Barsportismo social. Sulla pelle di una giovane donna incinta di sette mesi morta per mano di Alessandro Impagnatiello, suo fidanzato fedifrago nonché padre del bambino che lei stava portando in grembo. I dettagli horror di questa vicenda di cronaca rimbalzano da giorni sulle principali testate online, generando la solita gara a chi riesce a scavare più a fondo nel torbido, riemergendone con particolari gretti, morbosi, da film splatter. Il risultato è che, come sempre accade, l'intera pubblica opinione sta seguendo questa terribile tragedia come fosse una serie tv Netflix. Invece, val la pena di ricordarlo, è tutto vero. Nell'epoca del più ostentato rispetto per gli altri, bisogna fare attenzione alle vocali con cui lasciamo terminare le parole, agli asterischi, all'essere inclusivi e a tenere da conto la privacy altrui. A meno che la persona di cui ci accingiamo a commentare la vita non sia trapassata. A quel punto, tutto è lecito, pare. Un cortocircuito enorme che genera mostri e relative mostruosità. Come gli influencer che, al solito, surfano il "trend" per farci sapere che Tramontano li seguiva su Instagram. Oppure Pupo, autore di una raggelante lettera pubblicata da Dagospia in cui si paragona all'assassino sottolineando quanto, in effetti, sia stressante portare avanti più relazioni contemporaneamente. Lui lo sa bene, è bigamo. Anche se non ha intenzione di uccidere nessuna delle sue mogli, precisa. Un santo, un martire. Uno sciacallo come tutti gli altri. Spesse volte, noi compresi.
Riuscire a tenerselo nei pantaloni pare sia impresa dura, durissima. Fa fatica. Per quanto nessuno costringa anima viva a prendersi impegni, a costruire legami sentimentali con una sciagurata che magari finisce pure per crederci, la vita del fedifrago è "stressante". Lo dichiara Impagnatiello agli inquirenti, ce lo conferma il cantante Pupo, quello che, a detta sua, per decenni ha continuato a cantare Gelato al Cioccolato senza cogliere il sottilissimo doppiosenso sotteso al testo, scritto da Cristiano Malgioglio. Enzo Ghinazzi, questo il suo nome all'anagrafe, è del resto più celebre per le sue dichiarazioni horror che per le canzoni che lo hanno reso noto tra i Settanta e gli Ottanta. "Quando è nata mia figlia, ero in discoteca", ha affermato in passato. Ma basti pensare che la sua epopea sentimentale sia cominciata, con grande scandalo, pochi giorni dopo il primo fatidico sì all'altare. Quando si concesse una focosa avventura con una cantante esordiente, all'epoca ancora minorenne. Ora che va di moda diagnosticarsi disturbi e problematiche varie, si giustifica dicendo d'aver sofferto di una forte dipendenza dal sesso. La realtà dei fatti è che non ci interessa. Non ci interessa che abiti con due donne (e relativa prole), non ci interessa quanto sia "stressante" la sua vita, non ci interessava nulla di lui già prima che ribadisse le proprie simpatie per Putin anche dopo lo scoppio della guerra in Ucraina. Pupo è un personaggio che abbiamo reso famoso, perfino opinionista prezzemolino della tv. Con cachet, s'intende. E tocca prenderci questa responsabilità. Perché è sempre il pubblico a scegliere. Potevamo optare per Drupi, ci siamo tenuti Ghinazzi.
Ghinazzi che oggi si paragona a un efferato omicida pur di raccattare qualche minuto di visibilità in più. Si stupisce, Ghinazzi. Domada: "C'è chi sbraita e urla che bisogna urgentemente trovare una soluzione, affinché fatti del genere non accadano più. Ma in che mondo vivono questi?". Perché, in buona sostanza, l'origine del problema, stando al Pupo-pensiero, non starebbe in Impagnatiello ("un povero ragazzo"), ma nel fatto che la società "imponga" la monogamia come unica forma relazionale accettabile. Peccato che la monogamia, essendo una gabbia per molti, porti all'assassinio, alla morte violenta come estrema conseguenza. Nella gara a chi la spara più grossa nella speranza di farsi notare, Pupo ha alzato la palla oltre l'Iperuranio. Con fierezza. Era difficile far peggio di quando raggiunse il podio di Sanremo con Italia Amore Mio in associazione a delinquere con Emanuele Filiberto e Luca Canonici. Eppure, eccoci qua. Lo ribadiamo: Drupi, dovevamo tenerci Drupi.
Il vero problema è che, oramai, siamo abituati al ribasso, al peggio. Chi ancora ci riesce, si indigna per cinque minuti, fa grandi proclami social per, a sua volta, accalappiarsi quanti più like possibile. Ogni sciagura, ogni sparata è un'opportunità che potrebbe come non potrebbe portare follower. A spaventare, soprattutto in questi giorni luttuosi, non è tanto lo sciacallo che è (sempre stato in) Pupo, ma quello che emerge in ognuno di noi. Perché anche noi, anzi noi in primo luogo, scegliamo di leggere articoli in cui si dettagliano i modi in cui Impagnatiello abbia occultato e sostanzialmente vilipeso il cadavere della compagna nel tentativo di sbarazzarsene. O l'opinione di esperti psicologi che, a cinque minuti dalla confessione, erano già pronti a farsi pubblicare l'intervista in cui argomentavano, tronfi, quali tipi di disturbi mentali sicuramente avesse l'assassino. Basandosi sulle profile pic che postava sui social, immaginiamo. E su quel poco che già trapelava riguardo al movente. Parole scambiate col soggetto: zero. Non avrebbe stupito - ma ci arriveremo, non disperate - l'avvento di un potente astrologo a spiegare come "I Capricorno, sapete, possono avere tendenze omicide con Giove retrogrado". Avremmo letto anche questo, senza fare un plissé, animati dalla curiosità morbosa di sapere cose che non ci riguardano e alimentati da una stampa sempre più complice di questo meccanismo perverso, osceno.
Come osceni sono stati quegli influencer che, per prima cosa, si sono prodigati a farci sapere che la vittima li seguiva su Instagram. Anzi, che alle volte era arrivata a ridere per le loro gustosissime storie social. Con tanto di screen pubblicati a riprova dell'accaduto. Tutto vero, Giulia è morta e ci dispiace, ma che non si perda il focus su di "me", per cortesia. Alcuni, almeno, hanno chiesto scusa. Altri, ancora non comprendono il perché di tante critiche verso quei post tra l'autocelebrativo e il necrofilo spinto. Probabilmente, saranno stati solo i soliti "rosiconi" da tastiera.
In ultimo, preme ricordare ancora una volta l'ovvio: Giulia Tramontano non è un hashtag. Non è morta per aumentare la vostra visibilità e nemmeno le cause miopi che sostenete di portare avanti via social. Non è morta per alimentare la guerra 'Maschi contro Femmine' che state mettendo in piedi con ogni fibra dei giga di cui sciaguratamente disponete, non è morta per i vostri fottutissimi layout Canva. E magari non le farebbe nemmeno piacere vedere i dettagli più privati della sua vita spiattellati ovunque, in font calibrì su sfondo pantone rosa, alla mercè dell'Italia intera. Mscherati, per di più, da benevolo supporto alla famiglia, alle donne che non devono perdere la vita così, a chi sta lottando per uscire da situazioni impossibili. In definitiva, Giulia Tramontano non è morta per farvi fare i big like, per farvi un piacere. Giulia Tramontano è morta. Per mano dell'uomo che sarebbe stato il padre di suo figlio. Ora, tornate a scegliere quale sia l'hashtag migliore, lato engagement, per il vostro prossimo post su questa povera donna, oltre al suo stesso nome e cognome. Ma non provate, nemmeno per un secondo, a sentirvi migliori di Enzo Ghinazzi. Non saremo un Paese di santi e poeti ma di sicuro siamo un Paese di "navigatori" sciacalli. Su di noi, nemmeno una nuvola.