a sbagliare basta un attimo. Basta cadere nel modo sbagliato, o magari ritrovarsi con un problema meccanico se non, addirittura, qualche complicazione fisica. Invece le cose funzionano al primo tentativo: “Alla fine ci abbiamo messo 19 ore e 22 minuti. Arrivare a seimila metri è stata una liberazione, ci siamo commossi. Da lì scendere è stato bellissimo, perché nel momento in cui passi da seimila a cinquemila ti pare di respirare a pieni polmoni, mentre quando arrivi sul livello del mare rinasci completamente”.