Game over. Northvolt, la startup svedese che doveva essere "la Tesla delle batterie made in Europe", ha dichiarato bancarotta. Non ci voleva un genio per capirlo: debiti per 7,5 miliardi di euro, finanziamenti evaporati e promesse di rivoluzione industriale che si sono scontrate con la dura realtà della produzione. E così, quella che doveva essere la risposta europea ai colossi asiatici come Catl e Byd si è schiantata contro il muro della sostenibilità economica. Volkswagen e Goldman Sachs ci avevano creduto, sborsando miliardi, ma il progetto si è sciolto come neve al sole. Oltre 5.000 dipendenti ora devono fare i conti con un futuro incerto. "Molte cose sono andate storte e ora il prezzo lo pagano i nostri membri", ha commentato amara Marie Nilsson, leader del sindacato IF Metall. Un copione già visto: promesse, investimenti a pioggia, poi i problemi produttivi, i ritardi nelle consegne e infine il tonfo. Porsche, che aveva contratti con Northvolt, è già corsa ai ripari cercando nuovi fornitori. E mentre pezzi dell’azienda vengono sezionati per essere rivenduti, il rischio di una dipendenza europea sempre più forte dalle batterie cinesi è ormai realtà.

Northvolt era nata con l’ambizione di costruire tre stabilimenti giganti e una filiera completamente europea per la produzione di catodi e precursori. Ma nel frattempo, mentre in Europa si faticava a mettere insieme i pezzi, Catl ha piazzato fabbriche in Germania, Ungheria e Spagna, in partnership con Stellantis. Il fallimento di Northvolt è il simbolo perfetto della miopia industriale europea: si investe, si scommette su sogni di indipendenza, ma alla fine la realtà è un’altra. Il mercato non aspetta nessuno e la Cina, con prezzi più bassi e tecnologie più avanzate, ha già vinto la partita. Oltre all'elezione di Trump in America che ha scombussolato ogni piano. Qualcuno proverà a salvare i pezzi migliori: Scania ha già messo gli occhi su Northvolt Industrial, mentre il governo tedesco spera in nuovi investitori per la fabbrica di Heide. Ma il segnale è chiaro: il treno dell’autonomia tecnologica europea è sempre più un miraggio. E mentre Bruxelles continua a snocciolare piani per l’automotive, il mercato va in direzione opposta. Il sogno di un’Europa indipendente sulle batterie? Un’illusione, spazzata via dalla realtà di un’industria che, senza aiuti di Stato o investitori disposti a bruciare miliardi, non regge il confronto con i giganti dell’Asia.
