In un articolo apparso su The Catholic Herald, il vaticanista John L. Allen Jr. ha delineato il ritratto di un possibile — e sorprendente — successore di Papa Francesco: il cardinale Pierbattista Pizzaballa, Patriarca latino di Gerusalemme, 60 anni, francescano bergamasco con una vita trascorsa tra i deserti politici e religiosi della Terra Santa.
L’immagine iniziale è potente: il lunedì di Pasqua, appena appresa la notizia della morte del Papa, Pizzaballa lascia il Patriarcato di Gerusalemme per partire verso Roma. Alcuni collaboratori, amici e fedeli lo salutano cantando in arabo: «Che il Signore guidi i tuoi passi con la sua sapienza, riempia il tuo cuore con il suo Spirito, e sia con te se è sua volontà che tu guidi la sua Chiesa». Una benedizione, ma anche un addio, osserva Allen, perché molti “sanno che c’è una buona possibilità che non rivedranno più Pizzaballa se non sullo schermo di una TV come papa”.
Il francescano del dialogo
Nato nel 1965 a Castel Liteggio (Bergamo), come Papa Giovanni XXIII, Pizzaballa è cresciuto nell’ordine dei Frati Minori e ha studiato filosofia e teologia a Bologna. Venne ordinato sacerdote da un cardinale dallo stile molto diverso, Giacomo Biffi, descritto da Allen come “un arciconservatore di profonda cultura”. Ma è a Gerusalemme che prende forma il profilo unico di questo porporato: studia ebraico moderno, si specializza in teologia biblica e si dedica al servizio della piccola ma significativa comunità cattolica di lingua ebraica.
Come Custode di Terra Santa dal 2004 al 2016, Pizzaballa si è guadagnato una reputazione di uomo “moderato, paziente, incline all’ascolto e al dialogo”, capace di costruire ponti tra israeliani, palestinesi, giordani ed egiziani. Questo stile lo rese la scelta naturale di Papa Francesco per organizzare, nel 2014, la preghiera per la pace nei Giardini Vaticani, alla presenza di Shimon Peres, Mahmoud Abbas e il patriarca Bartolomeo.

Né progressista né conservatore
Una delle ragioni per cui il suo nome è preso sul serio nei corridoi del potere vaticano, spiega Allen, è proprio la sua ambiguità teologica: “Non è mai stato costretto a prendere posizioni pubbliche nette su questioni pastorali o dottrinali divisive”, e quindi “non porta con sé il bagaglio di controversie ecclesiastiche”. Questo lo rende appetibile sia a chi vuole continuità con Francesco, sia a chi auspica un cambiamento.
Inoltre, sottolinea Allen, “il suo profilo di equilibrio tra il mondo israeliano e quello palestinese” potrebbe essere visto come una qualità preziosa in un conclave che potrebbe avere come priorità la pacificazione delle divisioni interne alla Chiesa dopo il pontificato di Francesco.
Il risanatore
Un altro punto a favore: la sua gestione oculata del Patriarcato. Quando Pizzaballa assunse il ruolo di amministratore apostolico nel 2016, si trovò davanti una situazione economica disastrata. Allen racconta che l’ex patriarca Twal aveva investito fino a 100 milioni di dollari in un’università cattolica in Giordania senza un piano sostenibile. Pizzaballa ha rimesso i conti in ordine con “una combinazione di raccolta fondi aggressiva, tagli ai costi e vendita di proprietà, anche a Nazareth”. Un curriculum che, di fronte alla crisi finanziaria del Vaticano, potrebbe risultare determinante.
Un italiano sì, ma atipico
Certo, c’è chi storce il naso all’idea di un altro papa italiano. Ma, osserva Allen, “Pizzaballa ha trascorso gran parte della sua vita adulta fuori dall’Italia” e il suo legame con Roma è più simbolico che geografico. Curiosamente, ricorda anche che lo zio, Pier Luigi Pizzaballa, fu portiere della Roma negli anni '60. “Vista la passione dei romani per il calcio, potrebbero trasferire parte di quell’affetto al nuovo vescovo”, scrive ironicamente Allen.
Infine, aggiunge con un tocco di umorismo, “in italiano, il cognome Pizzaballa significa letteralmente ‘danza della pizza’”, e immagina i meme virali che potrebbero esplodere nel caso della sua elezione: una curiosa forma di carisma mediatico che forse potrebbe aiutarlo a raccogliere l'eredità comunicativa lasciata da Papa Francesco.
Il volto italiano della "pace bergogliana"
Se il prossimo conclave dovesse cercare un ponte tra le fazioni, un uomo di dialogo, non schierato, capace di amministrare con rigore e di parlare al mondo senza proclami ideologici, allora Pizzaballa potrebbe incarnare proprio l’italiano della pace bergogliana. Non l’italiano delle cordate curiali o del ritorno alla centralità eurocentrica della Chiesa, ma l’uomo cresciuto sotto Francesco, nel cuore di una terra lacerata, dove si è imparato che il primo miracolo è parlarsi — e non smettere di farlo.
