L’origine di tutto è sempre lui. Il "Bing Bang" del politically correct dalla prosa suadente e mielosa e cioè Fabio Fazio, chiamato da Dagospia e nei social "FabioStrazio", conduttore di “Che tempo che fa”. Lui, il sacerdote della lagna buonista, dall’occhietto lagrimoso e umido, lui, l’Imperatore del Sorriso, una specie di San Francesco con barbetta che ogni domenica spara milioni di sorrisini nell’universo e cerca di baciare tutti, soprattutto Papa Francesco. Uno non fa tempo a proteggersi che gli arriva un sorrisino addosso. Però la scorsa domenica c’era un altro “buonista doc” in studio, Gino Cecchettin che si è materializzato dopo qualche mese di prudente astinenza, non prima di essersi fatto la portavoce di una famosa società di comunicazione inglese. E per fare cosa? Ma per annunciare l’uscita del suo libro “Cara Giulia” per Rizzoli”. I soldi, nello spirito del padrone di casa, non andranno all’autore ma a una Fondazione per ricordare Giulia Cecchettin, fondata e gestita dall’autore stesso. Quindi insomma i soldi andranno comunque a lui. Ecco. Volevamo ben dire. E per questo già divampa sui social la polemica sul fatto che il Cecchettin padre stia lucrando sul dramma. Si tratta dello stesso Cecchettin che non ha mai risposto ad una semplicissima domanda che gli facemmo proprio su MOW e cioè se i famigerati tweet sessisti, nonché volgari, partiti da un profilo a suo nome e con sua foto fossero suoi oppure no. Cecchettin senior non ci ha mai risposto però l’avvocato ha minacciato a dicembre cause per chi osasse addebitare a lui la proprietà. Eppure c’è un modo semplicissimo per dirimere la questione e cioè un semplice “sì” oppure un altrettanto semplice “no”. Se non è lui il proprietario dovrebbe correre ad annunciarlo. Perché non lo fa? Se è lui invece ci risparmi i pistolotti per “rieducare i maschi”. Che dire poi della figlia Elena che è divenuta un personaggio pubblico ma su cui non si può scrivere riguardo alle particolarissime foto su Instagram, compresa una di un serial killer di un noto film horror? Non si può scrivere nulla e chi lo ha fatto può incorrere nella mannaia del pubblico ludibrio quando non in qualche sanzione censoria dell’Ordine dei giornalisti, della Fnsi, dell’Usigrai e delle varie associazioni femministe. Codice deontologico, Carta di Venezia. A questo punto, paradossalmente, per scrivere liberamente occorrerebbe essere liberi cittadini e non giornalisti, protetti dall’Articolo 21 della Costituzione che mette al sicuro dal Codice deontologico o da qualcuna delle “Carte” prodotte dall’Ordine. C’è stato poi il caso del feto di Vanessa Ballan...
Anche questa storia stava imboccando il dimenticatoio quando abbiamo pure in questo caso fatto la semplice domanda: il feto è dell’amante o del compagno? E anche questa volta ci sono state le reazioni fuori dai gangheri di femministe arrabbiate ma non si sa per quale motivo ma stranamente la risposta è venuta qualche giorno dopo. Tanto per dire in che clima occorre scrivere basti pensare poi al caso del neonato abbandonato. «Una donna, che porta una carrozzina, entra nella sala d'attesa di un ospedale; si siede per qualche istante e poi va via, lasciando lì la carrozzina dentro la quale c'è un bambino. Queste immagini sono state riprese dalle telecamere di sorveglianza nell'ospedale. Il video è stato trasmesso con la dicitura "esclusiva" dal Tg1 e ripreso da altre testate Rai e siti di quotidiani nazionali. Le commissioni pari opportunità di Fnsi e Usigrai e l'associazione Giulia Giornaliste evidenziano che non sono state rispettate né la tutela del bambino, né la privacy della donna, la quale non è stata neanche oscurata, con rischi per la sicurezza di entrambi. Si è contravvenuto a quelle che sono le basi della deontologia professionale, in particolare violando l'art.2 - "Fondamenti deontologici" del "Testo unico dei doveri del giornalista"». Firmato: Fnsi, Cpo Usigrai e Giulia Giornaliste”. E perché di grazia non si potrebbe mostrare il filmato e magari neppure dare la notizia? Forse, dietro altre spiegazioni ideologiche, c’è l’idea che si tratti di un gesto riprovevole che è stato fatto non da un uomo ma da una donna? Speriamo che non sia così, se no c’è veramente da avere paura, altro che regime. Ma ormai la sequela di fatti di questo tipo è giornaliera. Altro fenomeno è poi quello della pixelizzazione selvaggia di qualsiasi immagine per preservare il mitico “diritto alla privacy”, sputtanato allegramente in ognidove. In questo modo il diritto all’informazione diventa un sogno impossibile e sui giornalisti si abbatte in continuazione la mannaia della censura. Lunedì’ 4 marzo è comparso finalmente un bell’articolo assai coraggioso di Federico Rampini sul Corriere della Sera dal titolo “Un’italiana a New York: Io dentro la dittatura woke. Sono bianca e devo scusarmi anche se non sono razzista. E guai a chiedere: di dove sei?”. Si tratta del lungo sfogo di L.T. una donna italiana di 42 anni che abita a New York dal 2009. L.T. riporta un episodio significativo. Voleva fare un Master alla Columbia University per assistenti sociali.
Ma sentiamo dalle sue parole cosa dice: “Per le prove di ammissione ho dovuto scrivere un saggio in cui anticipavo quale sarà il mio impegno nel razzismo anti-black, perché è un dogma che il vero razzismo è solo quello di noi bianchi contro i neri. Sono stata esclusa dal corso a cui ero più interessata, sull’assistenza ai tossicodipendenti, perché i non-bianchi hanno la precedenza. Nella settimana iniziale del Master dedicata all’orientamento dei nuovi iscritti, a noi studenti bianchi è stato chiesto di scusarci con i compagni di corso neri per il razzismo di cui siamo portatori”. E poi ancora c’è pure una sorta di autodafé: “Ogni due settimane una bianca come me deve partecipare a una riunione di White Accountability (“responsabilità bianca”): due ore con una persona che ci interroga per farci riconoscere le nostre micro-aggressioni verso i neri e chiederci un pentimento”. Se ci mettiamo anche che pure il Principe azzurro della favola “La bella addormentata nel bosco” è stato accusato di violenza e sessismo per aver baciato la ragazza nel sonno, “quando non era consenziente”, capiamo a che grado di pazzia è giunto il politically correct. Per interpretarlo correttamente dovremmo fare ricorso alla categoria delle isterie collettive di freudiana memoria. Si tratta ormai di una patologia della società nel suo complesso. A proposito, le prime rondini primaverili hanno anticipato l’arrivo in Italia ma si potrà scrivere? Per evitare i soliti comunicati stampa ed esposti all’Ordine suggeriamo ai colleghi di scrivere che: “Come ogni anno lƏ rondinƏ sono tornatƏ. Ma non possiamo dirvi da dove vengono, dove vanno e soprattutto dove sono state avvistate. Per quanto riguarda le foto possiamo mostrarvi solo un pixel gigante di color cagarella che serve a proteggere la privacy delle rondinƏ. Buona primavera a tuttƏ (oddio si potrà scrivere il nome della stagione o Eolo si offende protetto dalla “Carta dei venti”? ndr).”