Le analisi del giorno dopo lasciano sempre il tempo che trovano, specie se riguardano le elezioni: i numeri danno ragione un po’ a tutti e tutti possono trarre conclusioni strumentali al loro mulino. Eppure, raramente un risultato elettorale ha mai lasciato sul campo una verità così netta come quella riguardante il referendum sulla cittadinanza. In una tornata referendaria che ha visto la mobilitazione esclusiva della sinistra – tanto che Maurizio Landini ha parlato di “14 milioni di italiani” da cui ripartire – il quesito sulla cittadinanza consegna alla statistica un esito molto diverso dagli altri, con il no che schizza addirittura al 35%, contro il 15 raggiunto negli altri quesiti. Non basta. Questa percentuale è il risultato di una media, perché il risultato è estremamente polarizzato: se nelle Ztl delle grandi città vince il SI, in periferia a prevalere nettamente è il NO. Ora: dovessimo dare retta alla narrazione mainstream, dovremmo concludere che “il fascismo” è penetrato anche a sinistra, e nelle periferie gira talmente tanta voglia di fez che persino quelli di sinistra sono diventati razzisti. Oppure possiamo alzare leggermente l’asticella del ragionamento, spostandola di qualche centimetro in alto rispetto al livello “ground zero” dove si trova quando si parla di immigrazione, e concludere che il problema “dell’inclusione” ha compiuto un ulteriore scatto in avanti.

Il quesito sulla cittadinanza dopo 5 anni invece di 10 era un quesito ragionevole, anche perché tale cittadinanza non scattava in automatico ma solo al raggiungimento di certi parametri (conoscenza della lingua, residenza, lavoro, eccetera). Se persino il popolo di sinistra lo rifiuta, e lo rifiuta come abbiamo visto solo in periferia, è perché il livello di esasperazione ha scavalcato la linea Maginot dello steccato ideologico per dilagare nella società tutta. Contro-ordine compagni: l’integrazione non è avvenuta, e a dirlo sono i compagni stessi. Compagni che sbagliano (ci mancherebbe!), compagni di periferia che non sanno godersi un nigiri come dio comanda e non hanno nemmeno capito quanto sia bello andare al lavoro in bike-sharing (perché costretti a fare i pendolari su treni regionali stipati fino all’inverosimile, ma questi sono dettagli, contessa), compagni che però hanno consegnato nell’urna un messaggio chiarissimo: della vostra retorica ci siamo rotti i coglioni. Ed è difficile biasimarli, questi compagni di periferia, perché se la destra sull’immigrazione ha fatto retorica, è ora di riconoscere che la sinistra sull’immigrazione ha fatto altrettanto, una contro-retorica inutile che col passare del tempo è diventata addirittura pericolosa. Fa nulla che “i reati sono in calo” come ripete come un mantra la giunta Sala a Milano, città in testa alla classifica di insicurezza percepita. I dati, per quanto riguarda i cittadini stranieri, sono preoccupanti, e i compagni si sono stancati di fare finta di niente “per non dare argomenti alla destra”. Bisogna essere chiari: non è che chi delinque lo fa sulla base della nazionalità, della razza o della religione. Nella società capitalista c’è solo un elemento che garantisce l’integrazione: il soldo. È il soldo che permette di comprare cose, di acquistare servizi, di andare fuori a mangiare la sera, di andare ai concerti, di fare l’amore, eccetera. È il soldo, insomma, che permette di abbracciare l’ideologia del consumo, l’unica ideologia occidentale rimasta. Ma il soldo in Europa e soprattutto in Italia non c’è – nemmeno per i giovani italiani laureati, dal momento che qui gli stipendi sono i più bassi d’Europa – dunque non è possibile consumare e, dunque, non è possibile integrarsi. Gli italiani sopravvivono sulle spalle delle generazioni precedenti: la casa di nonna lasciata in eredità, quella di zia per andare al mare, quella di zio da mettere su AirBnB. Ma le seconde o terze generazioni non dispongono di questo lusso, non fanno parte di quella che Luca Ricolfi chiama “la società signorile di massa” e le conseguenze non possono essere che problematiche. Promuovere l’integrazione non vuol dire presentarsi in abito di lino sulla barchetta di Carola Rackete per una foto opportunity: vuol dire combattere per il diritto a stipendi dignitosi per tutti. Ma capite bene che si tratta di qualcosa di estremamente difficile, così come estremamente difficile è interessarsi alle sorti dei migranti una volta sbarcati dalle navi. Farsi un giro nei campi di pomodori in Puglia d’estate, invece che saltellare sui carri del gay pride, per verificare di persona le condizioni disumane con cui sono costretti a lavorare i migranti. E impedire che chi combatte contro quelle condizioni disumane venga ucciso, come accaduto a quelli che si sono ribellati. Invece di condividere le storielline su Instagram, madamine e madamini delle Ztl dovrebbero condividere il volto di Soumaila Sacko. E invece Sacko devono correre a googlarlo perché manco sanno chi sia, mentre le influencerine democratiche, con i neonati usati come testimonial per il sì, le conoscono a memoria. Viviamo già oggi una realtà sempre più disastrata, dove un quesito moderato viene preso per un colpo di spugna all’immigrazione clandestina, dove non è solo normale ma addirittura considerato legittimo organizzarsi in ronde private e farsi giustizia da soli. O si affronta una volta per tutte il tema dell’integrazione dal punto di vista delle periferie e non della Ztl o chissà cosa accadrà domani. Probabilmente rimpiangerete tutti la Meloni, come ora rimpiangete Berlusconi.
