Se non hai abbastanza soldi per raggiungere in taxi il Palazzo dei Congressi all’Eur per partecipare a Roma Bar Show, nel 90 per cento dei casi arrivi all’ingresso zuppo di pioggia o di sudore dopo oltre 15 minuti a piedi senza un riparo. È la grande bellezza. Quest’anno raggiungere la manifestazione è come implorare una doccia rinfrescante. Un miraggio. Comunque sia, affrontiamo la prima giornata, che significa otto ore circa di assaggi di superalcolici, praticamente a stomaco vuoto, con un certo inebriante entusiasmo. Ogni giornalista, uomo o donna che sia, cerca di portare a casa uno o più articoli e una e più storie (intese come storie di sesso). Le due cose vanno a braccetto nel Circus del Bar Show. Ma all’ingresso le hostess, dopo averti monitorato, ti consegnano solo un braccialetto. Bianco, Rosso o Verde. Braccialetti che ai visitatori più fantasiosi, dopo diversi bicchieri, fanno perfino venire in mente quelle manette che comperi nei sexy shop. Da dove cominciare? I numeri sono da capogiro: 250 aziende e 2 mila brand (i conti non tornano perfettamente, ma queste sono le cifre ufficiali). La struttura è su tre piani. Inclusa una terrazza dedicata al Messico, che vuol dire Tequila e Mezcal. I due distillati più in voga oggi, sempre accanto all’intramontabile gin. Pertanto da dove conviene cominciare? Dal primo piano, con la speranza di non salire a carponi le scale perché troppo stonati, oppure dalla terrazza, con il rischio, dopo aver ingollato i liquidi messicani, di rotolare ai piani più bassi?
Bere moderatamente al Roma Bar Show per un giornalista serio è praticamente impossibile. Anche se sceglie di portare a casa un solo articolo. Mettiamo: “I 10 migliori rum assaggiati al Bar Show”. Bè, in mezza giornata, ne devi assaggiare almeno una ventina e a questi aggiungere tutta una serie di cocktail base rum. Bella vita quella dei giornalisti… Sembrerebbe stupefacente, ma le colleghe dimostrano sempre una maggiore resistenza. Fanno ricorso a espedienti del tipo: bere acqua tra un assaggio e l’altro e portare con sé qualcosa da mangiare. E magari a un banchetto non fiondarsi su tutti i prodotti. Il maschio invece, come chi scrive, comincia la visita innestando la quarta marcia. Già in visita alle prime tre postazioni, consuma nove distillati o liquori. Ma non ha ancora perso lucidità. Senza barcollare affronta le scale verso i bagni e, consumati anche i bisogni, riprende baldanzoso il suo programma di assaggi e chiacchierate e interviste a produttori e barman. Al sedicesimo bicchiere (non vi sono sputacchiere al Bar Show, come nelle degustazioni di vini) si sente un supereroe, è convinto di attraversare il Mar Rosso a piedi. Ma questo è già un segnale di pericolo. Le belle Pr, le affascinanti colleghe giornaliste, le suadenti hostess, le ammaliatrici produttrici. Un giornalista del mio calibro si fa facilmente abbindolare da certe visioni. Dopo 23 assaggi capisce di non essere in grado di attraversare il Mar Rosso a piedi, ma è convinto di poter sostenere una conversazione brillante. Magari sul Nocino, il Limoncello o il Mirto. Col rischio che le sue viscere esplodano. Perché conversi e bevi. Troppo Nocino, troppo Limoncello, troppo Mirto o altri intrugli. E non concludi niente. Ma almeno scambi biglietti da visita e i consueti contatti sui social. L’importante è seminare.
E bisogna concentrarsi sul pezzo. E dalla redazione giunge un altro input: “Oltre che sui rum, puoi farci un articolo provocatorio sui whisky?”. Il giornalista risponde: “Cioè?”.Rispondono: “Fai tu, assaggiane un po’, inventati qualcosa, tipo il whisky è afrodisiaco. Oppure i whisky più afrodisiaci assaggiati al Roma Bar Show. Fa molto Seo”. Come un coglione il giornalista serio risponde e il primo giorno assaggia quindi una ventina di rum, una dozzina di whisky e come sopra il nocino, il limoncello il fottuto Mirto. La sera il giornalista serio è ancora in piedi, anche se un po’ stonato. Lo aspetta un evento Fuori Bar Show. Ce la può fare. È solo una degustazione in uno speak easy della Capitale. Assaggia quattro cocktail per lo più low alcol di gusto dolce, come va di moda oggi, e torna alla base. A letto ripensa alla “Nocina”, alla “Limoncella”, alla “Mirta”. E si addormenta. Il secondo giorno l’incarico del giornalista serio è fiondarsi su amari, vermouth e liquori in generale. Altri assaggi, chiacchiere, interviste. Apparentemente è un gioco da ragazzi. Una ventina di amari, vermouth e liquori (totale 60), con cocktail annessi. Tipo dodici negroni rossi e bianchi (che ora vanno molto di moda). Il giornalista serio è come un cowboy che attraversa un deserto salato. Che è un po’ come uscire dalla fermata della metro Eur Fermi e raggiungere il Palazzo dei Congressi a Roma sotto il sole. Eppure, il giornalista serio, alla fine del secondo giorno, non può non fare a meno di fare un salto sulla terrazza dedicata al Messico. Passare quindi il confine. Dopo tanti assaggi, alla fine, si sente come l’eroe di “Giù la testa” di Sergio Leone. Un bombarolo. Il giornalista serio è provato, ma resiste.